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 2011  giugno 17 Venerdì calendario

RAFFAELLO, LA NUOVA LUCE

Tra le emozioni attraversate nei dieci anni passati sui ponteggi a restaurare gli affreschi di Raffaello nella Stanza di Eliodoro, Paolo Violini ha affrontato anche un momento di terrore puro. «È accaduto quando ho cominciato a ripulire la scena dell’ angelo che libera san Pietro», racconta il restauratore. Si tratta di uno dei più famosi «notturni» della storia dell’ arte italiana. Le due figure sono in alto a destra della parete, quasi vicino al soffitto e da terra non si distinguono i particolari di cui parla Violini. Ma siamo riusciti a fotografarli e nell’ immagine si possono osservare allo stesso modo in cui i tecnici li hanno visti sui ponteggi, a pochi centimetri di distanza. Dunque Violini comincia a ripulire la raggera che avvolge l’ angelo in una mandorla di luce e che nasconde la spalla della retrostante figura di Pietro. «Via via che scendevo lungo il braccio, i raggi mi si spezzavano tra le dita. Più scendevo e più diventavano evanescenti. Ho cominciato a pensare che stavo rovinando un capolavoro. Poi, quando sono arrivato sulla mano di Pietro, ho capito: intrecciata a quella dell’ angelo, trapassa la luce e appare in primo piano». Un’ altra scoperta affascinante riguarda la tovaglia che copre l’ altare dove si celebra la messa del miracolo di Bolsena. «Raffaello, nell’ intento di rendere la scena estremamente realistica, dipinge due tessuti sovrapposti: il primo ad affresco in bianco e nero, il secondo a secco con un decoro a fasce orizzontali bianche e dorate e un motivo di cervi. Sono le tovaglie che nel Cinquecento coprivano le mense dei refettori e che vengono tessute ancora oggi in alcune zone dell’ Umbria». Sono stati ritrovati, qua e là sui dipinti, i bolli di ceralacca usati nel corso dei secoli dai copisti per fissare i fogli trasparenti sui quali venivano ripresi i disegni che poi servivano per le incisioni. E sono riapparse, con sequenze in prospettiva di varie tonalità di grigi, le straordinarie architetture delle scene, offuscate fino ad oggi da uno spesso strato marrone di grassi e polveri. Ma il ritrovamento più stupefacente è quello di «un Raffaello che si incendia di colori», come fa notare Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani: «Deve essere accaduto qualcosa in quegli anni fatali tra il 1511 e il 1513, quando il pittore umbro era impegnato a decorare le stanze di Giulio II. Incombeva la pittura veneziana, ma Raffaello non l’ aveva mai vista. Eppure i suoi colori ricordano Tiziano e Giorgione». Giorgione era morto nel 1510 e «le ceneri violette» dei suoi funerali, evocate poeticamente da Roberto Longhi, oltre a ricadere sui pittori del nord, come Dosso Dossi o Romanino, forse avevano raggiunto un po’ anche Roma. Si vede nei rossi profondi, nelle variazioni cromatiche delle vesti che coprono le figure della cacciata di Eliodoro dal Tempio, negli episodi dell’ antico Testamento rappresentati sulla volta. Emozionante il gioco della luce naturale che entra dalla grande finestra affacciata sul cortile del Belvedere: a metà pomeriggio fa risaltare il giallo delle fiamme del roseto ardente di Mosè, ma verso le otto di sera, con l’ illuminazione radente del tramonto, improvvisamente fa esplodere l’ oro puro sparso sulle lingue di fuoco. Un momento magico, che i visitatori potranno vivere stasera, in occasione dell’ apertura notturna dei Musei Vaticani (dalle 19). Si potrà vedere la Stanza di Eliodoro restaurata (manca ormai solo la parete dell’ incontro di Leone Magno con Attila), ma, in un angolo della Stanza, anche il quadro con la «Madonna di Foligno», portato qui per pochi giorni prima di essere spedito a Dresda, dove raggiungerà il suo «gemello», la «Madonna Sistina», nella mostra «Splendore celeste: Raffaello, Dürer e Grünewald» (6 settembre 2011-8 gennaio 2012). I restauri definitivi della Stanza di Eliodoro, la terza ad essere ripulita dopo la Stanza della Segnatura e quella dell’ Incendio di Borgo, sono previsti per l’ estate del 2012. Subito dopo, annuncia Paolucci, si passerà all’ ultima, quella di Costantino, dipinta dagli allievi su disegni del maestro, morto prematuramente prima della fine dei lavori. Spiega Violini, il quale ha eseguito i restauri insieme a Fabio Piacentini e con l’ aiuto delle analisi tecniche eseguite da Ulderico Santamaria, che gli affreschi di Raffaello hanno subito almeno tre restauri ogni cento anni, a partire dal Seicento. I primi furono realizzati da Sebastiano dal Piombo per riparare i danni provocati dai lanzichenecchi durante il Sacco di Roma del 1527. Il primo ad introdurre una nuova tecnica della conservazione, all’ inizio del Settecento, fu Carlo Maratta, il quale, anziché ridipingere sopra lo sporco, pensò che sarebbe stato meglio rimuoverlo. Lo fece stendendo sugli affreschi panni bianchi intrisi di vino greco. Quando i panni diventavano color marrone, voleva dire che avevano assorbito le polveri grasse e potevano essere rimossi.
Lauretta Colonnelli