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 2011  giugno 17 Venerdì calendario

A LETTO CON LE MANETTE

Due indizi non fanno una prova neanche dalle parti - sbrigative - dell’Italia dei valori. Il primo indizio l’ha raccontato ieri l’Espresso: una 31enne ha denunciato d’esser stata vittima di avances e ricatti da parte del senatore Stefano Pedica e del deputato Pierfelice Zazzera, entrambi iscritti all’Idv. Una storia che ne ricorda un’altra che Libero teneva nel cassetto da un po’: una denuncia per «mobbing e stalking» che venne mossa al senatore Stefano Pedica da parte di una ragazza che però ha un nome e un cognome: si chiama Monia Lustri ed è una 35enne originaria di Avezzano (Abruzzo) che ora vive a Roma dove milita nell’Udc, che l’ha delegata alle politiche femminili e alla sicurezza nei luoghi di lavoro, questo dopo aver ricoperto gli stessi incarichi anche per l’Udeur di Clemente Mastella. Dal febbraio 2008 e per un anno circa, però, aderì all’Italia dei valori che la candidò alla Camera (collegio Lazio 1) e in maggio la fece «responsabile organizzativa regionale». Poi, a fine marzo 2009, è successo qualcosa. «Quando cercai di rinnovare l’iscrizione all’Idv, mi tornò indietro un fax con scritto “rifiutata”. Senza altre motivazioni».
Parliamo dell’Associazione Italia dei valori o del Partito?
«Del Partito. Ho scoperto solo in seguito che c’era una differenza tra la scatola vuota a cui venivano iscritti tutti e il soggetto economico retto dai tre soci fondatori, cosa che trovo scandalosa».
Bene, ma che problema c’era stato?
«Ho militato nell’Idv romana dal 13 febbraio 2008, invitata dall’onorevole Gabriele Cimadoro; poi diciamo che ho avuto dei problemi col senatore Pedica, col quale ho avuto un rapporto strettamente confidenziale».
Allora. Stefano Pedica è un senatore, sposato, separato con figli, che è un ex qualsiasi cosa (Dc, Ccd, Udeur, Democrazia Europea, Dc di Rotondi, ora Idv) e che è balzato agli onori delle cronache anche perché ottenne un alloggio del Vaticano tramite Angelo Balducci. Questa almeno è stata l’accusa, secondo la quale l’appartamento doveva spettare a Di Pietro - in via Paolo Emilio 57, quartiere Prati, in un palazzo umbertino che risulta nell’elenco dei lavori fatti da Diego Anemone nel 2007 - anche se alla fine ci andò Pedica, appunto.
«Pedica, sul Fatto quotidiano, ha dichiarato che in quell’appartamento non ci ha mai vissuto: ma non è vero, ci ha vissuto con certezza almeno dal marzo all’agosto 2008. Lo so perché ci sono stata un sacco di volte».
Quando avevate una relazione?
«Sì».
Si parla dell’appartamento pluri-restaurato con vetri blindati, telecamere interne ed esterne, finiture di lusso.
«Confermo. Lui mi disse che gli era stato dato completamente arredato e sistemato da uno studio di architetti, e che per spese varie, affitti e trasloco compresi, non aveva speso un centesimo. Lui poi ha cambiato casa».
Lei nel novembre 2008 ha presentato una querela, assieme al suo avvocato, contro il senatore Pedica.
«Io, ufficialmente, ho sporto una querela contro ignoti».
Sì, ma nella seconda pagina della querela lei allega l’indirizzo web del senatore Pedica dell’Idv, «cioè colui», mi ha scritto, che mi ha perseguitata perché a maggio 2008 l’ho lasciato, una sorta di mobbing con un pò di stalking».
«L’ho fatto per evitarmi una contro-querela immediata. Ho pensato che Pedica, semmai, l’avrebbero messo in mezzo i magistrati».
Senta, ma che cosa intendiamo per mobbing e stalking?
«Io sono stata insieme a Pedica appena entrata nel partito, precisamente dal 27 marzo 2008. Abbiamo cominciato a uscire insieme e a fare vari giri per il Lazio. Fu un errore mio».
Perché?
«Perché a me in realtà non interessava granché. Però pensai che, se l’avessi respinto, mi avrebbe buttata fuori dal partito. Ci siamo visti per un paio di mesi, poi a maggio ho scoperto che tipo di persona era e allora gli ho detto, per telefono: lasciamo stare la parte privata, vediamoci solo, come dire, politicamente. Lui mi disse che mi avrebbe fatto terra bruciata, che avevo finito di fare politica. Da quel giorno lui ha cominciato a spedire email con ingiurie e diffamazioni contro di me».
Tutto perché lei l’aveva lasciato ?
«Sì, ma mi risulta che non sia nuovo a certi comportamenti. Ha fatto cose del genere anche con chi gli aveva chiesto più trasparenza nella gestione del partito a livello regionale».
Da capo: e il mobbing? Lo stalking?
«Nel 2008 io ero iscritta nell’Idv, poi nel 2009 non mi hanno più voluta iscrivere: fecero un atto di sospensione “necessario e urgente” solo perché avevo proposto la mia candidatura alla regione Abruzzo. Fece tutto Pedica, dopo che l’avevo lasciato. Un venerdì sera mi arrivò un suo sms : “Ti sto diffidando”, “stai per ricevere una sospensione”. Io feci subito subito ricorso, allora lui mi convocò e mi disse che se avessi ritirato la candidatura lui avrebbe ritirato l’atto di sospensione».
E poi?
«Poi ho frequentato privatamente alcuni parlamentari dell’Idv che mi hanno avvicinata, inizialmente, con la scusa di aiutarmi a risolvere i miei problemi causati da Pedica. Risultato: mi hanno portata a letto passando da un invito a cena, poi più nemmeno da quello».
Di chi parla?
«Di due persone molto in alto, anche più in alto di Pedica. Con uno andai a cena solo la prima volta. Lo vidi altre due volte, dopodiché rifiutai i suoi inviti. L’altro, con cui andavo a cena prima di passare a casa sua, lo frequentai dalla sera del 22 dicembre 2008 sino a fine febbraio-inizio marzo 2009, quando presi atto, dopo avergli parlato degli abusi di Pedica, che non avrebbe fatto nulla. Diceva sempre che Pedica aveva molti limiti, “però lavora”. Litigammo. Mi disse che Pedica non doveva sapere di noi due, una frase che non mi piacque. Da una parte difendeva Pedica, anzi, se gli parlavo male di Pedica diventava una bestia; dall’altra frequentava di nascosto la sua ex ragazza. Alla fine decisi di dire tutto a Pedica. Fatto questo, l’altro non mi ha più chiamata, non ha più risposto agli sms, appena dicevo “Monia” chiudeva il telefono».