Antonio Carlucci, L’Espresso 14/2/2014, 14 febbraio 2014
CICLONE HILLARY
CICLONE HILLARY –
Per quale ragione un’organizzazione politica molto vicina a Hillary Clinton ha acquistato un paio di mesi fa un milione e mezzo di indirizzi email? Prima ipotesi: vogliono utilizzarli per fare propaganda al libro di memorie che la Clinton sta scrivendo per raccontare i suoi quattro anni da ministro degli Esteri di Barack Obama. Seconda ipotesi: vogliono creare un database e usare il nome di Hillary per sponsorizzare le iniziative del Partito Democratico. Terza ipotesi: vogliono raggiungere tutte queste persone, insieme e nello stesso momento, quando Hillary Clinton darà l’annuncio che corre per la nomination del Partito Democratico nelle elezioni presidenziali del 2016.
Chiunque sia dotato di buon senso e conosca anche superficialmente quanto avviene nella politica degli Stati Uniti non esiterebbe a dire che la terza risposta è quella esatta. Peccato però che Hillary faccia di tutto, ma proprio di tutto, per non accreditare neanche un po’ l’idea che si sta preparando al secondo tentativo di scalare la Casa Bianca. Nel 2008 ci provò, cominciò bene, ma fu messa fuori gioco da Barack Obama che vinse le primarie e poi la poltrona dell’Oval Office di Pennsylvania Avenue. Hillary, che la Casa Bianca conosce bene perché ha vissuto lì dentro da First Lady di Bill Clinton per otto anni (1993 al 2000), non offre nessuna indicazione concreta sulla sua candidatura e sui tempi che si è data, ma il mondo politico e quello dei media vanno in corto circuito ogni volta che qualcuno prova a testare l’umore degli elettori. Nell’ultimo sondaggio, messo a punto dal quotidiano "Washington Post" e dal network televisivo "Abc", la Clinton sbaraglia il campo dei possibili pretendenti democratici con il 73 per cento delle preferenze e distacca il secondo arrivato, l’attuale vice presidente Joe Biden, di 61 punti.
Ciclone Hillary per il 2016? Sono in tanti a sperarlo, a cominciare da quelli che l’hanno sempre amata e sostenuta tra i politici, gli uomini di impresa, quelli della cultura e dello spettacolo, oltre ai milioni di semplici elettori. E sono in tanti a temerlo, dai possibili rivali del suo stesso partito che si vedono preclusa la strada per la Casa Bianca almeno fino al 2020, agli avversari del Partito Repubblicano, ben consci che la sfida all’ex First Lady, ex senatore, ex Segretario di Stato può rivelarsi una mission impossible. Però, bisogna attendere che sia Hillary a decidere quando e se muoversi, inutile chiederle che cosa vuol fare, perché risponde sempre un un mezzo sorriso che vuol dire tutto e niente. Con il suo modo di fare, lei che non dice mentre i suoi amici si preparano alla sfida, la Clinton ha inventato la campagna permanente, visto che negli ultimi venti anni è sempre stata una candidata credibile per ogni incarico. Basta vedere quando accadde nel 2008: Barack Obama le sbarrò la strada per la Casa Bianca, ma poi una volta eletto fu costretto a chiamarla a fare il segretario di Stato inaugurando il governo dei rivali come aveva fatto nel 1861 Abraham Lincoln che chiamò nel suo gabinetto i tre che lo avevano sfidato.
In questi mesi di attesa, Hillary Clinton ha seguito alla lettera la strada percorsa dal marito Bill: creare le condizioni per poter essere alla testa di un Partito Democratico che possa contenere tutto, dai super ricchi di Wall Street ai paladini della lotta alle disuguaglianze che oggi hanno due icone: il senatore Elizabeth Warren, che ha già detto di rinunciare a qualsiasi idea di correre se Hillary lo farà, e il sindaco di New York Bill de Blasio, che ha ricevuto la benedizione della coppia Clinton il giorno in cui ha giurato da primo cittadino. Basta scorrere i temi trattati dalla Clinton nelle sue apparizioni degli ultimi mesi, nelle quali ha privilegiato il tasto sociale e la politica come incontro tra idee differenti capaci di trovare soluzioni di compromesso per capire come potrà svilupparsi la sua campagna. Giovani e famiglia: «Il futuro del Paese dipende da bambini sani e famiglie armoniose, che sono il blocco fondante di una società forte e ricca». Le diseguaglianze: «Dobbiamo invertire questa marea che sta divorando il tessuto sociale dell’America». La civiltà: «Dobbiamo avere la voglia di mettere a fuoco tutti insieme come cittadini il futuro che desideriamo. Di certo non con strilli e urla, ma con la scelta di sedersi attorno a un tavolo e parlarsi».
Hillary Clinton, ogni volta che può, illustra il suo modo di intendere la politica. Intende vestire i panni di una democratica pragmatica, attenta ai problemi della gente, vogliosa di parlare con tutti, consapevole che accettare un incarico elettivo comporta molti obblighi, e non solo verso coloro che ti hanno votato. Ecco allora due considerazioni che la Clinton ha fatto pubblicamente quando ha sostenuto il nuovo governatore della Virginia Terry McAuliffe. La prima: «Nell’ultimo periodo, sfortunatamente, abbiamo visto a Washington esempi sbagliati sul modo di essere leader, quando i politici scelgono di fare terra bruciata invece di cercare intese o quando mettono al centro di tutto l’ideologia». La seconda: «Se ti chiedi come mai una persona cerca un incarico elettivo, se questo sia solo per l’ego personale, o per avere una occupazione e i benefici che porta con sé, o per il gusto di entrare in una stanza e vedere gli altri che si alzano in piedi, è bene ricordarsi che tutto ciò non è abbastanza perché fare politica è duro».
Eppure, almeno ufficialmente, Hillary Clinton dopo aver lasciato un anno fa il Dipartimento di Stato non ha fatto più politica attiva. Fa conferenze, partecipa con il marito Bill e la figlia Chelsea alle attività della Clinton Foundation, supporta i candidati democratici alle elezioni locali o nazionali, ma non le è mai sfuggita una parola sui programmi futuri. Ha ripetuto fino all’ossessione che per adesso deve finire il libro di memorie che metteranno al centro della scena i quattro anni da Segretario di Stato. Il volume, annunciato per il prossimo 1° giugno, titolo "Hillary Rodham Clinton", potrebbe rivelarsi una formidabile arma per una futura campagna elettorale e per accreditare il ruolo della Clinton in alcuni passaggi tormentati della sua ultima esperienza politica: dall’operazione che portò alla uccisione di Osama Bin Laden alla morte in Libia dell’ambasciatore americano Chris Stevens a Bengasi, dal ruolo degli Usa nelle rivolte della primavera araba alle discussioni con Barack Obama nello Studio Ovale.
Mentre Hillary rivede e lima le sue memorie, altri però sembrano prepararle il terreno per la battaglia del 2016. Non c’è soltanto il political action committee (Pac), Ready for Hillary pronto a entrare in azione. C’è anche il Super Pac (non ha nessun limite di spesa a favore di un candidato alle elezioni e non può essere messo in relazione diretta con il candidato per le scelte di propaganda) che si chiama Priorities USA: nel 2012 ha affiancato Barack Obama per la sua rielezione facendo una straordinaria raccolta di fondi e una martellante campagna di promozione televisiva. Giovedì 23 gennaio Priorities ha annunciato che comincerà una raccolta di fondi nel caso Hillary dovesse decidere di correre per le primarie e che affiancherà l’ex Segretario di Stato nelle sue iniziative. Qualche giorno dopo è arrivato l’annuncio che il nuovo copresidente del Super Pac è Jim Messina, al fianco di Obama come manager per la rielezione e ora pronto a sostenere Hillary.
Di fronte a questo spiegamento di forze, i democratici che hanno fatto un pensierino per il 2016 stanno buoni e zitti. Il governatore di New York Andrew Cuomo, quello del Maryland Martin O’Malley, la senatrice Warren non intendono sprecare forze e soldi se la Clinton alla fine lancerà il guanto della sfida. Solo il vice presidente Joe Biden lascia capire che lui è pronto alla corsa per la nomination. Molto probabilmente dovranno pazientare ancora un po’ per sapere dalla voce di Hillary le sue intenzioni. Attendere fino all’ultimo momento è un ulteriore aiuto per la potenziale candidata: non deve forzare più di tanto la raccolta di fondi rinviando questo impegno per la vera e propria campagna che costerà centinaia di milioni di dollari. E non è costretta a dire la sua su ogni argomento della politica americana di oggi con il rischio di fare affermazioni che poi potrebbe smentire tra un po’ di mesi.
Che Hillary Clinton sia la più probabile e la più accreditata concorrente per la campagna presidenziale del 2016 lo sanno bene gli avversari del Partito Repubblicano. Così come ci sono le truppe pronte ad affiancare la Clinton, allo stesso modo cominciano i preparativi coloro che vogliono sbarrarle la strada. E potrebbero usare contro di lei le memorie di un’amica, Diane Blair, politologa dell’Arkansas, morta nel 2000. Suo marito, Jim Blair, ha deciso di consegnare alla biblioteca della locale università i diari delladefunta, dove a proposito di Hillary si legge: «È un’amica leale e una madre devota ma nella vita pubblica è spietata. Le sue strategie sono quelle di una tagliagole, è vendicativa con gli avversari e si lamenta in privato che alla Casa Bianca non c’è nessuno che sia abbastanza duro e cattivo». È inoltre già operativo Stop Hillary 2016, che ha cominciato una raccolta di fondi e ha messo in circolazione sul web brevi filmati che puntano a discreditare la Clinton a partire dallo scandalo Whitewater, storia di una operazione immobiliare in Arkansas quando Bill era il governatore di quello Stato. Ma se le loro armi sono quelle usate dal senatore Rand Paul, ovvero puntare il dito contro Hillary per lo scandalo dell’affaire tra l’ex presidente e la stagista Monica Lewinsky, le polveri repubblicane sembrano essere abbastanza bagnate.