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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

ASSAD, L’ÉLITE SCIITA E LA RIVOLTA. SE L’ESERCITO «SI SCOPRE» SUNNITA

Da oltre tre mesi la crisi siriana riserva un immutabile scenario. Ogni settimana, un venerdì di rabbia, a Damasco e nel resto del Paese, è seguito dalla feroce repressione di un esercito nella sostanza fedele al regime. Poco o nulla pare preludere a una soluzione, in un quadro politico che pare sostanzialmente bloccato e in cui il fattore religioso, come nelle altre rivolte arabe, non ha giocato finora alcun ruolo. Ma qualcosa pare cambiare ed è qualcosa che alla lunga potrebbe rivelarsi l’unica chiave in grado di intaccare la forza del regime. Si tratta delle prime e timide avvisaglie di una logica settaria e di uno scontro che potrebbe prendere una coloritura confessionale. Hanno cominciato dapprima alcuni manifestanti ad accompagnare manifestazioni e scontri con un «Allahu akbar» buono per ogni occasione, ma che in Siria e in questi momenti assume i colori di uno slogan polemico e insidioso per la minoranza sciita alauita degli Assad. Nella Siria multiconfessionale e repressa da decenni di dittatura, slogan che richiamassero le diversità e le militanze religiose, quando ci sono stati, sono stati sempre cancellati nel sangue. Ora ritornano per la prima volta, e non certo per forme di radicalismo. È stata poi la volta di testimonianze, anche se non verificate, di crudeltà dell’esercito riservate nel nord alauita della Siria solo ai pochi villaggi sunniti. E quindi, da ultimo ma ben più significativo, è giunto l’appoggio esplicito e ufficiale del leader di Hezbollah Nasrallah che ha ribadito a fine maggio, nel pieno della repressione, il suo sostegno incondizionato a Bashar Al Assad. Il risultato è stata la comparsa di ritratti di Nasrallah bruciati, e di un abbozzato sentimento antisciita che può alla lunga attecchire e cominciare a colorare una rivolta finora priva di slogan religiosi. L’insidia dell’ingresso di dinamiche religiose nella crisi siriana appare oggi l’unico fattore in grado di spezzare definitivamente la saldezza del rapporto tra Al Assad, élite sciita alauita ed esercito. E la notizia di qualche defezione nell’esercito, benché difficilmente riscontrabile, se dovesse orientarsi su slogan anti-sciiti, potrebbe riservare ulteriori sorprese, sia negli assetti interni, con timori diffusi che toccherebbero anche le altre minoranze religiose come cristiani e drusi, sia soprattutto nel futuro sviluppo della regione. Gli ultimi movimenti della regione sembrano sottendere infatti che una logica di questo tipo comincia timidamente ad affacciarsi. Da un lato non solo Hezbollah ma anche l’Iran non fanno mancare il loro appoggio perché la Siria degli Assad permette quel corridoio di contatto non solo ideale, che tanto preoccupa Israele e che costituisce il luogo di maggior presenza e influenza degli sciiti del mondo musulmano. Anche se questo non può avvenire senza costi. Quelle forze sciite persiane, irachene e libanesi fautrici di movimenti di massa e popolari difficilmente possono giustificare le crudeltà di un regime sotto gli occhi di tutti. E il tatticismo politico può divenire una pregiudiziale antisunnita che costerà cara. Dall’altro lato, le potenze sunnite della regione mostrano crescenti insofferenze e un netto distacco dalle prime solidarietà. La Turchia ha abbandonato le prudenze iniziali e ha pronunciato, per bocca delle sue più alte cariche, condanne nettissime della repressione, ha aperto i confini ai profughi e comincia a valutare scenari diversi. I sogni egemonici turchi non possono certo tollerare il massacro di siriani soprattutto sunniti. Oltre a ciò, sulle solidarietà iniziali di nemici storici come i sauditi e i Paesi del Golfo è calato un silenzio quanto mai imbarazzato, interrotto solo dalla voce critica e feroce di Al Jazeera dal Qatar. Nessuno accenna a motivi o pregiudiziali confessionali, non ancora. Ma le sue prime avvisaglie possono cambiare gli scenari della crisi siriana e in prospettiva rideterminare le strategie e le alleanze della regione. E soprattutto sottolineano come la questione sciita e i rapporti interconfessionali in seno alla comunità islamica saranno un fattore determinante per gli equilibri del Vicino Oriente, e non solo al confine tra Siria e Turchia.
Roberto Tottoli