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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

MAXI-BOLLETTA DA 63 MILIARDI

Non crescono i consumi petroliferi, ancora frenati dall’effetto crisi. Cresce però il salasso all’Italia, più del previsto: a fine anno la fattura energetica potrebbe segnare un record storico, superando i 63 miliardi di euro, 3 in più rispetto a quanto si prevedeva qualche mese fa, quasi 10 in più rispetto allo scorso anno che già aveva dilatato l’esborso di oltre 11 miliardi rispetto al 2009. E la fattura petrolifera potrebbe toccare i 36 miliardi, almeno un paio in più, con un progresso di ben 12 miliardi rispetto ad un 2010 che aveva fatto segnare un balzo di 8 miliardi rispetto al 2009. Un vero guaio, dovuto alla ripresa dei prezzi internazionali del greggio e del gas, ma anche a fattori tutti nostri, legati alla crisi della raffinazione che ci obbliga ad importare prodotti lavorati, ma soprattutto alla nostra cronica incapacità di usare decentemente le risorse petrolifere che abbiamo a disposizione.

Ecco l’atto di accusa, condito con le nuove prevedibili promesse di riscatto. A formulare la diagnosi e l’appello a muoversi è Pasquale De Vita, il presidente dell’Unione petrolifera impegnato ieri mattina nell’assemblea annuale dell’associazione. Certo, nel 2010 il petrolio ci è costato – ricorda De Vita – circa il 40% in meno rispetto alle quotazioni attuali. Ma ferma restando l’esigenza di «cercare soluzioni adeguate per la tutela ambientale, ritengo – incalza De Vita – che non vadano penalizzate le attività di ricerca che lo scorso anno hanno comunque permesso un risparmio di oltre 4 miliardi di euro sulla nostra fattura energetica».

Contromisure urgenti, ora che abbiamo ri-abbandonato il nucleare e dobbiamo rassegnarci ad accompagnare le promesse sull’avanzata delle rinnovabili con l’inevitabile egemonia di petrolio e gas ancora per decenni. Largo alle estrazioni. Come?

Rimediare al pantano autorizzativo, recuperare un confronto con le amministrazioni locali che tutto bloccano e tutto vogliono timonare (non solo nelle estrazioni petrolifere), e intanto spingere – suggerisce caldamente De Vita – sulle nuove tecnologie a disposizione per conciliare produzione e ambiente.

Esempio numero uno: il ricorso allo shale gas, da estrarre con la tecnica della fessurazione orizzontale «che anche l’Europa – ricorda De Vita – potrebbe produrre da un minimo di 60 miliardi di metri cubi ad un massimo di 200 miliardi, più di quanto ne producono oggi gli Stati Uniti che nei prossimi anni puntano all’autosufficienza per questo tipo di fonte».

Esempio numero due, meno noto: l’utilizzo della cattura e confinamento dell’anidride carbonica (Ccs) non solo per limitare l’effetto serra delle centrali elettriche a carbone ma anche per massimizzare le estrazioni, iniettando la CO2 nei giacimenti non esauriti «per estrarre gran parte di quanto ancora presente altrimenti non recuperabile».

Stesso palco e stessi temi per il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, che rassicura su una riscossa resa urgente anche dai nuovi segnali di tensione sui costi dell’elettricità: proprio ieri il Gme ha comunicato che a maggio il prezzo unico nazionale (pun) nella Borsa dell’elettricità, prodotta in Italia quasi per intero con il gas metano, ha raggiunto i 71,28 euro a megawattora, impennandosi del 20,1% su base annua (+9,4% rispetto ad aprile).

Il Governo si sta muovendo – dice Romani – per riattivare al meglio le nostre estrazioni di petrolio e gas, confidando in «un significativo contributo già a partire da quest’anno». Romani cita in particolare gli «sviluppi attesi in Basilicata, dove la produzione aumenterà di oltre 90mila barili al giorno» e «dell’offshore dove l’Italia vanta un primato mondiale in termini di sicurezza e dove c’è la possibilità di incrementare le nostre produzioni di gas, oggi di 7 miliardi di metri cubi l’anno, di ulteriori 3 miliardi». Questo nonostante «i meccanismi locali» rendano la sfida «complicatissima».

Mano alle regole? Ce n’è bisogno, denuncia però De Vita confermando gli allarmi lanciati dagli analisti di Assomineraria, ad esempio, o di Nomisma Energia. Agli intoppi che «negli degli ultimi 15 anni hanno ostacolato le prospettive dell’upstream» si è aggiunta nell’agosto scorso – ricorda Assomineraria – «una modifica del Codice dell’Ambiente (D.Lgs 128) stabilita dal Parlamento sull’onda emotiva dell’incidente del Golfo del Messico» che sbarra la strada alle esplorazioni e a maggior ragione alle estrazioni di petrolio e gas nel raggio di 12 miglia dalle aree marine protette, e vieta comunque la ricerca di petrolio entro le 5 miglia da tutte le coste. Con un ulteriore «drammatico effetto» – denuncia Assomineraria - sulle già ostiche propettive di sfruttamento.