Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Dal 1964 il Censis (Centro Studi Investimenti Sociali, il più autorevole tra i nostri istituti di ricerca) pubblica un rapporto, molto voluminoso, in cui descrive lo stato del Paese. Ogni anno questo rapporto condensa in alcune parole – immaginifiche ed esatte – la nostra condizione, non solo economica, ma sociologica e psicologica. Le parole di quest’anno (44° edizione) sono: “nirvanizzazione”, “ameba” e soprattutto “calo di desiderio”.
• Che significa?
“Nirvanizzazione e “calo di desiderio”, nella terminologia del Censis, si equivalgono e servono a descrivere la nostra apatia, il nostro non saper più che cosa volere. L’“ameba” è lo stato a cui ci siamo ridotti a causa di questo: la società italiana appare ai ricercatori come un’entità informe e senza spina dorsale che stenta a prendere coscienza del proprio potenziale e a compiere quello scatto d’orgoglio che le consentirebbe di riprendere forza e di guardare avanti.
• È colpa di Berlusconi?
Il rapporto mette Berlusconi sotto accusa in parecchi punti, mostrando come all’enfasi mediatica di tante iniziative del governo non abbiano corrisposto poi risultati di qualche peso. Per esempio: le famose ronde sono state un flop (praticamente nessuno si candida a fare la guardia civica); al piano casa che doveva rilanciare l’edilizia con 70 miliardi di euro di investimenti hanno risposto solo 2.700 istanze; la social card, che avrebbe dovuto alleviare le sofferenze dei poveri, ha soccorso effettivamente 450 mila persone appena, contro richieste per 830 mila e platea teorica di un milione e 300 mila soggetti, e non è stata infatti rifinanziata quest’anno. È possibile che Tremonti o Maroni o Berlusconi portino oggi o domani altri dati, dai quali ricaveremo che questo è il paese di Bengodi. Ma è difficile. Il Censis è un istituto molto serio. In ogni caso, non si tratta però solo di questo. Anzi verrebbe da dire che la personalizzazione della politica – un altro dei fenomeni criticati dal Censis e considerato fallimentare – è stato un effetto del progressivo trasformarsi in ameba del nostro corpo sociale. Questa metamorfosi, si direbbe, ha una storia più lunga di quella del berlusconismo.
• E quale sarebbe questa genesi?
L’aver ottenuto tutto, nel corso di questo mezzo secolo, e non sapere a questo punto che altro desiderare. L’aver ottenuto persino la caduta delle regole, che l’illusione di un tempo metteva a fondamento di una società sempre più libera e che, stando al Censis, si è risolta invece in una società che non ha più orientamento. Il rapporto fa due esempi: «Bambini obbligati a godere giocattoli mai chiesti»; «Adulti coatti, più che desideranti, al sesto tipo di telefono cellulare».
• Il Censis non fa soprattutto ricerca economica? Qualche dato per sostenere queste elucubrazioni?
Quelli che si mettono in proprio, cioè che hanno voglia di rischiare, sono sempre di meno: tra il 2004 e il 2009 c’è stato un saldo negativo di 437 mila imprenditori e lavoratori autonomi. In termini percentuali si tratta del 7,6%. Le persone tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non cercano un impiego sono 2.242.000, un numero che, francamente, a me pare enorme. Interrogati, più della metà dei giovani italiani si sono dichiarati poco inclini ad accettare lavori faticosi o di scarso prestigio. Questo atteggiamento mentale è presente anche tra chi lavora: l’Italia è il paese europeo con il più basso ricorso a orari flessibili (solo l’11% delle aziende con più di 10 addetti utilizza turni di notte, solo il 14% fa ricorso al lavoro domenicale e il 38% a quello del sabato) ed è inoltre, tra le nazioni del Vecchio Continente, quella in cui meno si adottano modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda. Insomma, quando si tratta di rischiare un minimo o di fare qualche sacrificio, l’italiano medio si tira subito indietro.
• È strana questa cosa del “calo di desiderio”.
Il Censis mette insieme la caduta della legge e quella del desiderio. De Rita (presidente del Centro studi): «Non abbiamo spessore perché non funziona più il nostro inconscio. L’inconscio non è il posto dove si formano i sogni e l’irrazionalità, ma il luogo dove c’è una modulazione costante tra legge (cioè divieti, ndr) e desideri. La legge conta sempre meno, il desiderio svanisce». Abbiamo invece «bisogno assoluto di rilanciare la legge, ridare senso allo Stato, alla figura paterna, alla dimensione sociale del peccato, ma anche di ridare fiato al desiderio. Solo il desiderio ti fa ripartire da te stesso, altrimenti si cade nel narcisismo. Il desiderio può in qualche modo ricomporre un’unità di noi stessi. Ma per desiderare bisogna pensare, il desiderio nasce dalla solitudine della mancanza…». Che è un’elegante circonlocuzione per dire: si può desiderare solo se non si ha. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 4/12/2010]
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