Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’ultimo guaio di Silvio Berlusconi si chiama Gigi Bisignani, uomo sconosciuto al grande pubblico, ma conosciutissimo da politici, uomini d’affari e giornalisti. Che fosse un potente del sistema lo abbiamo sempre saputo tutti. Che i relativi intrecci, amicizie, alleanze, raccomandazioni, consulenze fossero al limite lo abbiamo sempre pensato, come abbiamo sempre pensato che l’uomo era troppo abile e troppo defilato per mettere davvero il piede in fallo. Senonché adesso due magistrati napoletani, uno dei quali è Woodcock, pensano di aver decifrato il garbuglio e hanno arrestato Bisignani (domiciliari), vogliono mettere dentro l’on Papi, berlusconiano (richiesta spedita al Parlamento) e il sottufficiale dei carabinieri napoletano Enrico Giuseppe La Monica (che però, da quando ha saputo del pericolo, se ne sta all’estero), e indagano il poliziotto Giuseppe Nuzzo.
Perché tutto questo è un guaio per
Berlusconi?
Perché il nome di Bisignani conduce a Gianni Letta, nel cui
ufficio, a quanto si sa, il nostro entrava senza bussare. E dire “Gianni Letta”
è come dire “Berlusconi”. Senonché ieri un avversario di Berlusconi, cioè l’on.
Casini, ha rilasciato questa testimonianza su Letta: «Letta è uomo che parla con
tutto il mondo e tutto il mondo parla con lui. Se c’è una persona su cui
metterei la mano sul fuoco per onestà e correttezza quella è Gianni Letta. Ho
testimonianza diretta che Letta ha sempre rifiutato di stare in Parlamento,
dove avrebbe potuto godere dell’immunità, perché vuole che il suo servizio sia
del tutto gratuito e svolto senza onori di nessun tipo. Io non metterei la mano
sul fuoco per nessuno, ma su di lui sentirei di mettere due mani sul fuoco».
Una dichiarazione in fondo ovvia, perché sia Letta che Casini hanno i loro
referenti in Vaticano. Però anche significativa: Casini – che Bisignani lo
conosce – in una dichiarazione tanto impegnativa non ha detto mezza parola
sull’imputato numero 1.
Bisignani non ha a che vedere col
Vaticano?
Molto a che vedere. L’uomo era massone iscritto alla
P2 (Licio Gelli) e contemporaneamente in stretti rapporti con lo Ior, la banca
vaticana. Nel 1990 aprì un conto riservatissimo presso questa banca,
depositando 600 milioni di lire in contanti. Da quello stesso conto
transitarono poi altri 23 miliardi, frutto di mazzette. Bisignani lo gestiva
insieme al cardinale americano Spellman e, a quanto s’è capito, anche per conto
di Andreotti (detto in questo caso “Omissis”). Fu Bisignani a manovrare, sempre
attraverso lo Ior, un bel pezzo della tangente Enimont da 150 miliardi di lire.
Tutto ciò avvenne all’insaputa della legge? Una condanna c’è stata: 2 anni e 8
mesi nel 1998 proprio per la faccenda Enimont. Eppure se si guarda il suo
cursus honorum dal lato visibile, è tutto un trionf da redattore dell’Ansa a
capo ufficio stampa di di Stammati (varie volte ministro tra il 1976 e il
1979), poi fedelissimo di Andreotti e capo delle relazioni esterne di Gardini,
incaricato specificatamente di tenere i rapporti istituzionali. L’aveva già
messo nel mirino De Magistris, con l’inchiesta cosiddetta Why not, un buco
nell’acqua completo.
Che incarico aveva adesso?
Executive vice president della Ilte, il più grande
stabilimento tipografico italiano (300 mila metri quadri a Moncalieri, vicino a
Torino), quello che stampa, tra l’altro, gli elenchi telefonici e le pagine
gialle. I fratelli Farina, azionisti della Ilte, stanno tentando da qualche
anno di diventare editori, pubblicano fra l’altro il free press Dnews. Ci sarà
anche lo zampino del vicepresidente, in questo? L’uomo sa quanto conta la
comunicazione.
Esattamente di che cosa lo accusano?
Mah, l’accusa è piuttosto generica. «Acquisizione
illegale e gestione di notizie riservate e secretate inerenti, tra l’altro,
anche delicati procedimenti penali in corso». I pm dell’inchiesta (oltre a
Woodcock, c’è Francesco Curcio) non hanno detto di più, anche se sui giornali
sono finite come al solito delle intercettazioni, dalle quali si capisce quello
che già si sa, e cioè che Bisignani conosce tutti e tutto. I magistrati lo
accusano di essere a capo di una società segreta, chiamata per l’occasione P4,
con la quale vinceva appalti e si adoperava perché gli uomini giusti sedessero
al posto giusto. Più di questo non si sa. I capi d’imputazione per tutti i
personaggi coinvolti (ci sono anche Valter Lavitola, direttore dell’”Avanti!”,
l’imprenditore Angelo Chiorazzo e un commerciante di cellulari, Raffaele
Balsamo) sono 19, ma il gip non ha accolto la tesi dell’associazione a
delinquere, il che, per un’inchiesta di questo tipo, dovrebbe risultare
scoraggiante.
Come mai un
uomo così potente s’è fatto arrestare tanto facilmente?
Quando il suo nome venne fuori nell’ambito
dell’inchiesta P2, lo stesso Bisignani telefonò all’Ansa per dare la notizia (e
smentire di aver nulla a che fare con Gelli). Quando venne messo sotto
inchiesta per l’affare Enimont, si presentò spontaneamente ai magistrati.
L’uomo è, personalmente, simpatico, e furbo, e molto svelto. Ha fatto anche lo
scrittore di gialli, non ha macchina con autista ma adopera come ufficio mobile
un taxi della capitale guidato da un Paolino che è sempre a sua disposizione.
Per Woodcock, che non ha un gran curriculum di inchieste di successo, sarà un
osso durissimo
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 17 giugno 2011]
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