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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

2 articoli - QUELL’OPERAZIONE VARATA DOPO IL LODO CIARRAPICO — Come si arriva ai 2.500 miliardi (di lire, ovviamente) che sembrano togliere il sonno a Silvio Berlusconi, preoccupato di non riuscire a reperire le risorse in caso di condanna sul caso Mondadori? Poiché il premier si riferisce a una cifra complessiva, probabilmente comprendente anche interessi e vari altri elementi, è complicato venirne a capo con certezza

2 articoli - QUELL’OPERAZIONE VARATA DOPO IL LODO CIARRAPICO — Come si arriva ai 2.500 miliardi (di lire, ovviamente) che sembrano togliere il sonno a Silvio Berlusconi, preoccupato di non riuscire a reperire le risorse in caso di condanna sul caso Mondadori? Poiché il premier si riferisce a una cifra complessiva, probabilmente comprendente anche interessi e vari altri elementi, è complicato venirne a capo con certezza. Tanto più che i dossier sul tavolo sono parecchi. Però, oltre ai 750 milioni (di euro) di danni riconosciuti alla Cir di Carlo De Benedetti dalla sentenza di primo grado sul Lodo Mondadori, cifra ridotta a circa 500 milioni dalla perizia effettuata da Luigi Guatri, Maria Martelli e Giorgio Pellicelli, ci potrebbero essere altri 642 miliardi (di lire) che si riferiscono alla vicenda e al successivo fascicolo fiscale relativo alla fusione tra Ame, Arnoldo Mondadori editore, e Amef. Un dossier che, tra fisco, tribunali e modifiche legislative, si è trascinato fino a oggi. E che, in seguito a una pronuncia della Corte di Giustizia Ue, potrebbe pesare sul portafoglio del premier per circa altri 300 milioni di euro: nel caso la sentenza del Lussemburgo fosse contraria all’Italia, è questa la cifra che Berlusconi dovrebbe versare al Fisco. Tutto comincia nella seconda metà del ’ 91. Dopo quindi l’accordo del 29 aprile con il quale, sotto la «stella» di Giuseppe Ciarrapico, l’imprenditore fedelissimo a Giulio Andreotti, l’Ingegnere e il Cavaliere chiudono dopo 500 giorni la guerra di Segrate: la casa editrice Mondadori viene spartita e al patron della Cir restano la Repubblica, L’Espresso e i quotidiani locali della Finegil, mentre a Berlusconi vanno libri e periodici (a cominciare da Panorama) del gruppo di Segrate. Ebbene, dopo la firma della pace, Ame e Amef vengono fuse. Obiettivo dei vertici del Biscione è eliminare l’Amef e realizzare vantaggi fiscali. Perché a Segrate, dopo il divorzio, la Mondadori è provvista di liquidità e l’Amef è piena di debiti, ma con una plusvalenza contabile di oltre 500 miliardi. Grazie alla legislazione di allora, lo scopo è dunque quello di evitare le tasse con la fusione. Operazione che era comunque già stata messa in programma e il cui beneficio sarebbe già stato «incluso nel prezzo» del lodo Ciarrapico. Fatto sta che quattro anni dopo, l’ufficio delle imposte notifica un avviso di accertamento relativo appunto all’operazione Ame-Amef sostenendo che andava sottoposto a tassazione il disavanzo da fusione, pari appunto a 642 miliardi, che era stato calcolato come ammortamento e quindi dedotto. Il dossier va avanti, ed è il primo governo Berlusconi a fare le prime modifiche a quella normativa. Due leggi e parecchi anni dopo, la Cassazione a sezioni riunite sostiene che la legge che consentiva tali deduzioni in caso di fusione può configurarsi in contrasto con la normativa Ue perché i benefici sono configurabili alla stregua di aiuto di Stato. Ecco dunque il ricorso alla Corte di Giustizia. Ed ecco il possibile esito «a carico» di Berlusconi nel caso la Corte non accogliesse la difesa dell’Avvocatura dello Stato. Secondo questa ricostruzione la cifra complessiva potrebbe avvicinarsi ai 2.500 miliardi che «lamenta» il premier: agli oltre 1.500 miliardi (di lire) del risarcimento a De Benedetti «pieno» , cioè senza tener conto della perizia Guatri, si potrebbero aggiungere i 640 miliardi (sempre di lire) e forse interessi vari. Difficile però andare a colpo sicuro. Perché, tanto per citare uno degli altri contenziosi che potrebbero essere stati considerati dal presidente del Consiglio, proprio un anno fa la Corte di Giustizia Ue ha respinto un ricorso di Mediaset stabilendo che i contributi per i decoder per il digitale terrestre andavano considerati (anche in questo caso) aiuti di Stato. Una cifra più o meno pari a 220 milioni di euro. Mediaset ha però sostenuto di non averne tratto vantaggio perché i contributi erano stati erogati direttamente ai consumatori. C’entrano anche i decoder nella maxi cifra di Berlusconi? Probabilmente no, ma il «conto finale» è rimasto per ora nella mente del premier. Sergio Bocconi «MI CHIEDONO 2.500 MILIARDI DI LIRE. DOVE LI TROVO COSI’ TANTI SOLDI?» — Più di Bossi e Tremonti, più della riforma del fisco, più della crisi latente della maggioranza e del suo governo, Silvio Berlusconi teme per le sue finanze e per le casse delle sue aziende. Lo ha detto ieri mattina ai suoi ex compagni di classe, riuniti in un’occasione triste, il funerale del senatore Romano Comincioli, compagno di scuola e amico di una vita del presidente del Consiglio. Con i suoi vecchi compagni, sul sagrato della Basilica di Sant’Ambrogio, a Milano, il Cavaliere si è intrattenuto alcuni minuti e ha rivelato di non temere soltanto la sentenza civile sul lodo Mondadori, la possibile conferma di una condanna che potrebbe costringere le sue aziende a trovare 750 milioni di euro (ma i periti li hanno ridotti a 500) da girare al gruppo dell’avversario di sempre, Carlo De Benedetti, ma anche altro: e nello specifico una richiesta del fisco, dell’Agenzia delle Entrate, per altre centinaia di milioni di euro. «Pensate che se va male sarò costretto a dover versare 2.500 miliardi di vecchie lire, ditemi voi dove li trovo tanti soldi?» . I compagni di scuola hanno registrato queste parole, arrivate poi ai giornalisti, diffuse quindi dalle agenzie di stampa, ma è parso a tutti immediatamente, visto la somma cui ha fatto riferimento Berlusconi, che non poteva trattarsi soltanto del giudizio civile sul lodo Mondadori tanto temuto del premier e su cui si attende la sentenza nelle prossime settimane. Lo stesso capo del governo ha fatto accenno anche a una richiesta diretta del fisco italiano, pari a circa 300 milioni di euro. Per qualcuno proprio questa richiesta sarebbe stata oggetto dell’incontro che all’indomani della sconfitta alle elezioni amministrative Berlusconi ha avuto con i suoi figli a Palazzo Grazioli, appena rientrato in Italia da un vertice bilaterale con il governo romeno a Bucarest. Il presidente del Consiglio non ha fornito dettagli. Potrebbe trattarsi di un vecchio contenzioso, ancora aperto, derivato dalla fusione fra Ame (Arnoldo Mondadori editore) e Amef (la finanziaria controllante) nei primi anni ’ 90, fusione che produsse una coda giudiziaria fra le aziende del premier e l’Agenzia delle Entrate finita davanti ai giudici tributari. Di certo Berlusconi ha parlato con i suoi compagni anche di quest’altra grana finanziaria che gli toglie il sonno e che potrebbe mettere le sue aziende di fronte a una seria difficoltà. E se per qualcuno potrebbe anche esserci un riferimento al contenzioso aperto in sede europea sugli incentivi ai decoder digitali, giudicati lo scorso anno aiuti di Stato, comunque il Cavaliere aggiunge che «sono cifre che metterebbero ko chiunque» , ripercorrendo le tappe di quella che ritiene una vera e propria aggressione patrimoniale: «Una rapina a mano armata» , disse qualche settimana fa. L’unica cifra certa al momento è quella scritta nella sentenza di primo grado dello scorso anno: 750 milioni di euro di risarcimento dovuto dalla Fininvest alla Cir di De Benedetti per la battaglia per il controllo della casa editrice di Segrate. E per far fronte all’esborso la holding, cui fanno capo Mondadori e Mediaset, in realtà ha già dovuto accantonare parecchi soldi, rilasciando a favore di Cir una fideiussione di 806 milioni di euro. Prima di rientrare nella Capitale, e di portare con sé in volo anche Umberto Bossi (sembra che il faccia a faccia sia stato produttivo), Berlusconi ha detto ai vecchi compagni di scuola di essere convinto che il governo durerà sino alla fine della legislatura, nonostante i tanti contrasti interni alla maggioranza e le tante fibrillazioni nel rapporto con la Lega. — ha aggiunto che la prima riforma da portare avanti nelle prossime settimane sarà quella dell’ordinamento giudiziario, al momento incardinata alla Camera, nelle commissioni congiunte Affari costituzionali e Giustizia; riforma da portare avanti se possibile «con la minoranza» , auspicio che ovviamente pare quantomeno ottimistico, visto lo stato dei rapporti con l’opposizione. Marco Galluzzo