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 2014  febbraio 14 Venerdì calendario

BENZINA, LA GRANDE TRUFFA


Napoli. Un’autobotte bianca con una striscia rossa spunta da una nebbia insolita per Napoli. Ore 7, periferia, il traffico è ancora debole sul raccordo per le autostrade. «Siamo noi, il Cammello» dice l’autista rassicurando il benzinaio in attesa. Non è solo una frase in codice. La cisterna senza nome né insegne ha una «gobba» all’interno, uno scomparto con il gasolio di contrabbando. Scarica i duemila litri trattenuti di nascosto. Trentamila ne aveva versati la sera prima in un «deep tank», il serbatoio di un cargo. Il carburante che va alle navi costa molto meno: niente accise o Iva, si pagano solo i diritti doganali. Il Cammello nelle città di mare è il sistema più diffuso di questo genere di contrabbando, che oggi riesplode in forme sofisticate. Furti, trucchi, contatori manomessi, triangolazioni internazionali con società fantasma. Tra le mafie, la camorra è stata la più svelta.
«Non dipende dalla crisi. Il mercato nero ha riaperto in grande stile perché c’è un margine di guadagno enorme. Un euro secco per ogni litro, senza l’Iva e l’accisa» spiegano inquirenti e Unione petrolifera. È un fenomeno che sembrava sparito da trent’anni. E invece impegna di nuovo Dogana e Finanza. Nel 2013 ha sottratto allo Stato almeno cinque miliardi di imposte. In un giro di affari di almeno dieci. La benzina italiana è terza per incidenza fiscale nella zona euro, dopo Olanda e Regno Unito. L’accisa (dall’olandese accijns) è l’imposta sui prodotti energetici, come sugli alcolici: lo Stato la incassa senza ricorsi e conteziosi. Nell’autunno 2011 è aumentata quattro volte, sette in due anni. Incoraggiando però il mercato nero, che in Italia si rivela con tutto il folclore della capitale antica del contrabbando: Napoli.
In provincia, a Mariglianella, durante un controllo della Finanza, qualcuno lancia da un balcone una borsa nera. La borsa si apre, volano come coriandoli fatture, registri, lettere. È la doppia contabilità di un’azienda. I finanzieri di Casalnuovo di Napoli informano i magistrati di Nola. Il procuratore aggiunto Maria Antonietta Troncone, lunga esperienza di pm anticamorra (porta la sua firma la retata di politici dopo l’alluvione di Quindici e Sarno del 1998), avvia l’inchiesta Flying Bag. La «borsa volante» è solo l’inizio. Fa decollare le indagini sul contrabbando: 62 indagati, sequestri per 38 milioni, viene alla luce un sistema di contabilità e amministrazione parallela, in nero, accanto a quella ufficiale. L’inchiesta fa saltare la Concetta Coppola Petroli, impresa con decine di aziende satellite, quasi tutte intestate a donne. Sfilano così in tribunale sorprendenti «imprenditrici ». Si chiamano Concetta, Carmela, Adelina, Giuseppina, Immacolata, Michelina, Nunzia... Il ricorso ai prestanome è frequente. Scene da teatro popolare quando sono scoperti. Descrivono, a Casalnuovo, lo stupore del capitano Giuseppe De Stasio quando rintraccia ignari titolari di impianti e ditte: operai, braccianti, pensionati che avevano firmato documenti dinanzi al notaio in cambio di 400 euro al mese, credevano gli ingenui che fosse un regalo. Beneficenza? Nola diventa la Procura apripista, un’altra vastissima indagine è dirottata dal gip per competenza ad altro ufficio. Il comandante della Tributaria di Napoli, Nicola Altiero, istituisce intanto un pool di specialisti: il Nucleo Tutela del colonnello Antonello Cefalo con il capitano Renato Sommella nel 2013 recupera 51 milioni di accise, in un giro di 400 milioni, 78 gli arresti per carburante rivenduto in nero alle pompe, 3.500 verbali, mille denunce, un centinaio di sequestri.
Si scopre che la benzina in nero è un mestiere per tanti. E molto fantasioso. A Taranto, una delle tredici raffinerie italiane, le condutture sotterranee sono state «agganciate » ai bocchettoni delle cisterne. Il carburante così viene portato fuori dall’impianto Eni, sbucando un centinaio di metri più in là. Ad Ancona, invece, è di moda ancora il contrabbando vecchio stile. Benzina e gasolio, arrivati sottocosto dal Pireo, sono venduti all’imbocco dell’autostrada.
Da Sondrio partono gli autoarticolati che si riforniscono a Livigno, zona franca, e di qui ripartono per Toscana, Veneto ed Emilia. Anche la Slovenia manda petrolio, estratto da pozzi del Caucaso. Una parte ingrossa il fiume nero del contrabbando. Le autobotti fanno avanti e indietro due o tre volte di seguito, perché il documento della Dogana che consente di passare il confine è valido due giorni. Gli autisti volano. Questo è un lavoro che rende: andare dalla Slovenia a Napoli o a Bari e tornare indietro fa guadagnare agli autisti sugli ottomila euro al mese in nero. Nel compenso è valutato il rischio frequente di arresto o rapine.
A Palermo, nel quartiere Brancaccio, quando è acceso un lumino sotto la statua di Padre Pio, gli automobilisti che fanno benzina ricevono l’8 per cento di carburante in meno rispetto a quello che indica la colonnina. Non è colpa del santo, è un segnale. In quel momento, stanno rallentando il flusso delle pompe, con telecomandi nascosti in scatole di mentine.
La Finanza ha scoperto e bloccato anche un complesso sistema parallello di importexport. Un esempio? Spuntano società fittizie. Una, in Slovenia, invia sulla carta il carburante in Spagna attraverso una consociata italiana. Nomi e indirizzi falsi. II carburante in transito non è soggetto a Iva e accisa e in Spagna non arriverà mai. Esentasse, in qualche porto italiano rifornirà i nero i gestori.
Il benzinaio che nella nebbia delle 7 salutava il «Cammello» la racconta così: «Ci offrono benzina e gasolio a buon prezzo. Io li mando a quel paese, sia chiaro. Però l’affare sarebbe buono. Basta manomettere con le pinze il contatore: noi non emettiamo gli scontrini ed è quello a registrare tutto. La società che ci concede in affitto l’impianto ogni tanto viene a controllarlo. Magari viene fuori che è “rotto”. Quando la società si insospettisce, con l’assistenza manda l’ispettore... Molti rubano perché si guadagna poco: 5 centesimi al litro, solo 3 e mezzo per chi ha il self. Sono i grossi che fanno fortuna, mica noi piccoli». Secondo lui il denaro in nero «va ai negozi che comprano oro e cercano contanti».
C’erano anche gioiellerie, non solo pizzerie e distributori di benzina (38!), nel maxisequestro tra Napoli e Roma con 70 arresti nel clan di Eduardo Contini, boss di Vasto-Arenaccia. Ciro Di Carluccio, che gestiva anche le aree di servizio, con i «soci» parlava in un posto tranquillo: nel ristorante di un ospedale. Nelle 1.900 pagine del gip Raffaele Piccirillo, inchiesta dei pm Marco Del Gaudio e Ida Teresi, non si discute di contrabbando. Ma è forte il giro di danaro sporco nel settore.
Osserva il magistrato Maria Antonietta Troncone: «È una delle nuove vocazioni all’illegalità per alcuni imprenditori. Sono società importanti a investire, non si improvvisa. Il fenomeno è esteso perché il lucro è alto. Sono opportuni i controlli in strada, l’esame dei documenti e le intercettazioni... ». La Procura di Nola punta sulle truffe (per le polizze Rc-Auto ci sono 400 indagati), ma il procuratore Paolo Mancuso ritiene si possa fare di più. «La Finanza fa l’impossibile. Lo Stato deve colmare gli organici e offrire più mezzi. Il ritorno economico sarebbe inimmaginabile».
«Ho parlato anche con il direttore generale delle Dogane, chiediamo aiuto» dice Piero De Simone, il direttore dell’Unione petrolifera. Preoccupati gli otto grandi marchi (Eni, Esso, Q8, Total Erg, Api-Ip, Tamoil e Shell), che vendono 35 miliardi di litri l’anno. «È evidente un canale parallelo, che fa concorrenza sleale vendendo a prezzi più bassi» dice De Simone. Difende le Pompe Bianche, i discount del carburante, svincolate dai marchi noti. E dice: «Ci battiamo per l’uso gratuito delle carte di credito. Garantisce la tracciabilità totale. Il sistema invece preferisce un mare, dico un mare, di danaro contante».