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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

TUTTI PRESCRITTI

L’Italia è una Repubblica popolata di prescritti: né colpevoli, né innocenti. Persone accusate di reati anche gravissimi, incriminate, talvolta arrestate, spesso condannate in primo grado e persino in appello. Ma il tempo previsto dalla legge per giudicarle è scaduto prima che si arrivasse al verdetto definitivo: tutto il processo è stato buttato via. L’imputato non è andato né all’inferno, né in paradiso: rimarrà per sempre in un limbo, che lo accoglierà dopo il lungo purgatorio di udienze durato anni. Una pacchia per i criminali, un supplizio per gli onesti.
Siamo un popolo di prescritti. E lo saremo sempre di più. Negli ultimi dieci anni sono stati cancellati per questo motivo due milioni di procedimenti penali: solo nel 2009 sono stati quasi 150 mila, mentre per il 2010 la stima è di 170 mila con un numero ancora più alto di indagati che resteranno con la fedina penale immacolata e l’ombra di quei reati che non verrà spazzata via mai. Sono prescritti il premier, un paio di ministri e decine di parlamentari. Ma lo può essere anche il medico che vi opererà, perché l’accusa di avere ucciso un paziente durante un intervento è una di quelle che scadono prima. O può esserlo anche il massimo amministratore dell’ospedale dove siete ricoverati che ha preso tangenti per comprare materiali scadenti. Prescritto il ladro che vi ha rubato l’auto, catturato magari dopo un inseguimento dei carabinieri. Prescritto il commercialista che vi ha truffato, l’imprenditore che ha fatto da prestanome a un mafioso. E prescritti tutti quelli che hanno preso o dato mazzette. Ogni giorno almeno 410 processi vanno in cenere, ogni mese 12.500 casi finiscono nel nulla.
Questo accade già ora, prima che il cosiddetto "processo breve" tanto caro a Silvio Berlusconi diventi esecutivo e moltiplichi la strage di procedimenti (vedi box a pag. 61). E anche senza la nuova legge accadrà sempre di più: nel 2011 si rischia di sfiorare le 200 mila prescrizioni. L’accumulo aumenta ogni settimana, la montagna di fascicoli non smaltiti cresce e ingolfa tutta la giustizia: solo nel penale sono già 3 milioni e 200 mila, a cui lo scorso anno se ne sono aggiunti altri 34 mila. Il problema è semplice: ci sono sempre più nuove cause e meno risorse. Se anche i giudici intaccano quelle arretrate, non ce la fanno a incanalare l’ondata che si abbatte sulle procure e sulle corti: "È come correre su un tapis roulant", ha sintetizzato l’alto magistrato veneziano Manuela Romei Pasetti. Così i tempi dei giudizi si allungano, fino a diventare surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Anni e anni prima del verdetto, senza considerare le pause da una fase all’altra: spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d’appello. Intanto i reati scadono e ormai c’è la quasi certezza di scamparla per corruzione, ricettazione, truffa, omicidio colposo. A Roma e nel Lazio, come ha dichiarato il procuratore generale Luigi Ciampoli, quasi tutti i casi di abusivismo edilizio si spegneranno senza condanna, "rafforzando nel cittadino la convinzione di una sostanziale impunità". Un premio all’arroganza, che deturpa il paesaggio e arricchisce i furbetti in una metropoli dove i mattoni sono oro. Nella Sicilia occidentale saranno graziati i colletti bianchi che hanno aiutato i singoli mafiosi a nascondere i loro tesori. E in tutta Italia non si riesce più a punire la corruzione o l’abuso d’ufficio: i mariuoli della pubblica amministrazione sono destinati a farla franca.
IL PRONTO SOCCORSO GIUDIZIARIO
Per cercare di salvare qualcosa nei palazzi di giustizia si inventa di tutto. Ci sono scene da "Er, medici in prima linea": si mettono i bollini rossi sui processi in pericolo di vita, quello blu sui casi gravi ma non letali, verdi sui pazienti meno preoccupanti. Per rianimare le cataste di fascicoli che rischiano di tracimare nell’abisso si creano task force con magistrati, cancellieri e computer che operano d’urgenza, per poi passare ad altri casi. Come ha detto Grazia Corradini, presidente della corte d’appello di Cagliari, è "la fantasia al potere": la giustizia creativa per fronteggiare il deserto di risorse. Vengono mandati al fronte cassintegrati e stagisti universitari, ma si ricorre persino al volontariato con i pensionati delle forze dell’ordine e gli studenti liceali (vedi articolo a pag. 63): l’ultima barricata per frenare l’assalto della prescrizione.
LA MACCHINA IMPAZZITA
Marcello Maddalena l’ha definita "una follia obbligatoria": si fissano udienze di processi che sono già destinati a soccombere. Emilio Gironi, della Corte d’appello di Firenze, li chiama "i fascicoli con il bollino nero", che nessuno potrà riportare in vita. Eppure Maddalena venne travolto dalle polemiche quando creò una lista delle priorità: ordinò ai pm piemontesi su quali reati concentrarsi, per tentare di salvare il salvabile.
Più drastica la posizione del procuratore generale di Perugia Giancarlo Costagliola, che ha invitato tutti i pm dell’Umbria alla ritirata prima della disfatta totale: "Ritengo doveroso suggerire una linea di politica giudiziaria che, privilegiando le misure di prevenzione patrimoniali e personali, svolga quella funzione di deterrente che la sanzione penale non riesce più a svolgere, così da favorire il continuo aumento della criminalità". Come a dire: se non volete darla vinta ai fuorilegge, non perdete tempo a istruire inutili processi; limitatevi a sequestrargli i beni o a cacciarli dagli incarichi.
Una sconfitta, la Caporetto del diritto, con perversi effetti collaterali. Il principale è l’uso degli arresti: le manette diventano un surrogato della pena. Lo ha denunciato il ministro Angelino Alfano, ma lo ha ribadito il magistrato più importante, ossia il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo: "Bisogna rispettare i criteri di indispensabilità, proporzionalità e adeguatezza, anche resistendo alle "aspettative" dell’opinione pubblica che proprio per le lungaggini sull’accertamento delle responsabilità, vede nell’immediata risposta cautelare il soddisfacimento della sua esigenza di giustizia". Le retate dovrebbero trasmettere un’immagine di giustizia ancora attiva ma si trasformano in un danno doppio: rischiano di stroncare la vita di innocenti, che non riusciranno a farsi dichiarare tali, e in qualche modo santificano i banditi, che saranno assolti come prescritti e risarciti per la detenzione.
LA FOSSA DEL PROCESSO
Oggi i reati muoiono soprattutto in corte d’appello. I procedimenti ci arrivano ormai in prognosi riservata e dopo qualche udienza decedono. Perché il tempo medio di un giudizio d’appello è diventato pazzesco: 710 giorni, secondo i dati ufficiali del ministero. Due anni, con un gioco dell’oca dove basta poco per tornare alla casella di partenza: se uno dei giudici nel frattempo cambia, si riparte da zero. Uno tsunami che annega ogni speranza di produttività: a Milano nel 2010 l’accumulo è cresciuto del 45 per cento, con il risultato di aumentare in proporzione le prescrizioni, seppellendo 831 processi in un anno. La causa è semplice: l’appello doveva essere un’eccezione, non la regola. E una rarità i processi "veri", con le prove create davanti alla corte. Quando nel 1989 venne lanciata la grande riforma che porta il nome di Gian Domenico Pisapia, si prevedeva che in primo grado al massimo un ventesimo dei casi si trasformasse in dibattimento. Tutto il resto si sarebbe deciso nei "riti alternativi": abbreviato o patteggiamento, con sconti di pena per gli imputati e tempi minimi. Invece processi "veri" e appelli si sono moltiplicati. A Torino il rito alternativo riguarda metà dei casi giudicati dai collegi, a Milano si scende a un quarto, al Sud molto meno. La speranza di ottenere la prescrizione spinge tutti gli imputati a osare qualunque ricorso. Tanto il tempo gioca dalla loro parte. E la giustizia va in tilt, completamente ingolfata. Si stima che ci siano due milioni di cause legate a beghe di condominio, che vengono punite in sede penale al massimo con una multa da 50 euro, ma che scivolano fino alla Cassazione. A Roma il pm che indaga su Finmeccanica - ossia uno dei gruppi fondamentali per l’economia nazionale - ha perso ore e ore per la denuncia contro un amministratore di condominio che non aveva impedito ai piccioni di defecare su una terrazza: l’ha archiviata, scrivendo una sentenza motivata, ma la sua decisione è stata appellata e si è dovuto dedicare all’udienza davanti al giudice.
Il primo presidente della Cassazione ha parlato senza mezzi termini di un "abuso del diritto". La questione "è rendere effettivo il processo". Che significa? Le garanzie vanno bilanciate con la necessità di avere una ragionevole durata: se sulla bilancia pesano solo i diritti della difesa senza contrappesi, il piatto della giustizia resta sospeso nell’aria. Molti magistrati accusano esplicitamente i penalisti: si mantengono proponendo ricorsi a oltranza, uccidendo il sistema. Puntano il dito sul numero di avvocati che operano nel nostro Paese: oltre 207 mila. Il presidente della Corte d’appello di Napoli Carlo Alemi tuona contro i 12 mila legali attivi in città: "Il loro lavoro non può essere un ammortizzatore sociale". Gli avvocati replicano: sono giudici e pm a essere improduttivi e spreconi. Uno studio commissionato all’Eurispes dalla Camera penale di Roma nel 2007 evidenzia il lassismo nella gestione delle udienze: durano in media da 12 a 32 minuti; il 70 per cento si chiude con il rinvio a 140 giorni dopo. Si apre, si fa qualche eccezione procedurale e se ne riparla tra cinque mesi. Ma si registra anche qualche autocritica tra i magistrati. Per il pg della Cassazione sono sempre più frequenti le prescrizioni che scattano "senza che sia stato compiuto nessun atto di indagine". Molti giudici, poi, scrivono ancora a mano le sentenze e bisogna trovare chi le tastierizzi e stampi. Lo riconosce Vincenzo Olivieri, presidente della corte di Palermo: "Oggi nel migliore dei casi ci vogliono 60-70 giorni".
INDAGINE SUI COLPEVOLI
Su chi abbia ucciso la giustizia a colpi di prescrizione in realtà ci sono idee chiare e condivise. Al primo posto c’è la legge Cirielli, entrata in vigore nel 2006. Uno di quei provvedimenti spesso chiamati ad personam, perché utili anche al presidente del Consiglio. Ma a beneficiarne sono stati tutti i colletti bianchi. La Cirielli infatti amputa la prescrizione per molti reati tipici di professionisti, politici o pubblici amministratori: la corruzione svanisce dopo sei anni mentre prima il tempo a disposizione era di dieci. L’effetto è stato immediato: si è passati subito da mille condanne l’anno a sole 130. Stessa dissoluzione per l’abuso d’ufficio, il reato di sindaci, ministri e pubblici dipendenti che violano le procedure, magari per favorire amici e parenti: da 1.305 verdetti si è crollati a 45. Se anche si dimostrasse che la celebre casa con vista sul Colosseo di Claudio Scajola fosse frutto di una corruzione concordata quando era ministro nel 2002 (cosa che lui nega e non è stata contestata), il caso sarebbe già fuori tempo massimo. La legge però penalizzava la recidiva: se l’imputato è un habitué del crimine, il tempo per giudicarlo si dilata. Il problema è che nessun corrotto viene condannato e quindi nessuno diventa recidivo. Un micidiale circolo vizioso, come riconoscono avvocati e magistrati. Il secondo problema sono i tagli al personale non togato: cancellieri, segretari, funzionari, commessi. Non ci sono concorsi dal 1995, quelli in servizio hanno più di cinquant’anni e non possono fare straordinari. Questo significa che, se anche un giudice vuole celebrare più udienze, si deve fermare perché al cancelliere non pagano l’extra: alle 14 si chiude, sempre e comunque.
Infine il terzo killer: l’aumento delle denunce penali. Forse perché la giustizia civile funziona ancora peggio, forse perché ci sono troppi avvocati o forse perché abbiamo più mariuoli e criminali. E anche perché si creano sempre nuovi reati, invece di diminuirli. Quello di immigrazione clandestina, ad esempio, ha sommerso le procure di pratiche complesse rese poi inutili dalla bocciatura europea: migliaia di ore sprecate e distolte da procedimenti più urgenti. Perché tutto sommato, tribunali e corti d’appello hanno migliorato le prestazioni, smaltendo più fascicoli, ma ne arrivano sempre di più. "Anno dopo anno la possibilità di giustizia diminuisce", conclude Giuseppe Grechi, presidente della corte d’appello di Milano.
SFASCIO AL NORD
Il paradosso è che la crisi è più acuta nei distretti del Nord-Est, quelli dove l’aspettativa di efficienza è più forte: la Lombardia occidentale, il Veneto, il Friuli-Venezia-Giulia. Ci sono montagne di processi accumulati che attendono solo il certificato di morte per prescrizione. Lì la carenza di risorse spicca rispetto alla modernità del territorio: fuori c’è l’Europa, nei tribunali il Medioevo. Manca tutto e sempre più spesso si ricorre agli sponsor: si fa la questua di fondi e computer, chiedendo a enti, banche e istituzioni. E - altra sorpresa - molti magistrati preferiscono la Sicilia al Friuli. A Venezia un terzo delle stanze sono vuote e i fascicoli si accatastano: in tutto il Veneto si contano 83 mila pratiche abbandonate in una discarica dove marciscono 3 mila processi l’anno.
Eppure le soluzioni concrete e immediate per frenare l’emorragia esistono. Da quasi due anni un comitato d’indagine della commissione parlamentare Giustizia ascolta tutti i protagonisti chiedendo lumi sul perché non ci sia "una ragionevole durata del processo": giudici, avvocati, docenti, cancellieri hanno fornito relazioni chiare, con dati e indicazioni pratiche. L’allora consigliere del Csm Bernardo Petralia fece un calcolo elementare: mancano 215 pm e quindi 160 mila fascicoli sono alla deriva senza un titolare. Eppure coprire i buchi nella magistratura non sembra la strada madre. In Italia i posti scoperti sono 1.115 pari all’11 per cento, ma i concorsi non riescono a selezionare candidati all’altezza, cosa che dovrebbe far riflettere sulla salute degli atenei: "Il sistema universitario italiano riesce a produrre non più di 250 magistrati bravi l’anno", sintetizza con una battuta il dirigente del ministero Luigi Giuseppe Britteri. Tutti ovviamente insistono sulle risorse: chiedono più fondi e spesi meglio, per aprire nuove aule, arruolare cancellieri e segretari, comprare computer adeguati. Poi c’è la questione delle sedi minori: piccoli tribunali, residui ottocenteschi che sono uno spreco nello spreco. Se ne potrebbero chiudere fino a 80, da Montepulciano a Pinerolo, e riutilizzare gli organici per migliorare la produttività di quelli maggiori. E si invocano regole per sfruttare al massimo l’informatica: a partire dalle notifiche - ossia gli avvisi fondamentali per i processi - mandate via mail. Le sperimentazioni hanno dato esiti miracolosi, con tempi ridotti del 75 per cento. Infine, abbattere il numero di nuove cause, depenalizzando molti reati o filtrando quelli ormai ridicoli, come le liti per i cani che abbaiano o la musica ad alto volume: si sta cercando di farlo con la prassi della conciliazione, appena entrata in vigore, ma servono interventi più ampi. Un altro colpo andrebbe dato ad alcuni privilegi dei magistrati. Ad esempio i dottorati di ricerca: sono un diritto, con l’aspettativa e quindi l’ufficio vuoto in 22 casi e il part-time in altri 50. "Trapani ha già magistrati al terzo dottorato e in teoria esistono 33 specializzazioni che si possono frequentare", ha chiosato Papalia: "Negli ultimi due concorsi ci sono stati ben 20 neo-magistrati in dottorato che non hanno messo piede nei tribunali". E che - beffa finale - ottengono un punteggio maggiore dei colleghi sommersi di lavoro.
Nessuno degli operatori vede nel "processo breve", che introduce tempi ancora più stretti per la prescrizione, una soluzione: in queste condizioni, sarà solo il colpo di grazia a un paziente agonizzante. In pochi anni verranno sepolti centinaia di migliaia di procedimenti: si stima che saranno la metà di quelli in corso. A Roma 23 mila, a Napoli 33 mila: un’amnistia mascherata. Ma senza una terapia d’urgenza, un numero colossale di crimini resterà impunito. Volete un esempio? Nel tempo che avete dedicato a leggere questo articolo, sono andati prescritti tre processi. Potrebbe essere il caso della donna di 54 anni morta durante un’operazione all’anca a Reggio Emilia: i familiari hanno speso soldi per costituirsi parte civile e hanno atteso invano per dieci anni, la verità non ci sarà mai. O il più grande scandalo di corruzione nella sanità romana, le tangenti elargite da Lady Asl per farsi rimborsare ricoveri inesistenti. O le mazzette intascate per la ricostruzione dell’Irpinia terremotata, la vergogna della prima Repubblica: il processo è finito al macero da poco, 30 anni dopo il sisma. Nessun colpevole, nessun innocente: tutti prescritti. A pagare è solo la giustizia.