Natalia Lombardo, L’Unità 14/2/2014, 14 febbraio 2014
DIECI MESI VISSUTI PERICOLOSAMENTE
Concepito nella primavera 2013 dopo il dolorosissimo passaggio vissuto nel suo partito con i 101 franchi tiratori che hanno impallinato Romano Prodi al Quirinale, Enrico Letta viene incaricato il 24 aprile dal Giorgio Napolitano II a guidare un governo «di servizio». Nato sulle «larghe intese» ereditate dal tecnico Monti, per Letta il suo è un esecutivo «politico».
La «deberlusconizzazione» del governo, pur rimasto in piedi, è uno dei trofei che Letta ha innalzato in cuor suo, infatti che Renzi abbia resuscitato il Cav non gli è andato giù. Sono passati poco più di nove mesi, poco più di una gestazione, e Letta è stato espulso, anziché partorito, proprio dal suo partito. Lui, il 48enne vicesegretario del Pd che aveva ricevuto il testimone da uno sconfitto Bersani, un quasi padre al quale ha sempre espresso la sua riconoscenza, viene scalzato a scena aperta dal Gianburrasca di nove anni più giovane. «Geneticamente diversi», l’uno che aveva provato a ringiovanire l’esecutivo, a tagliare i costi della politica, a sburocratizzare lo Stato ma con i tempi lenti della politica, mentre l’altro sgommando con la Smart ha sorpassato il monaco zen concentrato nella resistenza pacifica.
Il giorno del giuramento al Quirinale, il 28 aprile, Enrico Letta arriva al Colle con la sua monovolume e non in auto blu (e Bray in Panda rossa), ma l’evento è funestato dalla sparatoria a Palazzo Chigi dove un folle devasta il carabiniere Giangrande. Il governo vantava un record: 7 donne in partenza, addio burontosauri, età media 50 anni. Il 30 ottiene la fiducia in Parlamento e Letta inizia il tour dai leader europei e Bruxelles dove è ben visto. Grandi sogni di riforme, discusse nell’abbazia di Spineto il 13 maggio, chachemirini da sera e via le cravatte, un ritiro nella migliore tradizione ulivista.
E inizia la processione dei 40 «saggi» per le modifiche alla Costituzione. Ma da lì a poco si presenta la prima grana con una ministra donna e non politica, l’olimpionica Josefa Idem che il 24 giugno si dimette per presunte irregolarità fiscali. Le Pari opportunità restano senza ministero, anche se il decreto sul femminicidio sarà varato il 14 agosto. In compenso l’altra «nuova italiana», Cécile Kyenge, resiste al bombardamento razzista per tutti i nove mesi. Il 3 giugno lo sblocco dei pagamenti della Pubblica Amministrazione è ben accolto dall’opinione pubblica, ma l’estate diventa bollente con il ricatto berlusconiano sulla cancellazione dell’Imu pena la caduta del governo. Il Cavaliere vince il match, creando un miliardo di problemi e limitando le risorse per combattere la crisi.
A metà luglio scoppia il caso Shalabayeva che inguaia il vicepremier Angelino Alfano, contestato dai grillini ma anche dai renziani, la mozione di sfiducia è respinta ma le ombre restano. Il governo vara decreti, come quello sul «Fare» ma deve chiedere la fiducia, fila liscio invece lo «svuotacarceri». Il tira e molla berlusconiano è snervante, «falchi e colombe» svolazzano su Palazzo Chigi dal 30 luglio, quando la Cassazione ha condannato Berlusconi. Un mese dopo i cinque ministri del Pdl (Alfano, Quagliariello, De Girolamo, Lupi, Lorenzin) danno «dimissioni irrevocabili», ma Letta le respinge. Con una giravolta Berlusconi confermerà la fiducia il 2 ottobre al Senato, a Letta sorpreso scappa un «grande!». Gli alfaniani Pdl si stanno smarcando ma per un buon mese il governo ballerà sotto al Spada di Damocle della decadenza del Cav da senatore, evento che Letta ha voluto «distinto dall’azione del governo».
Ai primi di novembre scoppia il caso della Guardiasigilli Cancellieri per le telefonate a casa Ligresti, ma anche questa sfiducia è respinta. Il 26 novembre lo strappo: Berlusconi passa all’opposizione con la rinata Forza Italia, ma il governo regge con il Nuovo Centrodestra di Alfano e i cinque ministri. Si dimettono a fatica i sottosegretari azzurri. Il giorno dopo il Senato approva la decadenza del Cavaliere. L’8 dicembre le primarie e il trionfo di Renzi, Letta confida nel «rilancio» di cui illustra i punti nel discorso in Parlamento l’11 dicembre, li svilupperà nel dossier Impegno 2014, che dalla fine dell’anno al giorno prima di saltare ha tenuto «nel cassetto perché Renzi ha dato priorità alla legge elettorale». Ma il balletto delle tasse, tra Tasi, Tari, Iuc, mini Imu, sconcerta parti sociali e imprese, fino alla recente bocciatura da Confindustria.
A fine anno il tilt in Parlamento su SalvaRoma e slot machine, lo scivolone sui 150 euro degli insegnanti. Il nuovo anno il governo perde altri due pezzi, con Fassina offeso da Renzi e Nunzia De Girolamo che il 27 gennaio si dimette per i sospetti di controllo su appalti nel beneventano. In Parlamento ingorgo di decreti in scadenza, passa lo Svuotacarceri. Il premier insiste sul patto di coalizione e resiste (anche se diceva «non sono qui ad ogni costo»), finché Renzi non gli ha dato il benservito. Con i modi garbati, Letta brinda con il suo staff e con Patroni Griffi. Un addio per quella che tutti hanno comunque definito «un’esperienza meravigliosa».