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 2011  giugno 17 Venerdì calendario

Montecarlo, 19 aprile 1956, giovedì Matrimonio Ranieri Grimaldi e Grace Kelly «Grace Patricia, vuoi tu prendere come legittimo sposo

Montecarlo, 19 aprile 1956, giovedì Matrimonio Ranieri Grimaldi e Grace Kelly «Grace Patricia, vuoi tu prendere come legittimo sposo...?» Il suo sì è così flebile che i microfoni quasi non riescono a coglierlo. È un sì che trasforma la vita reale in una fiaba. È lei la donna che visse due volte: prima come star, e poi, da oggi, come principessa. La sposa non è vergine ma è verginale. Come annotò un suo ex, lo stilista Oleg Cassini, «lei profumava di gardenie, esotiche e purissime al tempo stesso. Aveva un che di trasparente e di perlaceo. Tutto in lei era chiaro, fresco e bello». Miss Grace Kelly recita il ruolo di sposa del secolo come fosse sul set di un film. Ma è la vita vera, questa, e il set, oggi, è la cattedrale neogotica di San Nicola, spalancata sulla luce d’oro del Mediterraneo. Dirà: «Non sarei mai stata in grado di svolgere mio ruolo altrettanto bene se non avessi fatto l’attrice». L’abito che indossa è un dono della Metro Goldwyn-Mayer, che ha ottenuto l’esclusiva delle riprese filmate, a parziale risarcimento di un contratto rotto in anticipo. L’ha disegnato non un sarto ma la sua costumista, Helen Rose, premio Oscar per Piangerò domani. L’ha pettinata una parrucchiera della produzione arrivata anche lei appositamente da Hollywood, la più brava e la più richiesta: uno chignon perfetto, occultato sotto la cuffia di merletto a cuore di foggia vagamente elisabettiana che trattiene il velo. Unico gioiello gli orecchini di perle. Il vestito è sontuoso ed elaborato, degno di una vera principessa più che di una diva, con caste maniche lunghe, un’interminabile fila di bottoncini preziosi, molto accollato. L’abito di una costumista, più adatto a un teatro di posa che a una chiesa, a un kolossal che non a una messa nuziale. Sono stati necessari trecento metri di pizzo valencienne tempestato di minuscole perle, novantotto metri di tulle e quarantasei di taffetà per creare questa meraviglia. Il corpetto è stato modificato all’ultimo momento perché aderisse alla perfezione, strizzando ancora di più il punto vita: negli ultimi dieci giorni, coincisi con un’autentica maratona di festeggiamenti ufficiali, Miss Kelly ha perso ben cinque chili, oltre a molte ore di sonno, causa stress da vigilia. Il pallore però le si addice. Giornata variabile: il sole si alterna a rapidi e lievi spruzzi di pioggia. Sono le dieci e trentacinque di un luminoso mattino quando una Rolls-Royce bicolore scoperta, dono dei sudditi, depone la sposa davanti alla scalinata, fra due ali di guardie del principe e marinai in alta uniforme, picchetti di navi britanniche, francesi e statunitensi; per l’Italia una rappresentanza dell’equipaggio assegnato alla corvetta Airone. È impeccabile e palpitante Miss Kelly, perfettamente calata nella parte, con quello sguardo basso e virtuoso, quell’ardore vellutato, Glace la chiamano qui, come ghiaccio. Ma in America è «ghiaccio bollente». «Un vulcano dalla cima innevata», l’ha definita il suo regista preferito, Alfred Hitchcock. «Troppo fredda, una regina delle nevi», secondo Bing Crosby, innamorato respinto, con il quale ha appena finito di girare Alta società, il suo elegante addio al cinema. L’accompagna il padre, in tight e cilindro, conosciuto a Filadelfia come il re del mattone, ex muratore diventato miliardario. I settecentocinquanta invitati trattengono il respiro mentre, lenta e solenne, Grace Patricia raggiunge l’inginocchiatoio foderato di damasco scarlatto di fronte all’altare. Ha già un portamento regale: in mano stringe un piccolo bouquet di mughetti che poi andrà a deporre nella chiesina di Santa Devota. L’organo e la corale intonano Uxor tua di Johann Sebastian Bach, mentre anche le sei damigelle d’onore, Bettina, Rita, Carolyn, Judy, Sally, Marce, sue ex compagne di scuola, prendono posto. Nessuna di loro è cattolica. E nessuna, la sposa lo sa, è vergine. Oggi gli occhi del mondo sono tutti puntati sulla Rocca, sulla navata addobbata con migliaia di gigli bianchi e gremita di volti noti, sul sogno mediatico di una star premiata dall’Oscar che rinuncia alla carriera per amore. Per amore e per un trono: sta per diventare sua altezza serenissima anche di fronte a Dio, e sembra avere negli occhi l’espressione di una bambina che si accosta alla comunione, un velo di stupore incantato. Quanta fotogenica solennità. Un evento: è il primo matrimonio trasmesso in eurovisione, in ben nove Paesi diversi, a beneficio di oltre trenta milioni di persone. Una cifra che appare enorme, irreale. Le nozze vengono celebrate in un clima di isteria collettiva. I fotografi e i giornalisti accorsi da ogni angolo del mondo sono milleottocento, più che all’incoronazione della regina Elisabetta. Centomila, si stima, i curiosi arrivati in macchina, in corriera e sui treni speciali che hanno varcato i confini «fatti di fiori» per catturare un’immagine dal vivo di queste storiche nozze. Una folla plaudente assiepata lungo le tortuose strade del principato, pavesate di bandiere americane e di drappi con lo stemma dei Grimaldi: due monaci che sguainano la spada sopra il motto Deo juvante, con l’aiuto di Dio. Il principe non aspetta la sua sposa davanti all’altare. Non è previsto che un principe regnante aspetti. Scortato dal nunzio apostolico e dal suo aiutante di campo arriva qualche secondo dopo Grace, anche lui molto pallido, anche lui emozionato nell’uniforme di gala che si è disegnato da solo, ispirandosi alle divise dei marescialli di Napoleone: pantaloni azzurro cielo, giacca istoriata di foglie di quercia dorate carica di medaglie e decorazioni militari, bandoliera d’argento. Porta un collare con una grande croce massiccia, sottobraccio tiene l’elmo dei carabinieri monegaschi sormontato da piume di struzzo e con la mano destra stringe l’impugnatura di una sciabola affilata. Il padre della sposa si guarda attorno con incredulità, ammirando da americano i fasti protocollari di una cerimonia tanto «vecchia Europa», così incompatibili con i costumi d’oltreoceano. «Questo matrimonio ricorda una superproduzione alla Cécil DeMille», commenta. I sedici Cantori di Parigi intonano melodie sacre. Il sovrano ha 33 anni, Grace 26. « Il vostro matrimonio fa nascere grandi speranze», annuncia l’arcivescovo di Monaco durante l’omelia. Poi ricorda alla sposa quanto la bellezza terrena sia caduca e al principe regnante quanto sia giusto e saggio «temperare l’autorità con la tenerezza». A Grace rammenta che dovrà essere piena di buon senso come Rebecca, fedele e pura come Rachele, e sempre pudica dovrà provvedere a ringiovanire l’amore del coniuge fino a tarda età. Dopo l’arcivescovo, tiene un sermone anche monsignor John Cartin, il parroco di Filadelfia che i Kelly hanno portato con loro dagli Stati Uniti, sulla nave Constitution. Il nunzio riferisce il messaggio augurale inviato dal santo padre e impartisce la benedizione apostolica: «Pio XII invoca in abbondanza la grazia divina sulla casa che state per fondare e sul principato di Monaco». Grace estrae rapidissima dalla manica destra un minuscolo fazzolettino di pizzo. Sembra irradiare luce, le mani strette attorno a una piccola bibbia rilegata in pelle bianca, gli occhi liquidi di commozione, il sorriso angelico, il gesto lento e calibrato, il portamento altero anche mentre sta seduta e ascolta. È attenta, pronta, irreprensibile: si alza, si inginocchia, torna a sedersi sempre con qualche secondo di anticipo sul principe. E guarda dritto davanti a sé senza incertezze, concentrata e regale. Quando gli sposi si scambiano le fedi c’è un piccolo intoppo. «Date uno all’altra questo anello ripetendo con me: prendi e porta questo anello come pegno della mia fedeltà.» La fede che Ranieri mette all’anulare di Grace fatica a entrare, si blocca. Bisogna spingerla, fare forza, insistere. Interviene la sposa, pragmatica, efficiente. In pratica si mette l’anello da sola. È un attimo, solo un attimo, sotto una tempesta di flash, mentre le note del Te Deum inondano la cattedrale. L’arcivescovo prega Dio onnipotente: «Santifica i cuori e i corpi di questi tuoi servitori, benedicili e fanne una cosa sola». La cerimonia è più lunga del previsto. Somerset Maugham si lamenta che ha freddo ai piedi, Ava Gardner guarda con ammirazione la sposa ma disapprova la presenza delle cineprese, non perché le trovi fuori luogo, piuttosto perché sono di vecchio modello: «Macchine antiquate, fanno troppo rumore», stigmatizza all’uscita. «È indecoroso portare macchine da presa così rumorose in chiesa, in America una cosa del genere non sarebbe potuta succedere.» Nemmeno un matrimonio così, tranne che a Hollywood, con fondali di cartapesta e una sceneggiatura di fantasia. Certo: il gotha non c’è. Re e regine hanno declinato l’invito, non ritenendo il principato degno della loro augusta presenza né la dinastia abbastanza nobile e prestigiosa, anzi, un casato da operetta che vive sul gioco d’azzardo. La regina Elisabetta si è fatta rappresentare dal suo ambasciatore e ha mandato in regalo due piatti da portata in oro massiccio. È venuta però la duchessa di Windsor, infaticabile presenzialista di lusso. Dei regnanti o ex regnanti c’è soltanto Farouk, il re d’Egitto in esilio, e c’è l’Aga Khan, su una sedia a rotelle spinta dalla Begum, ma l’aristocrazia europea ha disertato compatta. In compenso è accorsa quella del cinema: non Frank Sinatra, che profetico ha definito Grace Kelly «una principessa nata», ma Cary Grant sì, protagonista con lei di Caccia al ladro, che alla sposa ha regalato un barboncino nero destinato ad accompagnarla anche in luna di miele. Ecco Gloria Swanson, Alec Guinness, David Niven. E poi c’è Porfirio Rubirosa, il leggendario playboy, c’è il figlio di Winston Churchill, c’è François Mitterrand, ministro della giustizia francese, e c’è il grande Jean Cocteau, in montgomery bianco, che ha scritto: «Il verbo amare è uno dei più difficili da coniugare: il suo passato non è semplice, il suo presente non è indicativo, e il suo futuro non è un condizionale». E naturalmente ci sono numerosi miliardari, con il tight e la tuba sotto il braccio, primo fra tutti Aristotele Onassis, il quasi padrone del principato, che è riuscito a mettere le mani sulla Société Bains de Mer, e per conquistare le sue simpatie ha fatto avere alla sposa il più sontuoso dei regali di nozze: una faraonica parure, bracciale e diadema, di diamanti e rubini montati a rombi, a riprodurre la scacchiera bianca e rossa dello stemma Grimaldi. Per ingraziarsi la neo principessa ha anche donato alla Croce Rossa monegasca, di cui Grace è da oggi presidente, un milione di franchi. Il fulgore dei gioielli esibiti dalle dame in cattedrale è abbagliante e la polizia è in allerta da giorni: ha già sventato più di un furto con destrezza negli alberghi, in stile Caccia al ladro. Risuonano le note gioiose dell’Alleluja di Purcell. Davvero una bella coppia quella che oggi si giura amore eterno davanti a Dio. La guerra è finita da pochi anni e la gente ha disperato bisogno di ricominciare a sognare. E il sogno che Grace Kelly incarna è quello di tutte le donne: impalmare un principe azzurro, essere protagonista di una fiaba, portare una corona, abitare in una reggia, possibilmente con la garanzia del lieto fine: «E vissero felici e contenti». Al sovrano spettano ben centotrenta titoli nobiliari: duca di Valentino, barone di Buis, signore di Romans, Crest, Chabreuil, marchese di Beaux, conte di Carlades, signore di Saint-Remy, visconte di Murat, barone di Calvinet e di Saint-Lo, duca di Mazarino e via elencando, mentre lei è soltanto Miss Kelly, Miss Grace Kelly. Ma è la diva più famosa di Hollywood, la più ammirata, e in dote, oltre alla sua bellezza incontaminata, porta una notorietà planetaria. «Non ci credo ancora, sono attonita. Ogni tanto penso che sto sognando. Mi sveglio e sono al teatro di posa numero 16 della Mgm...», ha sussurrato ieri la sposa, finita la cerimonia del matrimonio civile, nella sala del Trono. Un giornalista che durante il ricevimento a palazzo è riuscito ad avvicinarla le ha chiesto se l’emozione che ha provato fosse paragonabile a quella vissuta la notte dell’Oscar. Lei ha risposto pazientemente, con un filo di voce: «No. No: è una cosa completamente diversa». La Mecca del cinema non le mancherà: «Non sono mai stata felice a Hollywood, non ho conosciuto nessun luogo al mondo dove le persone avessero così tante depressioni nervose, dove ci fossero così tanti alcolizzati, nevrotici, infelici. Bisogna avere i nervi saldi per viverci». Padre Tucker, il cappellano irlandese di palazzo, maestro di cerimonie, è infaticabile: poiché gran parte degli invitati ignorano il rito cattolico, durante la messa non fa che sibilare ordini come un sergente durante un’esercitazione: «In piedi! In ginocchio! Seduti!». Conclusa la liturgia, finalmente tira un sospiro di sollievo. È lui, dicono, il vero artefice di questo matrimonio combinato. È lui che ha scovato la sposa più giusta, carica di glamour hollywoodiano ma anche di stile upper class, così aristocratica nei tratti, e per giunta cattolica, in grado di rilanciare un principato in crisi di credibilità, il piccolo regno del trente et quarante. E poi a Ranieri III serve un erede, per evitare che alla sua morte il principato torni alla Francia. Negli Stati Uniti però non tutti sono entusiasti di questo matrimonio. Un matrimonio promozionale per chi? Chi ci guadagna, e chi ci perde? Ha un senso, conviene, che lei abdichi al suo ruolo di diva, abbandoni il suo trono di Hollywood, per sposare il sovrano di uno staterello grande meno della metà di Central Park, tanto più chiacchierato? Ranieri non è all’altezza di una Kelly, ha scritto qualche settimana fa un quotidiano di Chicago: «E una ragazza troppo ben educata e troppo istruita per sposare il socio di minoranza di un casinò». Ma ogni voce discordante ormai è solo un chiacchiericcio lontano. Lontano e indistinto. Il cielo si riempie del rintocco delle campane che suonano a festa e delle sirene e degli spruzzi di barche piccole e grandi che si affollano in rada e nel porto, decorate con il gran pavese. Gli antichi cannoni corsari sulle mura di cinta esplodono i loro colpi caricati a salve. Deo juvante, a Dio piacendo è fatta. Fra squilli di trombe gli sposi scendono la bianca scalinata della cattedrale mentre un picchetto d’onore di guardie del principe presenta le armi. Ciak, la favola può cominciare. [pp. 228-235]