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 2014  febbraio 14 Venerdì calendario

DIETA FERREA E AMBIZIONE LO SPRINT VERSO IL POTERE


Quando, il 13 settembre del 2012, al palazzo della Gran Guardia di Verona, in camicia bianca e maniche arrotolate alla Obama, Matteo Renzi a un certo punto disse: «Ci candidiamo a guidare questo Paese per i prossimi cinque anni», fummo in molti a pensare che fosse un megalomane. Non per il plurale maiestatis, ma per la sproporzione tra l’obiettivo dichiarato e la sua esperienza politica.
Invece, aveva ragione lui. E lui lo sapeva, di avere ragione. Gli uomini come Renzi hanno dentro un qualcosa che li convince di veder giusto anche quando gli altri, tutti intorno, gli dicono che stanno sbagliando. È la forza dei vincenti. E Renzi sa di essere un vincente. Quando pronunciò quell’apparentemente pretenzioso discorso della discesa in campo, sapeva che il suo destino era quello di ottenere sempre quello che vuole. A cominciare dal 1994, quando, ancora diciannovenne, andò come concorrente a «La ruota della fortuna» e portò a casa quarantotto milioni di lire. Racconta il prete che l’ebbe, bambino, negli scout, che a pallone non era un granché e allora, piuttosto che far brutta figura, faceva l’arbitro: ma perdere non era una possibilità contemplata.
Nel 1999 il ventiquattrenne Renzi ottiene già il suo personale triplete: si laurea in giurisprudenza con una tesi su «Giorgio La Pira sindaco di Firenze» (più un annuncio che un presagio); diventa segretario provinciale del Partito Popolare; sposa la donna che voleva sposare, Agnese Landini, insegnante di liceo. Nel 2001 è coordinatore della Margherita fiorentina, nel 2003 segretario provinciale, dal 2004 al 2009 presidente della Provincia di Firenze.
Nel settembre del 2008 si mette in testa un’altra idea da matti, candidarsi alle primarie per il sindaco di Firenze. Tutti a dirgli Matteo sta’ bono, non fare il passo più lungo della tu’ gamba. Eppure vince, e vince contro uno favoritissimo, Lapo Pistelli, deputato e responsabile nazionale Esteri del partito. Ancora una volta aveva ragione lui, il giovane Matteo, che naturalmente poi l’anno dopo sbanca le elezioni comunali e diventa sindaco di Firenze, lui che oltretutto viene dalla provincia, cresciuto a Rignano e abitante a Pontassieve.
Ecco perché quando Renzi cominciò la corsa per Palazzo Chigi era sicuro di farcela. Si mise a girare l’Italia in camper per una campagna elettorale surreale: mai un deputato del Pd a seguirlo; mai una bandiera del partito ai suoi comizi; un ragazzo, l’amico Luca, a fargli da organizzatore; una ragazza, Antonella, a fargli da addetta stampa. La giovinezza incosciente contro la formidabile macchina da guerra di Bersani.
Ovunque andava, però, Renzi radunava le folle che pareva un messia. L’abbiamo visto pronunciare discorsi della montagna e quasi moltiplicare pani e pesci in paesi ultra leghisti della Bergamasca e a Trani, nell’Emilia rossa e a Campobasso. Per settimane ha fatto una vita d’inferno. Dormire, dormiva tra una tappa e l’altra, e si preoccupava di non farlo sapere, perché non si potrebbe col camper in movimento, e anche una violazione del codice della strada, con i tempi che corrono, guai. Mangiare, non mangiava. Perché in questo, diciamolo, Renzi un po’ berlusconiano lo è. Il Cavaliere mette a stecchetto i suoi, lui si mette a stecchetto da solo. Se guardate le foto del Matteo di qualche anno fa, vedrete un giovanotto paffutello. Adesso è un figurino. Va a correre. Fa le maratone. E sul camper, quando siamo stati in compagnia con lui, abbiamo scoperto che si nutriva solo di banane. Potassio. Come i tennisti. Perché la vita è un match.
A un certo punto di quella forsennata campagna per le primarie del centrosinistra, Renzi ha davvero pensato che la vittoria fosse lì, a un soffio. Gli misero in mano dei sondaggi che dicevano più o meno così: se va con Bersani candidato, il centrosinistra non arriva al trenta per cento; se ci va con te, è al quaranta-quarantadue. Era il momento in cui, soprattutto al Nord, con Berlusconi nei guai e la Lega in rotta, molti elettori di centrodestra erano sedotti da lui.
Ma un po’ per questo suo essere gradito a destra, e un po’ (o un molto) per la vocazione al suicidio che ha la sinistra italiana, il Pd gli fece terra bruciata. Qualcuno dice che, in certe sezioni, non aprirono neanche gli scatoloni con le schede. Probabilmente non è vero, ma sta di fatto che l’apparato fu tutto per Bersani, e Renzi conobbe la prima sconfitta della sua vita.
Eppure. Eppure fu proprio quella domenica sera in cui perse il ballottaggio che Matteo Renzi preparò la sua rivincita. Arrivò alla Fortezza da Basso, a Firenze, guidando la sua normalissima station wagon - niente autisti e niente scorte - con la moglie Agnese a fianco e il rosario sullo specchietto. Pronunciò un formidabile discorso in cui disse soprattutto una cosa: ho perso. In un Paese dove alle elezioni non perde mai nessuno, Renzi si mostrò, forse più che mai, diverso. E lì cominciò la sua rimonta.
Che sarebbe riuscito così presto a riprendersi quel che le primarie contro Bersani gli avevano sottratto, e cioè palazzo Chigi, probabilmente non lo immaginava nemmeno lui. Da grande calcolatore, ha però cadenzato nella sua mente le tappe: primo prendersi il partito; poi il governo. Complici i pasticci del Pd e un po’ di tutta la politica, il ribaltone è stato rapido: Renzi diventa segretario del Pd lo scorso 8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione, e chissà se c’entra qualcosa con il fatto che sua mamma, la signora Laura, l’ha affidato alla Madonna.
Durissimo e a volte iracondo con i collaboratori - aspiranti martiri - e sprezzante delle vecchie e paludate regole del bon ton partitico, Renzi è uno che non guarda in faccia nessuno per arrivare alla meta. Solo quando va a vedere la Fiorentina si distrae. È anche furbo, e questo rassicura chi teme che, accettando di fare il premier, cada in un trappolone. Potrebbe però avere un punto debole: la smania di bruciare le tappe. Vedremo presto (perché in tutta la Renzi story tutto si brucia in un attimo) se in questi giorni sta prevalendo in lui la forza della scaltrezza o la debolezza della fretta.