FRANCO GIUBILEI, La Stampa 4/12/2010, pagina 1, 4 dicembre 2010
“Vent’anni di ingiustizia” - Quando il jet militare si schiantò sulla scuola entrando nella loro aula, la mattina del 6 dicembre di vent’anni fa, Federica Regazzi era seduta accanto all’amica del cuore, Milena Gabusi: «Ho sentito il botto e mi sono ritrovata sotto le macerie, col fuoco tutto intorno
“Vent’anni di ingiustizia” - Quando il jet militare si schiantò sulla scuola entrando nella loro aula, la mattina del 6 dicembre di vent’anni fa, Federica Regazzi era seduta accanto all’amica del cuore, Milena Gabusi: «Ho sentito il botto e mi sono ritrovata sotto le macerie, col fuoco tutto intorno. – racconta oggi – Non potevo uscire dalla porta perché era avvolta dalle fiamme, allora ho scavalcato i resti dell’aereo e mi sono buttata dalla finestra. Avevo 15 anni, quando hai quell’età riesci a superare tante cose». Della sua classe, la seconda A dell’Itc Salvemini di Casalecchio, si salvarono solo in quattro: lei, Milena, Federica Tacconi e Daniele Berti. Gli altri dodici compagni - Deborah, Laura, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen e Alessandra – morirono nell’urto micidiale dell’Aermacchi da addestramento che il pilota non era riuscito a dirigere su una zona disabitata, dopo che un’avaria lo aveva costretto ad abbandonare l’apparecchio al suo destino. Altri ottantadue ragazzi del Salvemini rimasero feriti, e quasi tutti si porteranno addosso per sempre le tracce di quel terribile incidente, con invalidità permanenti che vanno dal 2% all’80%. Federica oggi lavora in banca, è sposata, ha una figlia di sei anni e una bella casa. Si considera molto fortunata, anche se non dimenticherà mai quella giornata: «In un primo momento credevo fosse stato un attentato, non ho neanche capito che ci aveva colpito un aereo, me l’hanno detto in ospedale qualche giorno dopo. Quando ho saputo che ci eravamo salvati solo in quattro è stato un colpo». Un disastro del genere, oltre alle ustioni che bruciano il corpo, segna in profondità, ma può anche saldare amicizie di ferro: «Milena Gabusi è stata mia testimone di nozze, mentre Daniele Berti ha fatto da autista il giorno del mio matrimonio. L’incidente ci ha uniti moltissimo: Milena era mia amica fin dall’infanzia, ma con gli altri due l’amicizia è nata dopo il fatto». Le cure, la guarigione, il ritorno a scuola e infine il processo, che l’Avvocatura dello Stato fece di tutto per scongiurare, perché tutto si risolvesse con un’indagine interna dell’Aeronautica militare: «Ricordo i tempi lunghissimi, e ricordo che comunque fra i familiari c’era la volontà di fare in modo che una tragedia così non si ripetesse mai più. Il processo però non ha risposto alle nostre speranze». Tutti assolti. L’aereo precipitato? Una fatalità, niente che il pilota o i controllori di volo potessero fare per evitare che si abbattesse sulle case. «I risarcimenti ci sono stati – aggiunge Federica – noi però volevamo andare oltre, perché era una questione di giustizia. Io sono sempre stata molto ottimista, ho sempre avuto la speranza che la giustizia trionfasse, ma nel nostro caso tutto è andato nella direzione opposta». Milena, anche lei impiegata in banca, ha un’immagine netta del 6 dicembre 1990: «Io e la Fede Regazzi quella mattina siamo arrivate in ritardo, allora ci hanno messo nei banchi davanti ed è stata la nostra salvezza. Alle 10,30 abbiamo visto arrivare questa cosa dalle finestra, non c’è stato neanche il tempo di renderci conto. Appena ci siamo liberate dalle macerie, io e la Fede ci siamo buttate dal primo piano. Dovessi riviverlo adesso non so se ce la farei: un mese d’ospedale, il dolore fisico, è dura dover diventare grandi da un giorno all’altro quando hai solo 15 anni». Il concetto di giustizia? Un’astrazione, a giudicare dall’andamento del processo: «Ci sono persone potenti e noi eravamo piccoli, non l’avremmo mai vinta – aggiunge Milena – E’ molto triste, lo Stato si è schierato dalla parte dell’aeronautica anche se noi eravamo in una scuola pubblica». Per lei che è credente, restano aperte domande importanti: «Mi sono sempre chiesta perché noi ci siamo salvati e gli altri no, e si può capire se la fede ha traballato fra i genitori che hanno perso i figli». Federica Tacconi, che oggi ha un negozio di abbigliamento a Bologna, il giorno del disastro è rimasta sotto un’ala dell’aereo col bacino fratturato, l’han dovuta tirar fuori i vigili del fuoco: «Grazie a Dio ora sto bene, sono sposata, ho un figlio e un cane, ma il dolore è stato grande: ho perso tre amici a cui ero molto legata. Noi superstiti abbiamo continuato a studiare al Salvemini, dopo il disastro e l’ospedale abbiamo cambiato due classi e finito gli studi. Da allora noi quattro siamo rimasti molto legati, ci vediamo spesso». Dalla vicenda processuale invece è uscita una lezione amarissima di vita: «E’ uno scandalo che sia stata data la colpa alla fatalità: alla fine è stata colpa nostra esserci trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ti accorgi subito di come gira il mondo, e soprattutto te ne rendi conto a 15 anni…».