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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

COME COLLABORARE CON L’ASSASSINO

La scorsa bustina mi occupavo, sulla scia di Swift, dei grandi bugiardi, e accennavo alla disputa millenaria tra ragionevoli e rigoristi, i primi che ammettevano che qualche bugia in fin dei conti si può dire (si pensi alla diplomazia e persino alle formule di cortesia) e i secondi che hanno sempre sostenuto che non si mente neppure per salvare la vita a una persona.
Il quesito classico dei rigoristi era già stato posto da Sant’Agostino: un poveretto si rifugia presso di te dicendo che un terribile assassino lo sta cercando per ucciderlo; tu lo nascondi in casa tua; dopo un poco arriva l’assassino e ti domanda dov’è colui che cerca. Che fai? Il buon senso ci dice che dovremmo mentirgli e dirgli o che non sappiamo o che lo abbiamo visto andare da un’altra parte. Il rigorista invece ti dice che, siccome mentire non si deve mai, devi confessare che la vittima è a casa tua. Naturalmente nel corso dei secoli si sono elaborate delle formule che permettano di non dire senza mentire, ma in generale i rigoristi non si sono mossi dalla massima che non si deve mai mentire, neppure per salvare una vita umana.
Veniamo ora a Kant, che della posizione rigorista è stato uno dei dei famosi rappresentanti. Kant, lo ricordo, è stata una delle più grandi menti della storia della filosofia, ma gli accadeva talora di dormicchiare, come ad Omero, e di lasciarsi sfuggire delle affermazioni che ci lasciano perplessi. Una delle più note è la condanna della musica come arte inferiore (pronunciata nella "Critica del giudizio") perché disturba anche coloro che non la vogliono sentire - ed è importuna come un profumo troppo penetrante di cui qualcuno intride il fazzoletto, così che quando lo trae di tasca tutti ne sono nauseati. E valga come giustificazione il fatto che forse Kant, di musica, conosceva solo importune marcette militari che turbavano le sue meditazioni quotidiane.
Ora, a proposito dell’assassino che ti chiede se la sua vittima è a casa tua, ecco la straordinaria argomentazione kantiana ("Sul presunto diritto di mentire per amore dell’umanità"): "Se hai appena fermato con una menzogna un potenziale assassino, impedendogli di attuare la sua intenzione, sei ancora giuridicamente responsabile di tutte le conseguenze che potranno derivarne. Ma se ti sei attenuto rigorosamente alla verità, la giustizia ufficiale non potrà addebitarti nulla, qualunque imprevedibile conseguenza possa seguire alla tua dichiarazione. È anche possibile che, mentre stai rispondendo sinceramente di sì all’assassino che ti chiede se l’uomo da lui inseguito sia in casa tua, quest’ultimo esca senza farsi notare, sottraendosi all’assassino, e così il fatto non avvenga. Al contrario, se menti dicendo che non è in casa ed egli, invece, è realmente uscito a tua insaputa, così che l’assassino, nell’andarsene, lo incontri e compia il suo delitto, allora potresti giustamente essere accusato di aver procurato la sua morte. Infatti se tu avessi detto la verità per come la conoscevi, forse l’assassino sarebbe stato catturato da un vicino di casa accorso in aiuto, mentre quello cercava il tuo nemico in casa tua, e il fatto sarebbe stato impedito. Dunque chi mente, per quanto buone siano le sue intenzioni, è responsabile delle conseguenze della sua scelta, anche di fronte al tribunale civile".
Davvero, spero che ci fosse un giudice, oltre che a Berlino, anche a Königsberg, e che il buon Kant non fosse punito per aver mentito per amore dell’umanità. Quanto alla fiducia nel vicino, se colui aveva il coraggio del filosofo, la vittima era spacciata.
Perché registro questa storia, che sarebbe generoso dimenticare? È che sono sempre affascinato dalla stupidità, ma quando espressioni di stupidità appaiono nelle pagine di uomini grandissimi, allora si è come folgorati da una salvifica visione. Non tanto perché la sciocchezza detta da un genio sia sempre fragorosa, ma perché che anche i geni possano dire sciocchezze è di grande consolazione per tutti noi, che ogni giorno dubitiamo del nostro buon senso.