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 2014  febbraio 14 Venerdì calendario

ULTIMO GIRO DI VALZER DI BOB KING


La battaglia politico-sindacale nella fabbrica Volkswagen di Chattanooga, nel Tennessee, potrebbe essere l’ultima per Bob King, il presidente di Uaw, il sindacato dei metalmeccanici statunitensi. Il prossimo giugno lascerà la poltrona a Dennis Williams, 60 anni, appena indicato per la successione, uno che di automobili non ne ha mai costruita una. In un settore sotto le luci della ribalta, almeno finché il mercato delle quattro ruote continuerà a tirare e a produrre la maggior parte degli utili esibiti dai tre costruttori nazionali di Detroit. Compresa la Chrysler di Sergio Marchionne, per la quale King ha perso la partita al tavolo di poker all’inizio dell’anno, dopo un anno di trattative durissime sul valore della quota ancora in mano al sindacato.
È noto come sia finita, con la stampa internazionale ad esaltare le qualità di negoziatore del manager italiano e con il plauso di Wall Street, nelle nebbie come sia cominciata.
King, 67 anni, bianco nato nel Michigan dell’auto, è un elettricista con una laurea in legge. Figlio di un direttore delle relazioni industriali della Ford, gruppo dove lui stesso passa gran parte della sua vita lavorativa, viene nominato presidente di Uaw nel giugno del 2010. Prende il posto di Ron Gettelfinger, che in otto anni di mandato ha perso il 40% di iscritti al sindacato, inghiottito il licenziamento di migliaia di lavoratori e assistito alla chiusura di decine di fabbriche Gm, Ford e Chrysler. Un milione, e mezzo di iscritti nel 1979, 382.513 oggi, di cui solo il 40% lavora direttamente nell’industria dell’auto.
King eredita il contratto che Marchionne impone ai lavoratori della Chrysler nel 2009 d’intesa con l’Amministrazione Obama. Unica via, così si dice, per il salvataggio dell’azienda dalla bancarotta con i soldi pubblici dei contribuenti. Il contratto è molto duro per i lavoratori dell’auto americana: prevede divieto di sciopero fino al 2015, meno soldi e benefit per tutti, buste paghe dimezzate per i nuovi assunti. Steve Rattner, il negoziatore della Casa Bianca, racconta nel suo libro di memorie The Overhaull come Gettelfinger si pieghi a Marchionne quando il manager sbotta di farla finita con la cultura dei «diritti acquisiti», perché è l’ora della «cultura della povertà».
King riceve dal suo predecessore anche il 55% della Chrysler, detenuto da Veba, il fondo che si occupa di assistenza sanitaria e pensioni. Nato nel 2007 per alleggerire i bilanci compromessi di Gm, Ford e Chrysler in cambio di investimenti programmati da parte delle stesse imprese, Veba nel 2009 accetta azioni al posto di capitali per una partecipazione in Gm e in Chrysler allora quasi senza valore.
Poi l’America a motore riparte. La Gm torna in borsa, la Ford macina utili (7,2 miliardi di dollari solo l’anno scorso), la Chrysler rinasce sulle sue ceneri e guadagna coprendo pure i buchi della controllante Fiat.
Nella trattativa che nell’ultimo anno lo oppone a Marchionne per il valore della quota rimasta nelle sue mani (il 41,5%), King chiede molti più soldi sia perché sa leggere anche lui i bilanci, sia per provare a compensare in qualche modo quel che il sindacato ha ceduto in questi ultimi anni su diritti e lavoro. Temi su cui Uaw prima di King si è venduto al diavolo e Uaw di King vuole recuperare.
Il capo del sindacato le prova tutte. Ingaggia per la trattativa un veterano di Wall Street, il franco-americano Alain Lebec, un banchiere della società di consulenza Brock Capital con un passato alla Merryl Lynch e già consulente della Gm per la cessione di asset non legati direttamente all’auto. L’idea, buona, è che Lebec parla la stessa lingua di Marchionne e dei suoi uomini di finanza. E poi King torna a fare politica, rivolgendosi ai suoi nella lingua del sindacato e della tradizione del Partito democratico.
«Ogni essere umano merita dignità e uno standard decente di vita, l’obiettivo di un sindacato è di far sì che questo accada», dice ai quattro venti il capo del sindacato, provando a riscoprire valori che Uaw ha perduto per strada. «Siamo troppo concentrati sui contratti, bisogna combattere per la giustizia», insiste dopo aver concesso tanto alle imprese per aiutarle a sopravvivere.
Ma per fare quello che dice (o almeno provarci), King sa di avere più bisogno del colore dei soldi che evocare il sapore delle lotte operaie degli anni 60. Tanto più che quando lo ha ritenuto necessario, ha messo a tacere il dissenso interno su come rispondere alle pressanti richieste dell’azienda per esempio sui turni di lavoro.
Da Marchionne ottiene alla fine 4,35 miliardi di dollari. Molti, non l’obiettivo. Il prezzo è giusto?