Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il gran dramma si è dunque compiuto. Stamattina Enrico Letta, subito dopo il consiglio dei ministri, salirà al Quirinale e si dimetterà. Il presidente della Repubblica non lo rinvierà alle Camere - come vorrebbero quelli di Forza Italia - ma darà inizio, probabilmente già da domani, alle consultazioni. L’esito di questo vecchio rito non previsto dalla Costituzione è scontato: Matteo Renzi, senza lasciare la segreteria del Pd e neanche dimettendosi da sindaco di Firenze (tanto tra poco si vota), riceverà l’incarico di formare il governo. Che dovrà stare in piedi con la stessa maggioranza di Letta (come minimo), anche se con ministri completamente diversi. Gli esperti dicono che Berlusconi, sotto sotto, gli darà una mano. Come sempre in Italia, i vincitori e gli sconfitti di questa partita attraversano tutti i partiti. Nell’area moderata hanno perso Casini e Monti, Alfano ha più o meno pareggiato (in ogni caso non si vota), all’interno di Forza Italia segnano un punto Verdini e i suoi. Le varie tribù del Paese, che hanno etichette altre rispetto a quelle che si conoscono, si stanno riposizionando in previsione di assetti di potere inevitabilmente nuovi.
• Raccontiamo la cosa dal principio.
Era convocata la direzione del partito. Ci si aspettava che lì, di fronte ai loro compagni, Letta e Renzi e si sarebbero sfidati senza esclusione di colpi. E l’assemblea (a grande maggioranza renziana) avrebbe poi deciso se tenersi Letta o puntare sul sindaco di Firenze. Il risultato di questa partita era però talmente prevedibile che, un’ora prima dell’apertura dei lavori, il capo del governo ha fatto sapere che se ne sarebbe rimasto a Palazzo Chigi, in modo da rendere più facile una presa di decisione serena dei suoi riuniti al Nazareno. Tutti hanno capito che la battaglia era finita prima ancora di cominciare. Renzi ha pronunciato un discorso breve, seguito da un documento approvato a larghissima maggioranza.
• Che cosa ha detto?
«Inizi a diventare grande quando smetti di fare solo le cose che ti piacciono. È arrivato il momento di dire che tipo di proposta vogliamo fare al Paese. È arrivato il momento di uscire dalla palude. Questo non è un processo al governo. Si tratta invece di capire se siamo in grado di aprire una pagina nuova, per noi e per l’Italia. Ora non ci sono le condizioni per tornare alle urne perché non c’è una legge elettorale in grado di garantire maggioranze e perché il percorso delle riforme ancora non è stato avviato. Questa non è una staffetta: la staffetta è quando si procede nella stessa direzione e alla stessa velocità, non quando si prova a cambiare il ritmo. Se l’Italia chiede un cambiamento radicale o questo cambiamento lo esprime il Pd o non lo farà nessuno».
• E nel documento che cosa c’è scritto?
Si ringrazia Letta (parole di circostanza, su Letta pesa quella parola, «palude») poi si «rileva la necessità e l’urgenza di aprire una fase nuova, con un nuovo esecutivo che abbia la forza politica per affrontare i problemi del Paese con un orizzonte di legislatura, da condividere con la attuale coalizione di governo e con un programma aperto alle istanze rappresentate dalle forze sociali ed economiche». La direzione del Pd, inoltre, «invita gli organismi dirigenti, legittimati dal Congresso appena svolto, ad assumersi tutte le responsabilità di fronte alla situazione che si è determinata per consentire all’Italia di affrontare la crisi istituzionale, sociale ed economica, portando a compimento il cammino delle riforme avviato con la nuova legge elettorale e le proposte di riforma costituzionale riguardanti il Titolo V e la trasformazione del Senato della Repubblica, e mettendo in campo un programma di profonde riforme economiche e sociali necessarie alla promozione di sviluppo, crescita e lavoro per il nostro Paese». L’«Impegno Italia» prodotto l’altro giorno da Letta, e che ha fatto arrabbiare parecchio il futuro presidente del consiglio, verrà considerato un contributo al dibattito. Hanno votato a favore del documento della direzione 136, contro 16 no (i civatiani). Si sono astenuti in due. A favore anche Cuperlo e i bersaniani. I lettiani sono usciti dall’aula per non pronunciarsi. Conosciuto l’esito della consultazione, Letta ha diramato questo comunicato: «A seguito delle decisioni assunte oggi dalla direzione nazionale del Partito democratico, ho informato il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, della mia volontà di recarmi domani al Quirinale per rassegnare le dimissioni da presidente del consiglio dei ministri».
• Non è stata tentata una qualche ultima mediazione?
Sì, in mattina gli sherpa delle due tribù si sono incontrati. A Letta è stato offerto il ministero dell’Economia nel nuovo esecutivo. La risposta è stata uno sdegnato «no», accompagnato, pare, dalla frase: «Non siamo al mercato».
• Commenti?
A parte quelli che può leggere qui a fianco, m’è piaciuto quello della Serracchiani: «Il segretario è stato coraggioso». Sarebbe stato forse più giusto dire: «temerario».
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