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 2011  giugno 16 Giovedì calendario

IL PISTONE VIAGGIATORE

In camion dalla provincia di Avellino a Genova, per andarsene via mare fino al porto di Veracruz, nel Golfo del Messico, salire su un altro camion e arrivare a Toluca. Dove, dopo essere stati montati sulla nuova Fiat Freemont, sono pronti al tragitto inverso, per approdare prima a Genova e infine nelle 1.500 concessionarie europee, di cui 300 in Italia. Prima di percorrere in strada un solo chilometro, i turbodiesel Multijet viaggiano per migliaia di miglia. In linea d’aria, lo stabilimento della Fiat Powertrain di Pratola Serra, in Campania, dista oltre 10 mila chilometri dalla fabbrica in cui si assemblano le Freemont equipaggiate con i propulsori made in Italy. Non c’è da stupirsi: la prima Fiat dei Due Mondi, la monovolume Freemont, punta a 30 mila vendite annue sui mercati del Vecchio Continente. Numeri modesti per giustificare un’apposita fabbrica di motori vicino all’impianto dove si assembla l’auto. Meglio il via-vai intercontinentale, nonostante i costi di trasporto. D’altronde, lo fa pure la Bmw, che fabbrica in Europa i turbodiesel delle Serie X prodotte in America, poi esportate per il 70 per cento dall’America. I margini delle Bmw sono assai superiori a quelli delle Fiat che, a loro volta, sono inferiori a quelli delle Chrysler. Secondo la società Bernstein research, Chrysler incassa in media 28.600 dollari per ogni vettura , contro i 18.600 dollari della Fiat.
Ecco perché le marche italiane del gruppo FiatChrysler hanno un gran bisogno di automobili più grandi, e quindi più redditizie, rispetto a quelle attualmente in gamma. La Freemont va in questa direzione. E infatti, nonostante i modesti volumi annunciati - c’è chi pensa che a Torino stiano volutamente bassi, un po’ per scaramanzia e un po’ per stupire con immatricolazioni più robuste dei pronostici - gli occhi degli osservatori sono tutti puntati su di lei. Non perché sia una macchina rivoluzionaria, ma perché è la prima a sfruttare le sinergie del matrimonio tra la Fiat e Chrysler. Anche se, forse, parlare di sinergia in questo caso è un po’ troppo. La Freemont è, infatti, la rivisitazione, con un look più raffinato e adatto all’Europa, della Dodge Journey, lanciata nel 2008, nel pieno della crisi finanziaria che ha condotto la Chrysler sull’orlo del fallimento. Quindi, niente costi di ricerca e sviluppo, per la novità di casa Fiat, che ha il compito di sostituire in un sol colpo tre modelli della casa che sono andati in pensione o stanno per andarci: la sei posti Multipla, la berlina/quasi familiare Croma e la monovolume Ulysse. Con un prezzo d’attacco appetibile (24.900 euro sino a fine giugno, poi si vedrà), i sette posti di serie e un motore a gasolio che consuma poco, la Freemont prova a dare una mano ai concessionari Fiat, che soffrono la carenza di novità, specialmente nelle vetture più grosse. Nel week-end del "porte aperte", a fine maggio, sono andati a vederla in 33 mila, firmando circa 3 mila ordini, la macchinona lunga quasi 5 metri. "Da molto tempo non vedevo così tanto interesse in concessionaria. Il segreto? Sicuramente il prezzo: costa almeno il 25 per cento in meno dei concorrenti, e la cosa è piaciuta. Anche se, per poterlo praticare, anche noi abbiamo dovuto fare un sacrificio e limare un po’ i margini", racconta il presidente nazionale dei dealer del marchio Fiat, Piero Carlomagno.
Costruita nella fabbrica della Chrysler che per anni ha sfornato la Pt Cruiser e ora assembla pure le Fiat 500 destinate al Nord America, la nuova Freemont costa addirittura meno di quanto costasse tre anni fa la Journey, in Italia. Tatticamente è una mossa importante, soprattutto sotto il profilo dell’immagine (e infatti la campagna pubblicitaria è imponente), ma non in grado di far conquistare quote di mercato o far lievitare l’utile. Così come succederà a fine anno con la nuova Thema, costruita sulla piattaforma della nuova Chrysler 300, per la quale l’impegno diretto del gruppo Fiat è però più rilevante in termini di design e differenziazioni rispetto al modello gemello americano. Uno dei motori che la equipaggerà, il V6 turbodiesel, è prodotto a Cento, Ferrara, dalla Vm (50 per cento Fiat powertrain e 50 per cento General motors). I pistoni del 6 cilindri arrivano dalla Ks pistoes, un’azienda brasiliana, che a sua volta compra delle parti dalla giapponese Riken. Un incredibile giro del mondo che fa capire quanto siano sempre più rilevanti le economie di scala. Economie di cui il gruppo guidato da Sergio Marchionne già inizia a godere centralizzando gli acquisti di materie grezze e componenti (quasi 300 milioni di euro di risparmi previsti nel biennio 2011-2012) e condividendo i costi di ingegnerizzazione (210 milioni di risparmi nello stesso periodo). Le prime, decisive scommesse industriali del matrimonio Fiat Chrysler sono attese per il 2012, allorché si moltiplicheranno i modelli costruiti sulla piattaforma "C wide", da cui è già nata l’Alfa Giulietta. Lì si che i risparmi derivanti da progettazione e sviluppo comuni saranno davvero sensibili. Studiata a Torino e sviluppata di concerto anche nel Michigan, allungabile e allargabile con modularità, sarà il pianale-base per ben nove modelli. A cominciare da una berlina Dodge per continuare con new Croma, Alfa Giulia, Chrysler 200/Lancia Flavia. E poi toccherà all’erede di Fiat Bravo e alle Jeep Compass e Patriot da costruire a Mirafiori. Quando, nel 2013, sui due lati dell’Oceano Atlantico, le tante figlie della "C wide" saranno sul mercato, toccherà a loro dimostrare che Marchionne non è solo un mago della finanza ma anche un manager capace di fare auto che piacciono e rendono quattrini. Integrare, sviluppare e risparmiare sono materie toste. Ma presto, nella pagella Fiat, il voto più importante sarà quello della materia "vendere".