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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

IL MIGLIOR SCRITTORE D’ITALIA È UN PITTORE


È il pittore del momento. I suoi quadri sono a Venezia (Biennale), a Parma (ex chiesa di San Ludovico), a Torino (Pow Gallery) e a Londra (Albemarle Gallery): un poker di pubblico e privato che alla maggioranza degli artisti non riesce nell’arco di una vita. Tutto nasce dall’invito che Enrico Robusti ha ricevuto per esporre all’Arsenale veneziano. Poi dicono che il Padiglione Italia non muove il mercato: lo muove eccome, a giudicare dall’interesse suscitato e dalle vendite che il pittore parmigiano sta concludendo in questi giorni sia in patria che all’estero.
Certo, non a tutti i biennalizzati butta così bene, e in questo caso la colpa va addebitata non al curatore Vittorio Sgarbi, ma ai duecento intellettuali che hanno materialmente steso la lista dei partecipanti e che a volte si sono rivelati molto meno raffinati dal punto di vista artistico che da quello letterario-filosofico. Ad esempio: io a casa mia i quadri dei pittori segnalati da Corrado Augias e da Emanuele Severino non li appenderei nemmeno se mi pagassero (oddio, se mi pagassero molto magari sì). E che dire dell’inguardabile accrocchio esposto dall’artista cara a Vincenzo Cerami, già ministro della Cultura nel governo ombra del Partito democratico? Stendiamo un velo pietoso.
Il dominio dei concettuali
Per vendere non basta la vetrina, se il prodotto non c’è. Con Robusti il prodotto, ovvero la pittura in tutto il suo fulgore, finalmente c’è e quindi la vetrina biennalesca funziona alla grande. Adesso il suo valore lo scoprono in tanti, eppure non è di primissimo pelo, essendo nato a Parma nel 1957. Che cosa ha fatto in tutti questi anni? Ha lavorato in provincia per una ristretta cerchia di estimatori, mentre in Laguna, nelle Biennali che via via si succedevano, a dominare erano i videoartisti, i performer, i concettuali, gli installatori, gli scarabocchiatori. Sapete, quegli artisti che non piacciono a nessuno, ma che i collezionisti comprano obtorto collo perché il gallerista dice che sono un buon investimento. (Una parentesi: provateci, in caso di bisogno o anche solo perché avete voglia di liberare una parete, a vendere l’opera che vi è stata affibbiata come buon investimento, provateci e poi mi raccontate).
Credo sia perfino riduttivo circoscrivere Robusti al campo artistico, considerare i suoi quadri brulicanti e carnosi solo una risposta vitale all’arte minimalista, anoressica, afasica che intristisce i bianchi stanzoni dei musei di arte contemporanea, un genere deprimente che anche a Venezia continua a ingombrare padiglioni su padiglioni: penso alla svedese Klara Liden che ha preso dei cestini dei rifiuti, sì, dei normali cestini dei rifiuti, li ha intitolati, pensate che sforzo, “Untitled”, infine li ha piazzati qua e là e per questa boiata pazzesca ha ricevuto addirittura un premio.
In competizione con i narratori
Robusti nell’asfittico mondo dell’arte contemporanea è quasi sprecato, la sua pittura è talmente espressiva da gareggiare incapacità narrativa con il lavoro dei più rinomati scrittori. Prendiamo appunto i titoli. Con lui non si rischia il mutismo dei soliti “Senzatitolo” con i quali migliaia di artisti e pseudo-tali annunciano la loro completa mancanza di idee.
Non si rischia nemmeno la titolazione insignificante che sembra essere un passaporto per le classifiche librarie: a esempio, per limitarsi all’ultimo mese, lo stitico Libertà di Jonathan Franzen, lo scolastico Caro Papa, ti scrivo di Piergiorgio Odifreddi, lo stucchevole Per sempre di Susanna Tamaro... Sui banconi, in questo periodo, l’unico titolo meritevole è stampato sulla copertina di Serena Dandini, Dai diamanti non nasce niente: infatti non è suo, è copiato da Fabrizio De Andrè.
Comico, tragico, Folengo e Milani
Invece i quadri di Robusti hanno sempre titoli originali e generosi, come quello di Venezia: “Tragico destino di una gallinella ripiena”. Viene voglia di andarlo a vedere, vero? Dentro c’è il tragico, c’è il comico, c’è la sovrabbondanza gaddiana, c’è l’Emilia di Giovannino Guareschi e di Alberto Bevilacqua, ci sono Folengo, Rabelais, Lina Wertmuller, Rosa Matteucci e Maurizio Milani, tutti insieme vertiginosamente.
Robusti non dipinge solo quadri-romanzi e quadri-film, dipinge anche quadri-biografie. Sono i ritratti, il genere che gli ha dato da vivere negli anni appartati. Però quando immortalava su commissione i grandi nomi dell’imprenditoria parmigiana, a cominciare ovviamente da Pietro Barilla, che Dio abbia in gloria sì nobile mecenate, non poteva sbizzarrirsi, doveva limitarsi a raccontare con il pennello, mentre adesso si misura con il personaggio ritrattato da pari a pari, e anche i titoli sono diventati illuminanti.
Formidabile il ritratto al primo dei suoi mèntori, “La giornata di ventiquattro secoli di Vittorio Sgarbi”: gli bastano una tela e otto parole per condensare una vita di curiosità onnivora e inesausta, senza requie. Siccome sono un ragazzo fortunato, anch’io possiedo un Robusti e quando il libro che sto leggendo mi viene a noia (capita spesso) vado a guardare il suo quadro, anzi a leggerlo. Ogni volta mi racconta una storia avvincente.

Camillo Langone