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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

Andrej Longo, il pizzaiolo che ha conquistato Calasso - C’ è un pizzaiolo che sforna storie per l’aristocratica casa editrice Adelphi

Andrej Longo, il pizzaiolo che ha conquistato Calasso - C’ è un pizzaiolo che sforna storie per l’aristocratica casa editrice Adelphi. Andrej Longo, cinquantaduenne, originario di Ischia, d’estate onora il mestiere che naturalmente riconduce a Napoli, di «margherita» in «margherita». O, meglio, una volta, al tempo dell’esordio con i racconti Dieci . O ancora prima. Una verità - il lunario sbarcato imbiancandosi le mani - via via sfumata nella leggenda, a mano a mano che le trame si succedevano, sino al freschissimo Lu campo di girasoli . Come annuncerebbe il puparo: lo straordinario amore di Caterina e Lorenzo, lu scarparo suonatore di tammorra , insidiato dal Don Rodrigo di turno, il bullo ( nomen omen ) Rancio Fellone, dattorno l’amicizia non meno favolosa di Dummenico e lu Professore , senza lavoro, ma stracolmi di umanità. «Capisco, è una nota di colore, piace ricamarvi sopra», è indulgente Longo, ospite a Torino della libreria Torre di Abele, per la manifestazione «Invito a bozze». «Fui pizzaiolo come fui cameriere, e aiuto cuoco, e istruttore di surf. Lavorare occorre. Da Ischia a Napoli - ricordo una fidanzatina, stava in periferia -, da Napoli a Bologna, il Dams, da Bologna a Roma». Roma, ovvero? «Il teatro e il cinema. Collaborai con la Wertmüller alla riduzione di Io speriamo che me la cavo , dal libro di Marcello D’Orta. Quindi mi ritrassi. A Roma ce la fa chi sa stare, come dire?, infilato... Non è un numero che mi riesca facilmente, anzi: manco lo tento». Cinema, teatro, letteratura... «In realtà, la passione naturale è la letteratura. Scrivere anziché parlare. Ho sempre cercato di evitare gli orali. Come sono cresciuto? Grazie alla mia futura moglie. Sognava di sposare uno scrittore, le rivelai che custodivo qualche foglio nel cassetto, mi sollecitò a tirarli fuori». Fogli d’autore, se l’approdo sarà Adelphi. «Partecipai a Roma alla presentazione di un libro di Giuseppe Ferrandino. L’adelphiana Ena Marchi domandava all’uno e all’altro: come si chiama, che cosa fa? Le dissi dei miei racconti. Li volle vedere. Non la soddisfacevano, ma mi incoraggiava a non demordere. Sin quando mi annunciò il debutto». Uno scrittore italiano nel catalogo Adelphi, rara avis . Avrà conosciuto Roberto Calasso, il direttore editoriale. «Abbiamo scoperto di pensarla all’unisono. Prima di Lu campo di girasoli gli spedii un romanzo che di lì a un mese non mi convinceva più. Quando salii a Milano, gentilmente, mi interrogò, dissimulando il giudizio negativo: “Ci tiene veramente alla sua opera?”. I nostri punti di vista coincidevano alla virgola». Napoli, palcoscenico di Dieci e del successivo Chi ha ucciso Sarah? «Una città straordinaria. Irredimibile? No di sicuro. È piena di energie. Se ha saputo inventare la camorra, saprà e vorrà, non ne dubito, escogitarne l’antidoto». I «suoi» scrittori partenopei? «La Parrella delle origini. E qualche racconto di Domenico Rea. Ma non riconosco ascendenze particolari». E il Saviano di Gomorra ? «Testo cardinale. Di una chiarezza esemplare. Una lezione di civiltà. Nel senso che bisogna conoscere le cose per decidersi a cambiarle». È la lingua il personaggio centrale dei suoi (sinora) tre libri. In Lu campo di girasoli signoreggia il «dialetto», dall’inizio all’epilogo. Una lingua «sognata», avverte il risvolto di copertina. «Sì, l’ho sognata, mi è apparsa di notte, con l’incipit: “Si stevano sistemammo per ascire a la festa di Santu Vitu Liberatore”. È una miscela di napoletano, di brindisino, l’alfabeto paterno, di siciliano, respirato in un breve soggiorno isolano». Qualcuno l’avrà accostata - con riferimento alla lingua - ad Andrea Camilleri. «E invece no, non ancora. Lu campo di girasoli è solo mio».