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 2010  dicembre 04 Sabato calendario

I sermoni da bar del signor Censis (+box) - La vita e le opinioni di un filosofo di paese. Il destino di Giuseppe De Rita è andare oltre i numeri e le statistiche

I sermoni da bar del signor Censis (+box) - La vita e le opinioni di un filosofo di paese. Il destino di Giuseppe De Rita è andare oltre i numeri e le statistiche. Ogni anno il Censis ci racconta come sta l’Italia. Ma i professionisti del giornalismo non si accontentano più di un ter­mometro. Hanno bisogno di qual­cuno che gli racconti una storia, con delle parole chiave da far rim­­balzare nei titoli, come se la socio­logia fosse la sottomarca di un grande romanzo popolare. È per questo che il professor De Rita si in­gegna. Tira fuori la mucillagi­ne e il pantano, l’individuali­smo atomizzato e l’indistin­to. Non è che dietro queste pa­role ci sia il vuoto. De Rita non inganna. Solo che le sue analisi stanno diventando una sorta di predica domeni­cale, un sermone, che ognu­no piega ai suoi interessi poli­tici. «Come mi dice sempre bonariamente Giuliano Ama­to, non ho la cultura della Tor­­re Eiffel. Vedo le cose terra ter­ra ». Ma forse questa è la male­dizione dei sociologi. Fatto sta che i dati del Censis passa­no per discorsi da bar. Alla fi­ne quello che resta il giorno dopo è il ritratto di un’Italia dove tutto va male e la colpa è di Berlusconi. Naturalmente De Rita e il Censis non hanno detto esattamente questo. A sentire gli apocalittici questa è una terra senza mise­ricordia. Per salvarla bisogna estirpare il principio di tutti i mali. L’operazione è sempli­ce, basta togliere il Cavaliere e metterci Fini, Vendola o Montezemolo. Il Censis ti di­ce che non serve sacrificare il capro espiatorio, ma è arriva­to il momento di fare i conti con noi stessi. Partiamo dalle cose positive. Il fantasma del­la crisi a guardarlo in faccia è meno brutto di quanto pen­sassimo. L’Italia bene o male ha resistito. Questo non signi­fica che non ci siamo fatti ma­le. Il tasso di crescita dell’eco­nomia è più basso rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna. A pagare sono qua­si esclusivamente i giovani, emarginati o cacciati dal mer­cato del lavoro. La cultura an­ticapitalista può purtroppo festeggiare: il lavoro autono­mo è in grossa difficoltà. Le piccole imprese stanno chiu­dendo. Il calo è del 7,6 in cin­que anni: dal 2004 al 2009. Gli artigiani e i commercianti non ce la fanno più e non è solo una questione economi­ca. C’è anche la stanchezza di chi tira avanti da anni in soli­tudine e si sente disprezzato e infamato. Gli intellettuali italiani hanno sempre cocco­lato gli statali e disprezzato i bottegai. È una questione cul­turale prima che politica. Stia­mo pagando il prezzo di que­sto. Il risultato è che potrebbe saltare quella borghesia im­prenditoriale che rischia e fa­tica senza garanzie. Il Censis scrive poi che l’Italia del 2010 assomiglia a un’ameba.È sen­za nerbo e rassegnata. De Ri­ta, con spirito cattolico, spie­ga che è l’approdo finale del soggettivismo etico. Molti di­ranno che è il fallimento del «ghe pensi mi». Il discorso è un po’ più complesso. De Ri­ta dice che Berlusconi è un’icona di quel percorso co­minciato 50 anni fa e che ora ha esaurito la sua potenza. Berlusconi lo ha cavalcato ma non inventato. E qui arri­va il bello. Chi lo avrebbe in­ventato? De Rita dixit : «Tutto ha inizio con Don Milani e l’obiezione di coscienza.Ci vo­leva una autorità morale co­me la sua per dire che la nor­ma dello Stato è meno impor­tante della coscienza. È da lì che comincia la stagione del soggettivismo etico. Un’av­ventura che prende tre strade. La libertà dei diritti civili. Pri­ma di allora non dovevi divor­ziare, abortire, dovevi fare il militare e obbedire allo Stato. La soggettività economica: ciascuno ha voluto essere pa­drone della propria vita, non vado sotto padrone, mi metto in proprio. È il boom delle im­prese. La libertà di essere se stessi: il marito è mio e lo cam­bio se voglio, il peccato è mio e me lo gestisco io». Secondo De Rita questa stagione è fini­ta. L’orizzonte è quello di un neomoralismo, che rischia di diventare puritano e bacchet­tone. Questo il Censis non lo dice,ma parla di recupero del­­l’ auctoritas . È una questione di parole. Forse c’è una via di mezzo. Questa Italia tende a scaricare le colpe sugli altri e non prendersi mai responsa­bilità individuali. Ma l’eserci­to di predicatori sta togliendo slancio a questo paese. È un’Italia avvilita e mediocre. Troppo paurosa. Stanca e in cerca di scuse. Sta affogando nel pessimismo dei Savonaro­la. De Rita scrive che la soluzio­ne è tornare a «desiderare». «È questa la virtù civile necessa­ria per riattivare una società troppo appagata e appiattita». Sorpresa. La ricetta è ritrovare lo spirito del capitalismo.