Matteo Bordone, Wired 2/14, 14 febbraio 2014
JOHNNY L’AGGIUSTATUTTO
Nel cinema pop americano è esistita per anni una figura che oggi è un po’ sparita, forse per ragioni di correttezza politica o perché la società è troppo mista affinché certi elementi facciano effetto: il cinese saggio e magico. Era un classico, una costante: c’è in Gremlins, ovviamente in Grosso guaio a Chinatown, per non parlare di Blade Runner. Nella Chinatown di Milano, la zona vicina a via Paolo Sarpi, tra il Parco Sempione e il Cimitero Monumentale, esiste un ragazzo che incarna quel personaggio e quel ruolo nella vita reale di molte persone.
Johnny è il titolare di un piccolo negozio di riparazione e vendita di apparecchiature elettroniche e informatiche, dai caricabatterie compatibili con qualsiasi telefono agli hard disk, con tutto quello che ci sta in mezzo. Il locale non è grande, ha una sola vetrina, e l’insegna si confonde con quella dei molti negozi di abiti e merce varia di questa zona. Eppure è quasi sempre pieno, e spesso c’è gente che aspetta fuori. È difficile anche solo pensare di contare il numero di oggetti (monitor, chiavette, portatili, tastiere eccetera) stipati all’interno, nelle vetrinette, sugli scaffali, nei cassetti; molti hanno sopra un post-it con un nome e un numero di telefono. Dal piano di sopra si sentono rumoreggiare dei tecnici costantemente al lavoro. Entra una ragazza. Mostra un telefono con il più tipico dei problemi: il vetro in frantumi. Johnny prende i riferimenti, li scrive sul post-it e chiede di tornare dopo un’ora.
La ragazza è evidentemente una cliente abituale, perché un’ora non le basta: «Non si può fare in mezz’ora? Daiii». Johnny pronuncia due parole in cinese ad alta voce, e da sopra gli rispondono qualcosa, forse una maledizione. «Va bene, dai, mezz’ora», dice alla ragazza che esce soddisfatta. Molti clienti di Johnny vengono qui la prima volta proprio per questo motivo: vogliono riparare il vetro di uno smartphone in fretta e senza spendere un patrimonio. Con qualche decina di euro, qui si può fare.
«Ho aperto il negozio a sedici anni», racconta. «Dieci anni fa non c’era tanta scelta per i cinesi: o ristorante o confezioni. Ho visto i miei genitori lavorare nelle confezioni. È una vita massacrante. Quando mio padre mi ha chiesto se volevo continuare a studiare o lavorare, ho deciso di fare qualcosa di diverso. Sono andato in Cina per sei mesi e ho seguito un corso di riparazione di apparecchiature elettroniche». Questa capacità di buttarsi e anticipare più di una tendenza a venire è l’impostazione cinese tipica dell’impresa commerciale. «Un problema di tanti negozi di cinesi? Non sanno l’italiano. Tipo uno che fa il sarto vede che la telefonia tira: apre il negozio. Perché il cinese fa quello che va. Se non va, tra due anni chiude bottega e magari fa un’altra cosa».
Da Johnny vanno tutti, e la notizia che ci sia qualcuno che ti segue e risolve qualsiasi tuo problema di hardware e software, Mac o pc si diffonde da anni in città. Perché ormai la gran parte della vendita di hardware passa per grandi catene o negozi online, dove manca la possibilità di ricevere un’assistenza puntuale. Dall’altra parte abbiamo le aziende, per cui l’hardware si accompagna sempre a un contratto di assistenza. In mezzo ci sono le persone normali che hanno bisogno di soluzioni semplici, chiare, economiche e tempestive. E da Johnny trovano tutto questo. A volte gratis. «Io faccio una consulenza gratuita», racconta. «Magari qualcuno mi dice “Devo andare da Expert a comprare un computer. Cosa compro?” E non mi interessa se non lo compra da me; io neanche li vendo. Dimmi a cosa ti serve il computer, e io ti dico cosa devi prendere. Potresti acquistare un computer a 299 € di adesso, e funziona più che bene. Tanto hai già 4 GB di ram, 500 GB di hd, processore dual core: è più che sufficiente. Se ne prendi uno da 799 € con una scheda grafica della madonna, può essere che quella scheda sia troppo spinta. C’è il rischio che si surriscaldi e si bruci tutto».
Nel negozio di Johnny, in via Giordano Bruno 20, si parla tantissimo. La gente ha bisogno di cose che normalmente si chiedono all’amico smanettone. Ma, anche se il lettore medio di Wired può trovarlo incredibile, c’è chi non ha l’amico smanettone cui chiedere di rimettere a posto il desktop o cancellare le applicazioni scaricate che rallentano il sistema. Johnny fa tutto questo, e per cifre modiche. Ma la domanda di riparazione, in un periodo storico in cui in genere la strategia dei grandi marchi è quella di offrire per una cifra abbastanza alta un telefono nuovo di zecca, non interessa soltanto i privati. «Ci sono negozi che portano la roba a riparare da me», dice Johnny. «Non faccio nomi. Sono negozi in centro, bravi, chic, e portano la roba a me. Io faccio un servizio veloce, faccio un buon prezzo, loro fanno il loro ricarico, e siamo tutti contenti».
La moglie e il padre di Kai, per chiamarlo come lo chiamano i suoi nonni, sono coinvolti nella gestione del negozio quando non c’è lui. L’impresa, vista originariamente con un certo sospetto dalla famiglia, è cresciuta costantemente da quando ha aperto. La nascita e la diffusione degli smartphone ha più che sostituito il declino del mondo dei pc, che sono diventati talmente economici da risultare una vendita redditizia solo se i volumi di venduto sono enormi.
La clientela di Johnny è molto variegata, e c’è anche gente un po’ improbabile. A un certo punto entra un ragazzo che mostra uno smartphone. Johnny guarda il telefono per tre secondi, e il ragazzetto smilzo e leggermente nervoso se ne va scornato. «Quel telefono è rubato», mi spiega poco dopo. «Io non ci faccio niente. Lo mando via. Certo, il blocco è solo nazionale, quindi basta portarlo fuori dall’Italia e funziona».
L’unica via di fuga per Johnny è la passione della moto. «Ho una F3 MV Agusta». È una motocicletta molto veloce e molto costosa. «La moto l’ho presa perché ognuno deve avere una passione», spiega. «Perché il negozio è un po’ un porto di mare: ne entrano di buoni e di brutti. A volte c’è gente pesante e non è che puoi litigare o picchiarti. È sempre un cliente, e devi ignorarlo. Ma quando ignori poi ti cresce la rabbia. E la rabbia un po’ va sfogata. Perché a volte, sai, ci sono quelli che chiedono “Quant’è?”, tu dici “50 €”; loro ti tirano 45 € e se ne vanno. Questa è cafoneria. Quelli sono clienti che... non dico che preferirei perderli, ma hanno un modo di fare che non mi sta per niente bene». La cautela con cui un negoziante di grande successo evita di mandare via anche il più maleducato dei clienti possibili dà la misura della cura che questo ragazzo mette in quello che fa, che poi è la ragione di questo successo trasversale. «Se uno lavora male, poi dicono di te “Lì non andare, quello lì mi ha fregato!”, e un commento così ne cancella otto positivi».
La crisi si sente, ovviamente, proprio in un posto come questo. «Si vende poco; si ripara molto», racconta Johnny. «La gente adesso preferisce spendere 100 € di riparazione che comprare un telefono nuovo a 150 €. Io magari lo sconsiglio, ma mi dicono: “Facciamolo lo stesso perché non ho quei 50 € in più”. Si vendono le novità come iPhone 5S o 5C, oppure il telefono low cost da 100 €. Il telefono da 200/300 € non si vende più».
Per finire, senza nascondere un certo imbarazzo nel parlare dei “cinesi” come se fossero una novità esotica, quando a Milano i primi arrivarono nel secondo dopoguerra in via Canonica dove vendevano cravatte, chiedo a Johnny com’è il cliente cinese medio. «Se un cinese in Cina deve comprare un computer, va al Computer Centre: un grande magazzino di cinque o sei piani, enorme, dove ci sono centinaia di stand, come se fosse una fiera, e ognuno è un piccolo negozio di computer. La concorrenza è totale. I cinesi devono sempre diventare più ricchi. Sempre. Siamo perennemente in competizione. Qui i cinesi sono più imbranati perché sono in Italia, ma in Cina sono dei draghi».
Esiste un ultimo aspetto in cui non è solo il modo di fare cinese a dare un vantaggio a Johnny e ai suoi clienti, ma il legame con il paese che produce l’elettronica di consumo per tutto il mondo. «Quando non si riesce proprio a capire cosa abbia un telefono, lo si manda alla Foxconn». Alla Foxconn, il gigante dell’elettronica da 1.200.000 dipendenti? «Be’, no, non esattamente a loro», specifica sorridendo. «Loro producono per tutti e non riparano. Ma i loro ex dipendenti hanno assemblato quei telefoni per mesi o anni, e li conoscono a memoria. Hanno dei piccoli centri di assistenza. Li guardano e in dieci secondi sanno qual è il problema. Conoscono tutte le caratteristiche dei modelli e delle partite. Riparano in un giorno e rispediscono indietro».
POSTIT
In Olanda la Repair Cafe Foundation (repaircafe.org) ha 40 locali con volontari delle riparazioni. Repair Cafe ha 71 filiali estere in otto paesi: Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Canada, Austria e Svizzera.