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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

VIETARE I DERIVATI? NO CONTROLLARLI

Recentemente due rapporti del Financial Stability Board e della Bri hanno correttamente puntato l’indice sui rischi di opacità di veicoli finanziari, come gli Etf sintetici, costruiti su prodotti derivati caratterizzati da un rischio di controparte difficilmente valutabile e con un portafoglio di garanzie potenzialmente poco liquide e dal valore incerto.

La riduzione dei rischi sistemici e la trasparenza sono obiettivi fondamentali che, tuttavia, non devono limitare l’innovazione finanziaria e la flessibilità. Strumenti derivati non standardizzati rispondono alle esigenze specifiche d’investitori di grandi dimensioni e servono per trasferire e diversificare il rischio. La loro eliminazione o trasformazione in prodotti standardizzati potrebbe diminuire l’efficienza dei mercati finanziari e aumentare i costi per le imprese.

La crisi finanziaria ha avuto origine nel comparto delle collateralized debt obligations (Cdo) e delle mortgage back securities (Mbs), non propriamente titoli derivati, che sono regolati in base a leggi specifiche e soggetti al rating delle agenzie specializzate (Moody, S&P e Fitch). Da questo punto di vista, i problemi legati alla trasparenza e alle possibili manipolazioni delle informazioni non sono molto diversi da quelli che affliggono i corporate bonds, anche se i Cdo sono strumenti molto più complessi.

Il sistema finanziario, i regolatori e le agenzie di rating (spesso in conflitto d’interesse) hanno complessivamente sottostimato i rischi connessi ai mutui ipotecari. Gli intermediari non bancari hanno concentrato l’attivo sulle Mbs finanziandosi con strumenti a breve, principalmente repurchase agreements (Repo), e una grande società di assicurazione come Aig ha offerto protezione contro i rischi d’insolvenza connessi al mercato immobiliare vendendo Cds senza avere riserve prudenziali adeguate.

La sottovalutazione dei rischi è stata ulteriormente alimentata dall’attivismo delle due grandi agenzie semi-pubbliche per la cartolarizzazione dei mutui ipotecari, Fannie Mae e Freddie Mac, che si finanziavano a basso costo grazie alle garanzie implicite del Governo Usa.

In uno dei più avvincenti resoconti sulle origini della crisi finanziaria prodotti in questi anni (All the devils are here: the hidden history of the financial crisis), Bethany McLean and Joe Nocera raccontano la storia della creazione delle Mbs, negli anni 70, ad opera di Larry Fink di First Boston e poi Blackrock e Lewis Ranieri di Solomon Brothers. Questi strumenti, inizialmente obbligazioni garantite da mutui privi di rischio di default, in quanto assicurati da Fannie Mae e Freddie Mac, erano in grado di trasferire il rischio di tasso d’interesse sul mercato liberando risorse per finanziare l’acquisto di prime case a tassi ragionevoli.

La situazione è precipitata quando le assicurazioni contro il possibile default sono risultate illusorie perché il capitale posto a fronte di questi rischi non era sufficiente a coprire le perdite potenziali. Infatti, Aig era tenuta a mantenere come capitale solo una frazione minima del valore nominale della garanzia offerta nel caso di prodotti caratterizzati da un rating elevato. Certamente, un mercato centralizzato per i Cds sarebbe stato molto utile, perché avrebbe consentito agli operatori di comprendere l’esposizione complessiva potenziale di Aig. Ma all’origine delle crisi vi è principalmente un problema di regolamentazione e di leva piuttosto che d’ingegneria finanziaria. Ad esempio, consentire alle banche di usare i Cds per ridurre il capitale prudenziale, in base all’idea che un titolo assicurato è privo di rischio, non ha certo contribuito alla stabilità del sistema dal momento che le garanzie non erano adeguate. Questa decisione della Fed adottata nel 1996 ha spinto le banche a incrementare l’acquisto di Cds per liberare capitale da investire in attività più rischiose.

Non dobbiamo illuderci che la trasparenza, la standardizzazione e la centralizzazione delle contrattazioni possano eliminare i rischi sistemici. Migliorare la regolazione micro e macro-prudenziale rimane la questione decisiva. Gorton descrive sinteticamente l’ultima crisi come un’ondata di panico («corsa agli sportelli») sul mercato dei Repo, una delle componenti principali del passivo degli intermediari non bancari, estremamente liquida e continuamente scambiata sui mercati. Un contratto Repo prevede che il creditore ceda denaro all’intermediario ottenendo, in cambio, titoli a garanzia del prestito. Se un soggetto presta 100 euro a un intermediario, quest’ultimo è obbligato a depositare un ammontare di titoli (ad esempio, Cdo) di valore superiore a 100. Se il valore dei titoli a garanzia è 105, si dice che l’haircut è pari al 5 per cento. L’haircut varia in funzione della rischiosità del titolo posto a garanzia e determina l’ammontare dell’attivo dell’intermediario. Con la progressiva caduta del valore delle Mbs causata dallo scoppio della bolla immobiliare, gli haircut sono saliti e hanno costretto gli intermediari a vendere titoli a prezzi di saldo per ridurre la propria leva finanziaria. Ciò ha contribuito a deprimere il valore del collaterale e ha generato ulteriori perdite e vendite successive.

La complessità dei derivati e la mancanza di trasparenza negli scambi Otc sono certamente un problema, ma non la causa diretta della crisi.