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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

«Intrallazzi e segreti nel mondo dell’arte Ecco chi ci guadagna» - Si dice che da analfabeta a critico d’arte il passo sia breve

«Intrallazzi e segreti nel mondo dell’arte Ecco chi ci guadagna» - Si dice che da analfabeta a critico d’arte il passo sia breve. Come dalla passio­ne all’avidità. Una sottile li­nea di demarcazione faci­li­ssima da superare ma dif­ficile da tracciare: ci vuole colpo d’oc­chio, polso fermo, coraggio. E inco­scienza. Giornalista e scrittore, 35 an­ni, Ippolito Edmondo Ferrario è con coraggio e incoscienza mercante d’ar­te e direttore della Galleria Sacerdoti di Milano, aperta in via Sant’Andrea dal nonno materno, nel 1950. Più di mezzo secolo di esperienza e quattro generazioni di «gente d’arte»che per­mettono oggi, all’ultimo arrivato, Ip­polito Edmondo Ferrario, di svelare il lato oscuro del mondo dell’arte in un’impietosa guida che-come recite­rebbe un­a buona quarta di copertina­nessun gallerista vi farà mai leggere: Il libro nero del collezionismo d’arte , os­sia «Come coltivare in tutta sicurezza una passione al tempo stesso nobile e redditizia» (Castelvecchi, pagg. 126, euro 13,50; in libreria dal 22 giugno). Divertente il circo che esce dal suo li­bro: semianalfabeti travestiti da esperti, intrallazzatori, critici trom­boni, galleristi speculatori, curatori di mostre prezzolati. «Se ne vedono di tutti i tipi. Ovvia­mente la maggior parte di chi lavora in questo ambiente è costituita da pro­fessionisti seri, ma soprattutto nell’ul­tima ventina d’anni sono comparsi personaggi inquietanti che si spaccia­no per esperti grazie a una legislazio­ne in materia che fa acqua da tutte le parti. Chiunque, senza alcuna barrie­ra, può aprire un’associazione per il patrocinio o la tutela di un pittore, me­gl­io se non troppo noto e meglio anco­ra se molto prolifico, quasi sempre af­f­iancandosi agli eredi dell’artista, e ini­ziare l’archiviazione delle opere, poi farsi pagare per la catalogazione, ma­gari intascare anche finanziamenti pubblici, e infine specularci sopra… L’associazione diventa col tempo l’istituzione di riferimento per quel­­l’artista e, senza alcuna investitura, de­cide quali sono i quadri buoni e quali no.E io che ho un’opera dell’artista al­la fine devo assoggettarmi al giudizio di quella associazione, o anche di più di una, perché magari due o tre enti si contendono lo stesso “maestro”. La stessa cosa capita con i “critici di riferi­mento” ». Esempi? «La mia famiglia possedeva un Hayez, acquistato da mio nonno. Un quadro firmato, pubblicato, universal­mente riconosciuto come un Hayez, finito anche sulla copertina di un cata­logo. Un giorno un noto critico, profes­sore di Storia dell’arte a Milano, spe­cializzato nel ‘ 700-‘800 lombardo,cu­ra una monografia sull’Hayez, escludendo l’opera in nostro posses­so. Non l’ha vo­l­uta neppure ve­dere. Per telefono ci ha detto che il no­stro non era un Hayez.Saltata l’attri­buzione ovviamente è crollato il valore. Co­me Hayez si aggirava sui 200mila euro. L’ab­biamo messo in asta a 20mila. E questo solo perché lo ha deciso il “critico di riferimento” di quell’artista. Senza vedere il quadro». Perché accade? «Per invidia, interessi personali, vendette... Qualche anno fa organizza­no una mostra di Boldini a Padova. Mio nonno era un grandissimo colle­zionista di Boldini, e il Corriere della sera mi intervista per farmi raccontare la storia della opere di Boldini passate dalla nostra Galleria e dedica all’even­to un paginone. Un concorrente ha messo in giro la voce che abbiamo pa­gato il Corriere per farci pubblicità… Del fatto che la “Galleria Sacerdoti” avesse contribuito già 60 anni fa lan­ciare Boldini non interessava nessu­no. Quello che interessa ormai non so­no le opere, ma il documento che le garantisce come autentiche, o alme­no dovrebbe». Dicesi expertise . «Un pezzo di carta che viene rilascia­to spesso da autentici analfabeti o, peggio, da truffatori di profes­sione. Un giorno probabil­m­ente i collezionisti sa­ranno così stupidi che alle pareti appenderan­no le expertise e i quadri li lasceranno chiusi da qualche parte». Ma chi può rilasciare l’ expertise ? «Non essendoci una particolare re­golamentazione in merito, chiunque: dal restauratore allo studioso fi­no al traffican­te ». Ci si guadagna? «Scherza? È una miniera d’oro. La famosa associazione di tutela di un ar­tista scomparso di cui le dicevo pri­ma? Bene,appena si fa conoscere nel­­l’ambiente, contatta i possessori delle opere di quell’artista e, con la scusa dell’archiviazione per un catalogo ra­gionato che non vedrà mai la luce, ini­zia a periziarle. Un’ expertise oggi, una domani… sa quanti soldi si fanno? Con due particolari curiosi. Il primo è che chi fa queste cose spessissimo non è neppure laureato in storia del­­l’arte, che di per sé non significhereb­be niente, ma insomma… gente che magari prima lavorava in banca, o fa­ceva l’autista, che a un certo punto si appassiona di arte. La seconda, è che le attribuzioni di questi cialtroni fini­scono per condizionare i valori di mer­cato degli artisti». Insomma, tu puoi avere anche un quadro bellissimo e autentico, ma se manca l’ expertise non lo venderai mai? «È una psicosi collettiva ormai. E il guaio peggiore è che a parte la possibi­l­ità di ricorre in tribunale e far giudica­re l’opera a dei periti super partes non esistono modi per tutelarsi. Conosce Claudia Gian Ferrari, la gallerista e col­lezionista d’arte milanese scomparsa l’anno scorso? Bene. Aveva fondato un’associazione con il nipote del pitto­re De Pisis e, non si sa perché, boccia­va­tutti i De Pisis che uscivano dalla no­stra Galleria. E sì che a mio nonno, a 17 anni, quando iniziò a lavorare nel mondo dell’arte, già passavano tra le mani quelle tele…era uno che sapeva riconoscere bene i falsi. Abbiamo do­­vuto ricorre al tribunale per tre volte. E abbiamo sempre vinto. Nell’ultimo caso, addirittura, quando abbiamo portato l’opera a una nota casa d’aste, entusiasta del quadro, appena ha sa­puto che eravamo stati in causa con la Gian Ferrari è sbiancato. E ci ha detto che non poteva prendere il De Pisis, neppure davanti a una sentenza di tri­bunale. Aveva paura di inimicarsela». Senta,mettiamo il caso-ipotetico-di un quadro di un autore sconosciuto, del ’600, valutato diciamo 70mila eu­ro, e che qualcuno attribuisce a Cara­vaggio, portando il valore ad alcune decine di milioni. Chi ci guadagna? «Un sacco di gente. Prima di tutto il proprietario. Poi il critico. Che nella più onesta delle ipotesi ha un ritorno di visibilità e di autorevolezza, se le co­se vanno bene, davvero notevole; e nella più disonesta una mazzetta, o una bella percentuale su una vendita successiva. Poi ci guadagnano gli in­termediari della compravendita. Poi i musei che ospitano eventuali mostre, perché grazie alla pubblicità e al cla­more dei media la gente corre a vede­re l’“opera dell’anno”. Poi chi firma e vende il nuovo catalogo. Ma natural­mente sto facendo un discorso gene­rale ». Me ne faccia uno particolare. «Una nota famiglia milanese che aveva in caso un quadro di un pittore veneto poco famoso ma di valore: Lui­gi Nono. Lo vede un critico d’arte, se­rissimo, che in passato aveva curato il catalogo di riferimento di quell’arti­sta, e lo giudica non autentico. I pro­prietari non si arrendono. E cosa fan­no? Assoldano un altro critico,gli fan­no scrivere un’altra relazione che inve­ce attribuisce l’opera a Luigi Nono e poi mandano il quadro in una mostra, in un famoso museo, con la sua bella targhetta “Luigi Nono”. Oggi è quota­to 500mila euro. Credo che ne valga sì e no 50mila. Il fatto è che Caravaggio finisce sui giornali, un pittore veneto dell’800 no».