Luca Sofri, Il Post 14/2/2014, 14 febbraio 2014
CON SINCERI AUGURI
Sto cercando di occuparmi d’altro, un po’ per punire come merita la mia ingenua opinione che questo non sarebbe avvenuto, un po’ per superare la delusione. Ma a questo proposito spiego una cosa che vedo un po’ equivocata, in giro: poi magari vale solo per me (condivido quello che dice Francesco Costa sui limiti di alcune impressioni).
Il problema, per me, non è che Renzi riesca o no a fare delle cose buone partendo da queste condizioni; o meglio: è anche questo, come ho scritto, perché temo non ci riuscirà partendo da queste condizioni, per quanto non ne sottovaluti le capacità rare. Ma comunque vada, il fine non giustificherà i mezzi: perché i mezzi sono il fine. Era che non facesse una cosa come questa, la ragione per cui molti fino a oggi avevano dato credito a Renzi e lo avevano apprezzato.
Io credo che l’Italia abbia bisogno di nuovi modelli, nuovi modi di fare le cose, nuovi rapporti con se stessa e con la convivenza civile. Non di risultati nuovi e miracolosi, che non è in grado di ottenere nessuno a breve, e per i quali serviranno anni: solo se però si cambiano proprio gli approcci.
Quello che Renzi ha annunciato fino a oggi è un cambiamento radicale nel modo di fare le cose, un altro modo di essere italiani e di affrontare i problemi dell’Italia, e lo ha spesso anche mostrato: non ha mai promesso soluzioni rapide e geniali, non abbiamo ancora neanche capito bene quali possano essere. Ma abbiamo sempre confidato che – a fronte dei fallimenti precedenti – servisse un radicale cambiamento di prospettiva, priorità e modi. Abbiamo da tempo constatato scorati che “il problema sono gli italiani”, una sbrigativa semplificazione che però allude sensatamente a un paese in cui prevale il bene della propria famiglia, cosca, campanile, pianerottolo, individuo singolo, corporazione; in cui prevale il cercare di fregare sempre il prossimo; in cui della comunità non gliene frega niente a nessuno; in cui prevale il disincanto e la diffidenza nei confronti dello stato e degli altri; in cui è coltivato ed esaltato il male del proprio nemico e persino la costruzione apposita di un proprio nemico per poterne volere il male; in cui niente viene ricondotto a un percorso lungo di ragionevolezza e progetto ambizioso e tutto a una ricerca immediata di piccoli risultaticchi; in cui una scorciatoia è sempre un’opportunità, mai un danno per qualcun altro o un cattivo esempio. Un paese in cui il libero esercizio della democrazia manda al governo Silvio Berlusconi, elegge Scilipoti, consegna un terzo dei voti a quelli dei microchip. Un paese in cui la dirigenza politica che lo rappresenta ha come tratti prevalenti la mediocrità umana e intellettuale, l’interesse privato e l’incapacità di capire il mondo e i tempi: ed è stata eletta grazie alla qualità dell’informazione e consapevolezza degli elettori. Un paese in cui il problema non è di certo Enrico Letta, né la sua sostituzione oggi piuttosto che tra sei mesi.
Ecco, abbiamo pensato che si dovesse cominciare a cambiare tutto questo, in ogni singolo atto, offrendo modelli convincenti e nuovi, con l’obiettivo del bene di tutti e non del male del nemico a costo di affondare tutti, o almeno con quello di “fare bene le cose”. Abbiamo pensato che il mezzo fosse il fine, insomma: e che il percorso sia il traguardo, perché la vita delle persone e delle nazioni è fatta di continui percorsi e rari traguardi figli di quei percorsi.
Per queste ragioni, quello che è successo in questi giorni è di per sé un fallimento, a prescindere dalle illusioni sui suoi risultati futuri. Perché è stato il tradimento di tutto questo e l’adeguamento a tutti i peggiori meccanismi citati: lo smentire quel che si è appena detto, il fregare con trucchi e prepotenze il prossimo, lo scantonamento dai percorsi corretti, la pretesa di decidere per tutti senza averne mandato né consenso, e altre mille ne potremmo aggiungere che abbiamo visto in questi giorni. Il cui risultato è stato portarci di dieci caselle indietro, invece che avanti. Mi fermo per non offendere nessuno che invece condivida per ragionamenti rispettabili di altro tipo quello che è successo: credo nelle buone fedi di alcuni, a cominciare, senza dubbi, da quella di Renzi. Penso che alla sua lungimiranza politica – di certo superiore alla mia – sia mancata un’attenzione a questa cosa, troppo tempo lontano dagli scout, forse. E mi auguro che lui e chi lo aiuterà siano così bravi da recuperare le dieci caselle: da lunedì vedremo, rispettosi ma esigenti, dai nostri divani.
Ma la cosa che ho visto io è questa: era in testa alla gara con una corsa eccezionale ed esemplare che aveva battuto persino i dopati e i truffatori, e ha accettato da gatti e volpi di avvicinare la linea del traguardo: un piccolo inganno per far prima, tanto che differenza fa?
La differenza è che lo ha fatto davanti a tutti – compresi i suoi non pochi nemici – persino spiegandoci che è ok, e ora tutti sappiamo – come ci avevano sempre detto fino a oggi – che non c’è bisogno di fare le cose in modi diversi e più nobili e coerenti, che invece si può fare come sempre, che va bene, contano i presunti risultati, e che questo è l’approccio efficace, la prossima volta che capiterà a noi: già domattina quando non troviamo parcheggio, probabilmente.