Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 17 Venerdì calendario

A DAMASCO RESA DEI CONTI CON L’ULTIMO PARTITO BAATH

La storia dell’ultimo mezzo secolo della Siria e di una parte del Medio Oriente si racchiude in un aggettivo, baathista, che anche i più distratti hanno sentito nominare. "Baath" significa resurrezione. È il nome del partito che mezzo secolo fa prese il potere prima in Siria poi in Iraq, simboleggiando una sintesi tra nazionalismo e socialismo arabo: ha segnato le aspirazioni di un’epoca ma è stato anche un tragico fallimento.

A Damasco siamo alla resa dei conti con l’ultimo partito Baath ancora in sella dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003 con l’invasione americana. E per la verità anche a Baghdad il Baath è ancora vivo, nonostante le purghe e i coinvolgimenti con la resistenza armata sunnita, sistematicamente ignorata dai mass media, come se l’Iraq fosse un Paese pacificato.

Il crollo del Baath iracheno ha trascinato il Paese nel caos, cosa può accadere in Siria? Le conseguenze potrebbero essere ancora più estese, coinvolgendo Libano, Israele, Palestina, Iran e Turchia, che al confine siriano sta meditando l’apertura di un corridoio umanitario per i profughi e forse una "fascia di sicurezza": non è un caso che Assad ieri abbia inviato in tutta fretta una delegazione ad Ankara. La Siria è alleata dell’Iran, sponsor degli Hezbollah libanesi: una strana coppia perché unisce il regime laico siriano con quello religioso degli ayatollah sciiti. Un patto di ferro nato da due esigenze del defunto presidente Hafez Assad, il padre di Bashar. Gli ayatollah legittimarono l’appartenenza della sua minoranza religiosa, gli alauiti, al ramo musulmano dello sciismo. Poi arrivò l’accordo tra Damasco e Teheran contro Saddam: il Baath iracheno aveva rotto con quello siriano e il raìs aveva lanciato nel 1980 una guerra contro il regime rivoluzionario iraniano.

Ma perché la fine del Baath può aprire un altro vuoto in Medio Oriente? Il Baath nasce in Europa. I suoi fondatori furono due siriani, il cristiano greco ortodosso Michel Aflaq e il musulmano sunnita Salah al-Din al-Bitar che alla Sorbona negli anni Trenta posero le basi per un’ideologia esclusivamente araba che con il nasserismo ha magnetizzato tre generazioni di intellettuali e politici laici. Lo slogan era «unità, libertà, socialismo», l’obiettivo costruire lo stato postcoloniale e l’unione tra i Paesi arabi. Michel Aflaq e al Bitar reclutarono negli ambienti piccolo borghesi, tra intellettuali, commercianti, ufficiali e studenti: un’organizzazione capillare fondata su cellule e sezioni. Il Baath rompeva gli schemi della repubblica dei notabili, del potere concentrato nelle mani dei sunniti e delle grandi famiglie damascene e di Aleppo. Aprì la strada all’ascesa delle classi più umili e alle minoranze musulmane eterodosse come gli alauiti e i drusi. Per questo suscitò grandi speranze e illusioni.

Ma in Siria, come in seguito avvenne in Iraq, furono i militari a insediare il Baath con il colpo di stato dell’8 marzo 1963. Aflaq e Bitar vissero una breve stagione da capi politici. Bitar diventò primo ministro nel 1964, per essere poi estromesso dal golpe del 1966 capeggiato da Assad e dagli ufficiali alauiti. Costretto all’esilio, fu ucciso a Parigi in un agguato organizzato da Damasco. Michel Aflaq riparò in Iraq dove i baathisti andarono al potere nel 1968: Saddam Hussein, quando nel 1989 morì, gli consacrò un mausoleo dove venne sepolto anche Bitar. In Siria era finita la repubblica degli intellettuali mentre in Iraq nasceva quella del terrore di Saddam.

Con Assad il partito Baath diventa uno stato parallelo: una gigantesca macchina del consenso con il compito di controllare e sorvegliare la popolazione. Più o meno lo stesso avveniva in Iraq con l’ascesa del clan di Tikrit di Saddam. Il Baath è stato uno dei pilastri del regime insieme all’esercito e ai servizi: agli inizi del Duemila in Siria più di 50mila persone spiavano le vite degli altri. Eppure il Baath, nonostante la deriva autoritaria e brutale - sottolineata ieri anche dal consiglio dei diritti umani dell’Onu - ha continuato a esercitare un’attrazione sugli intellettuali laici del Medio Oriente che hanno sempre giustificato il regime siriano perché si opponeva agli americani e costituiva un punto di riferimento per i gruppi radicali arabi ostili a Israele.

Ecco perché l’opposizione siriana oggi fa una netta distinzione tra un possibile intervento esterno e le pressioni che si possono esercitare da fuori per contenere la repressione. Quasi nessuno si è pronunciato per un’azione militare esterna, come invece è accaduto con gli insorti di Bengasi in Libia. Un proverbio siriano dice che è meglio la gramigna di casa che il grano dello straniero. Il nazionalismo arabo, venato di laicismo e fortemente anti-israeliano pur nelle convulsioni dalla primavera araba, rimane l’eredità più consistente del Baath, gli eventi diranno se sarà anche duratura.