Alessandra Bianchi, L’Espresso 14/2/2014, 14 febbraio 2014
VE LA DO IO LA CINA
[Colloquio Con Marcello Lippi] –
Conosco solo tre parole di cinese: cameriere, grazie, portacenere. Così quando sono andato in un ristorante e le ho dette in sequenza tutte e tre, il cameriere pensava che sapessi il cinese e ha cominciato a parlare, convinto che capissi tutto». Dall’Italia, dall’amatissima natia Viareggio, a Canton, in Cina, il passo è enorme, faticoso e suggestivo come vincere una Coppa del Mondo: e visto che Marcello Lippi i Mondiali li ha già vinti nell’indimenticabile 2006 in finale contro la Francia, non poteva certo rifiutare l’affascinante avventura con il Guangzhou Evergrande. I soldi, certo, sono tanti (dieci milioni d’euro l’anno, ndr) ma ci sono pure l’entusiasmo, la voglia di allenare, di vincere ancora che, del resto, è una delle cose che gli riesce meglio: l’uomo che ha conquistato coppe e scudetti con la Juventus, è riuscito nel giro di un anno e mezzo a vincere in Cina due titoli nazionali (l’ultimo con 18 punti di vantaggio sulla seconda), una Coppa di Cina e la Champions’ League orientale. Per la Coppa Intercontinentale c’è invece ancora da lavorare: Lippi si è dovuto arrendere in semifinale contro il Bayern Monaco di Pep Guardiola e insomma non è poco.
Intanto però, attraverso il calcio cinese, scopre una cultura e un modo di vivere diversi. Lo abbiamo incontrato a Roma, poco prima che partisse per Marbella dove la squadra gioca delle amichevoli in vista della ripresa della stagione: l’ex ct è in forma, anche se ha un tutore alla spalla per via di un’operazione, è disteso, sempre abbronzato ed elegante e ha voglia di raccontare la sua Cina.
Come si è organizzato per lavorare e muoversi a Canton?
«Con tutto il mio staff (sette persone, ndr) abbiamo quattro interpreti. Uno è sempre con me dalla mattina fino a mezzanotte. Poi ho un autista, altrimenti dovrei prendere la patente cinese. Potrei imparare un po’ la lingua, ma io ho bisogno di comunicare in modo chiaro con i miei giocatori tra i quali, per esempio, c’è un coreano. Quando parlo con lui, il mio interprete deve tradurre al suo che è cinese-coreano che a sua volta ripete al giocatore! Per la risposta facciamo la stessa cosa al contrario. Non sarà proprio una traduzione letterale ma l’importante è il senso: oltretutto è un difensore molto bravo, per me destinato a fare carriera anche in Europa. La mia coppia centrale Kim-Linpeng potrebbe giocare a Manchester, Barcellona, Chelsea. L’ho detto anche a Ferguson che sento spesso: ma, finché ci sto io, non si muovono».
Cosa è stato più difficile all’inizio per ambientarsi?
«In realtà nulla, perché ci siamo tuffati subito nel lavoro. Siamo arrivati nel maggio 2012 e abbiamo cominciato a occuparci dell’organizzazione della società. Loro sono diversi da noi, non hanno una cultura molto sviluppata del calcio che non è molto praticato, nessuno gioca per strada. Ora iniziano a capire l’importanza di avere delle scuole. Il nostro grande capo (il presidente Liu Yongzhuo, ndr) ha costruito 83 campi con dormitori per i ragazzi, palestre, alberghi, in un solo centro sportivo che poi è diventata l’Accademia di calcio del Guangzhou in grado di ospitare 3000 bambini, arruolando 15 allenatori giovanili del Real Madrid. Questi allenatori hanno girato la Cina per due anni e selezionato più di quattro milioni di bambini per arrivare a sceglierne 1500. La forza di questa nazione è la quantità ed è lì che bisogna cercare per selezionare la qualità per poi arrivare a un risultato».
Quali sono gli sport più praticati?
«Ovviamente il ping pong, alla tv ne trasmettono continuamente così come il basket, il volley. Il nostro club ha una squadra che fa anche le Coppe nazionali. Poi in tv c’è anche il calcio: pensavo fosse trasmesso soprattutto lo spagnolo o l’inglese e invece ho scoperto che quello italiano è molto seguito, così come il francese da quando c’è il Paris Saint-Germain del Qatar e di Ibrahimovic. Grazie alla tv satellitare Cctv, che ha 13 canali, è possibile seguire moltissime partite della serie A in diretta: certo, quando c’è il posticipo serale delle 20.45 non mi sveglio alle 3 per vederlo!».
Allo stadio c’è gente?
«Il nostro stadio ha 35 mila abbonati e 20 mila paganti a ogni partita. È un impianto che si trova al centro e può ospitare 60 mila persone. C’è un entusiasmo crescente grazie anche ai risultati. Pensi che lo scorso anno per la Coppa di Cina, che non è l’evento più seguito, avevamo una media di 40 mila persone a partita!».
Lei ha sicuramente contribuito a questo interesse. È una star.
«L’entusiasmo c’era già, ora certo è aumentato. Mi fermano per le foto, mi riconoscono, mi salutano per la strada. È successa una bella cosa tra me e i cinesi: si sono resi conto presto che non ero andato lì solo per i soldi. Hanno percepito e apprezzato il mio entusiasmo. Me lo ha detto anche il ministro dello Sport di recente e questo mi ha fatto piacere. Quando sono arrivato mi avevano chiesto "Si può vincere la Champions’League in cinque anni?". Lo abbiamo fatto dopo un anno e mezzo!»
Ma il livello del calcio cinese com’è?
«Distinguiamo una cosa: rispetto al Giappone e alla Corea il calcio cinese è inferiore a livello di Nazionale. Questo perché in quasi tutti i club cinesi ci sono tre o quattro extracomunitari, slavi, serbi, argentini, brasiliani, portoghesi, per la maggior parte attaccanti o trequartisti. Così la Nazionale ha buoni difensori ma non punte forti. A livello di club è differente: quest’anno ci siamo presi una bella soddisfazione andando a vincere 4-1 in casa di una squadra giapponese e abbiamo vinto la Champions contro i coreani del Seul».
Che cosa è cambiato con il suo arrivo?
«La squadra è cresciuta, ho cercato di trasmettere la mentalità giusta. I giocatori mi dicono: "Non avremmo mai pensato di essere allenati dall’allenatore campione del mondo che ha l’entusiasmo di un ragazzino, come se non avesse vinto niente". Io sono fatto così, vado sul campo e se serve vado a prendere la sacca con i palloni o gli ostacoli, mica aspetto che lo facciano per me! Mi sono addirittura meravigliato, a 66 anni, di aver ritrovato tutta questa voglia del lavoro quotidiano di una squadra: ogni mattina mi sveglio alle 6.30».
Ora vi state preparando per la nuova stagione che si svolge tutta nell’anno solare.
«Lo scorso anno abbiamo iniziato il 5 gennaio la preparazione e abbiamo finito di giocare il 22 dicembre! Quest’anno ho imposto che i giocatori abbiano un mese di vacanze. Bisogna avere pazienza, altrimenti per certe cose bisognerebbe litigare sempre. I cinesi hanno la cultura dell’obbedienza, non si ribellano mai. Nella passata stagione mi sono ritrovato con 10 nazionali, praticamente l’intera squadra, convocati mentre facevamo la preparazione per la Champions! Ma si può? Mi sono arrabbiato e ho detto al grande capo: "Lei mi ha chiamato per vincere la Champions, mi ha dato talmente tanti soldi che la metà bastano e poi permette che la Federazione ci porti via 10 giocatori senza battere ciglio"? Poi ne ho parlato con la stampa. Allora il club mi ha chiamato per dirmi: "Forse non deve criticare...". Come sarebbe, non devo criticare? Il fatto è che non c’è una Lega. In Italia per una cosa del genere le società insorgono. Ci è capitato anche di giocare una partita di Coppa il mercoledì e una di campionato il venerdì! Cose impensabili. E quello che mi fa impazzire è che accettano tutto!».
Lei segue sempre la serie A. Ha conosciuto Garcia, una novità del nostro calcio.
«Sono sempre in contatto con Totti e De Rossi con i quali ho condiviso il momento più importante della nostra carriera (campioni del mondo, ndr). Così sono andato a trovarli a Trigoria e ho conosciuto Garcia. Mi piace molto e gliel’ho detto. Mi piace l’immagine che la Roma sta dando all’esterno sotto tutti i punti di vista, tecnico, tattico, compattezza di squadra, di partecipazione, di unità di intenti. Mi fa pensare a me quando a 46 anni, all’incirca la sua età, sono arrivato alla Juve. Garcia trasmette un grande entusiasmo, mi rivedo in lui».