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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

QUI CI VUOLE UN VERO RIGORE

Per prevedere il caos di questi giorni difficili, non ci voleva l’inventiva di Guglielmo Marconi". L’allenatore dell’Inghilterra Fabio Capello, 65 anni tra una settimana, osserva disilluso l’ennesimo scandalo del calcio italiano. Dall’inchiesta di Cremona sull’alterazione dei campionati emerge un universo che dal primo scandalo scommesse a oggi, non ha saputo rigenerarsi. Tesserati che si augurano la sconfitta della propria squadra o garantiscono ai burattinai la corruzione di portieri, difensori e attaccanti, presidenti inclini a vendere l’onore, ex stelle tramontate abili a far di conto, zingari poco felici e millantatori.
In mezzo, un mondo che, perse coordinate e credibilità, attende che la notte non diventi più scura. "Certi personaggi sono sempre esistiti, ma di solito chi tentava di viziare una gara, si avvicinava a gente con la conclamata passione per l’azzardo", commenta Capello: "Se fossero venuti da me, avrei saputo cosa dirgli. Simili porcherie, con lo sport, non dovrebbero aver nulla a che fare". Gianfranco Zola, ex di Napoli, Parma, Chelsea e nazionale che a 38 anni rinunciò ai miliardi di Roman Abramovich per correre a Cagliari in serie B, individua alla radice un problema culturale: "Il calcio italiano è gravemente ferito, ma quando passa l’equazione per cui non vincere equivale a essere un perdente, ragionare di rimedi diventa complicato. Una speranza? La giovane Nazionale di Cesare Prandelli. Un bravo tecnico, ma soprattutto una persona dai princìpi solidi. Se dovessi individuare un angolo di pulizia da cui ricominciare a smacchiare un contesto in cui esiste comunque qualcosa da salvare, sceglierei il suo". Allora eccolo Cesare Prandelli, mediano di dubbio talento che trottò in provincia e servì dedizione alla corte di Michel Platini. Da ragazzo, alla corsia preferenziale anteponeva l’impegno. Nella maturità, l’erede di Bearzot non ha deviato dal percorso. Parla di valori, ammonisce: "Troppi soldi, eccessive tentazioni. Se non impariamo che dietro l’illusione del facile guadagno si nasconde il male, rimarremo nella palude". Che è quella italiana perché il calcio è solo una parte del tutto: "Siamo circondati dagli scandali", sostiene Prandelli e se è "giusto che chi ha sbagliato paghi"riformare campionati bulimici che si espandono senza che al gigantismo corrisponda adeguato controllo è una soluzione: "I calciatori dovranno essere responsabilizzati per rispettare i tifosi e le società che investono. Purtroppo nelle categorie inferiori il professionismo è più debole e aggredito da fattori esterni e interni". Capello legge l’altra faccia della luna ma non trova luce. Parla di decadenza e segnali che, interpretati in anticipo, avrebbero potuto consigliare antidoti e contromisure: "Gli stadi si sono svuotati, il pubblico si è stancato e sono stati compiuti errori gravi. Il primo è stato l’allargamento del campionato di serie A da 18 a 20 squadre. Il secondo, concedere dignità professionistica a realtà societarie che non erano in grado di sopportarne il peso. Il calcio costa e di imprenditori che si sono rovinati per assecondarne la schizofrenia ne abbiamo visti fin troppi".
La sensazione, mentre trema anche la serie A, è quella del ritorno al punto di partenza. Al 1980, agli arresti a bordo campo delle figurine della domenica, a tutte le Calciopoli che tra un arbitro comprato, una telefonata intercettata e un’amnistia, si sono susseguite invano. Nelle serie minori ma non solo, insolvenze e improvvisi cambi proprietari spesso lasciano i protagonisti in balìa di profferte criminose. Se per Dino Zoff la debolezza manageriale non basta a giustificare "una brutta botta per il calcio di casa nostra", ridurre il numero di squadre, inasprire le pene e richiedere requisiti severi per l’iscrizione ai tornei professionistici pare naturale anche a Giovanni Galeone: "Si può essere dilettanti senza vergognarsi di esserlo, perché è chiaro che se il tuo presidente non ti paga da un anno, cadere nella tentazione della combine è più semplice".
Friulano di ascendenza napoletana, lettore appassionato di Prévert e compagno di sabbiature e partite a Grado di Pier Paolo Pasolini, Galeone all’inizio degli anni Ottanta disegnò trame paradisiache a Pescara. I tifosi lo veneravano: "Dio inventò il pallone e non contento fece Galeone". Passato remoto di un’innocenza provinciale trasmutata in Gomorra. Il presente per Galeone è fosco: "Le dico la verità, mi sento disarmato, triste, sconfitto. Serie B e serie C sono diventate terra di conquista per i riciclatori di denaro sporco e scoprire che sui siti asiatici, in poche ore, si possano investire su una partita di seconda serie 20 milioni di euro, offre un quadro di fondo potenzialmente irreversibile. Cialtroni organizzati che promettono a ragazzi molto sciocchi e privi di strumenti guadagni facili e immediati. E quando vincono, invece di godersi il denaro, reinvestono. Non ho parole".
Per Dino Zoff, che si proclama "garantista fino a prova contraria", gli allarmi suonavano da almeno un quinquennio: "Mi chiedo come mai nelle stanze della Lega calcio, dove ci sono le stesse persone da vent’anni, l’esempio di Calciopoli non abbia aiutato i controllori a drizzare le antenne". Né a vigilare adeguatamente sulla commistione tra crimine e pallonari: "Al calcio si sono avvicinati i banditi", lamenta Galeone: "Intorno ai ritiri delle squadre vedi girare brutte facce, personaggi ambigui, ceffi che trovano ospitalità in tribuna d’onore o peggio, sugli aerei dove viaggiano i calciatori. Un tempo tenerli distanti era più facile".
Damiano Tommasi, vent’anni di carriera tra gli applausi trasversali e neo presidente dell’associazione calciatori crede più in Dio che negli uomini. Ma negli arresti in prima pagina non vede peccato. "Segnalare che per chi sbaglia e inganna esiste una punizione è importante. Però non sono un giudice e gli eccessi mediatici e i processi sommari a istruttoria ancora aperta mi convincono poco", dice. Secondo Tommasi si deve edificare la nuova casa dalle fondamenta: "Riportare l’etica al centro del confronto, distinguere comportamenti giusti e sbagliati, impedire che si possa scommettere in diretta, come accade, anche su chi batte il primo fallo laterale". Tommasi è secco: "Se ne esce tutti insieme. Calciatori, federazioni e presidenti. Il punto di rottura è l’illegalita che danza attorno allo sport. Il giro di denaro che apre la porta ai malintenzionati. I milioni che un pacifico pareggio di fine stagione può portare nelle tasche di persone interessate al lucro".
Tra loro, molti nomi noti. Quello di Beppe Signori induce Galeone alle reminiscenza: "Fino a 23 anni giocavo d’azzardo anch’io. Poi giurai di non farlo più, ma il gusto dello scommettitore è nel brivido della possibile sconfitta. Se penso a Beppe, mi chiedo che gusto provasse nel puntare su un risultato certo". Se Zoff, che lo ha allenato, non ignorava la propensione di Signori ("Ma scommettere in sé e per sé non è un reato"), l’argomentare di Zola viaggia sul crinale dell’ironica distinzione: "Non so neanche cosa sia un over. Può spiegarmelo?". Poi si fa serio: "Leggo le telefonate e capisco che il pallone è solo un pretesto per accumulare soldi, una terra di nessuno in cui far germogliare i propri interessi economici. Manca etica e non si compra al mercato".
Formule magiche non esistono. Discutere di soluzioni è complicato. Galeone propone l’apertura di un tavolo congiunto per appianare gli squilibri ma ammette : "È una prospettiva debole". Zola spera nei vivai, Prandelli nella limitazione degli stranieri e Capello espone un manifesto di avanzata precarietà: "A forza di fare i conti senza l’oste, il calcio italiano ha perso la sua centralità. Oggi affianca quello francese e arriva dopo l’inglese, lo spagnolo e il tedesco. Questione di fiscalità diverse, tassazioni e incentivi all’investimento. Risanare i bilanci di chi è in grado di affrontare l’impresa è un buon punto di partenza". Ammesso che in questo limbo atemporale tra purgatorio e inferno, prima del diluvio, ci sia ancora un pezzo di cielo per ravvedersi.