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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

SULLA SPESA LA SFIDA DEI TAGLI SELETTIVI

Tagliare la spesa è operazione complessa, politicamente rischiosa, ma obbligata quando si persegue l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2014, e si lavora a un’impegnativa riforma fiscale. La premessa è che il 48% della spesa è nelle mani degli enti locali e delle Regioni, e che buona parte del mare magnum dei 784 miliardi, pari al 50,6% del Pil (è il totale della spesa delle amministrazioni pubbliche), è assorbita da salari, stipendi, pensioni e dagli interessi che occorre pagare ogni anno per sostenere il debito pubblico (70,1 miliardi pari al 4,5% del Pil). Il risultato del 2010 è incoraggiante, perché per la prima volta da decenni la spesa primaria (al netto degli interessi) è scesa in valore assoluto, segnando una flessione di 14 miliardi rispetto a quanto previsto dal Governo. E tuttavia, la dimensione totale della spesa in rapporto al Pil resta di circa 3 punti al di sopra del valore del 2007 (3,5 punti per la sola spesa corrente). Come segnala il ponderoso rapporto 2011 della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica, il ripristino dei valori programmatici «necessita di una consistente azione di natura discrezionale». Tagli selettivi, dunque, come sollecita lo stesso governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. Si può partire dalla spesa delle amministrazioni pubbliche per consumi intermedi, pari a ben 136,1 miliardi nel 2010, in leggera flessione rispetto ai 137 miliardi del 2009. Il capitolo previdenza è il più consistente, con un peso totale di 298,1 miliardi. Una delle ipotesi allo studio dei tecnici dell’Economia prevede al riguardo che si completi l’allineamento a 65 anni dell’età pensionabile delle donne con l’estensione al settore privato, con un risparmio quantificabile in circa 6 miliardi. Poi nel menu è compreso il pubblico impiego (i redditi da lavoro dipendente assorbono 171 miliardi di spesa), e l’ipotesi è che si prosegua nel congelamento degli aumenti contrattuali.

Le spese in conto capitale sono ormai in caduta libera (-18,5%) e dunque, se mai, occorrerebbe incrementarle. Restano i 62,3 miliardi ascritti alla voce «altre spese correnti». Il taglio dei costi della politica, cui ha fatto riferimento il ministro dell’Economia Giulio Tremonti («meno voli blu e più Alitalia») rientra nel menu, ma anche l’impegno per le missioni militari è tutt’altro che trascurabile. La variabile politica è decisiva, come mostra il pressing di queste ore della Lega perché si dia, tra l’altro, un segnale immediato a cominciare dalla Libia: «L’Italia - osserva il ministro dell’Interno, Roberto Maroni - deve seguire l’esempio del congresso Usa e non destinare più fondi per la guerra in Libia ma solo per la stabilizzazione del paese». Non vanno bene poi i tagli lineari che pesano per il 36% degli stanziamenti per la sicurezza. Occorre reintegrare i fondi per un miliardo, chiede Maroni in una lettera a Berlusconi e Tremonti.

E poi lotta a sprechi, duplicazioni che si annidano un po’ ovunque. Potrà soccorrere una rinnovata «spending review», e dunque anche prefetture e province da accorpare. Il gruppo di lavoro presieduto da Piero Giarda in preparazione della riforma fiscale propone un’altra indicazione di percorso: intervenire sulle sacche di inefficienza produttiva nella produzione di servizi pubblici. Per Daniele Franco, direttore centrale della Banca d’Italia, sarebbe utile una «regola vincolante» di tre anni, che fissi limiti pluriennali, con l’esclusione delle spese «direttamente collegate al ciclo economico», come la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione.