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 2010  dicembre 04 Sabato calendario

ROTTURA AL TAVOLO SU MIRAFIORI

La "Marcia dei quarantamila" non si può più fare, considerando il drastico ridimensionamento degli occupati nell’unico stabilimento Fiat sopravvissuto a Torino, ma la "firma dei 4mila" potrebbe essere la soluzione per superare la rottura delle trattative tra la Fiat e i sindacati sul futuro di Mirafiori.

È quello che auspica Roberto Di Maulo, segretario generale della Fismic, che ieri ha tuonato contro le altre organizzazioni sindacali (in particolare Uilm e Fim) e contro Confindustria per il fallimento della trattativa per «interessi lobbystici legati alla sopravvivenza di un fondimpresa qualunque». In fondo l’analisi è la stessa di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, seppure con responsabilità rovesciate: «Non è più la Fiom che non firma gli accordi – sostiene Camusso – ma è la Fiat che non riconosce più il contratto nazionale e vuole uscire da Confindustria».

Si preannunciano, per la prossima settimana, tensioni in fabbrica, considerando che Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom, ha chiesto di svolgere assemblee a Mirafiori per informare i lavoratori sulle cause della rottura delle trattative. Ma Uilm e Fim si sono opposte.

Tornando alle reazioni dopo la rottura, Airaudo ricorda che «la Fiat aveva promesso che per Torino sarebbe stata scritta una pagina bianca, invece ci è stato riproposto il "modello Pomigliano" con poche e non sostanziali modifiche». Il nodo dello scontro, che ha portato la delegazione della Fiat ad abbandonare il tavolo della trattativa, spiegando che «non ci sono le condizioni per un’intesa che rilanci lo stabilimento di Mirafiori», è stato il nuovo contratto da applicare a Mirafiori dopo la costituzione della newco. A parte la Fiom, rigorosamente contraria a larga parte dell’impianto della trattativa, pareva che un accordo fosse alla portata di mano. Perché Fim e Uilm erano pronte all’intesa su turni, assenze per malattia, pause, mensa. Qualche passo avanti era stato compiuto da entrambe le parti. Quanto al nodo del contratto, l’idea di Fim e Uilm era di percorrere le consuete strade delle trattative di un tempo: intesa sui punti dove la convergenza era possibile e rinvio sine die della discussione sugli aspetti controversi, come il contratto.

La Fiat, invece, ha deciso di porlo come pregiudiziale e la conseguenza è stata la rottura. Anche se la Uilm ha cercato di smorzare la tensione parlando di «interruzione» della trattativa e invitando la Fiat a tornare al tavolo. Uilm e Fim ritengono che si possa arrivare, in tempi brevi, ad individuare un testo condiviso ma non firmato, da sottoporre al referendum dei lavoratori. Ma il Lingotto, per il momento, ha ritenuto di non cedere. D’altronde l’investimento previsto, un miliardo di euro, fa gola Oltreoceano, agli Stati Uniti come al Messico. Ovviamente la situazione può evolvere anche in senso positivo per Mirafiori perché le rotture delle trattative spesso non sono definitive e si provvede poi a riaggiustare tutto. Raffaele Bonanni, leadel della Cisl, ne è convinto: «La discussione continua ed il confronto tra le parti riprenderà presto».

Le reazioni, preoccupate, non si sono comunque fatta attendere. A iniziare dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che ha fatto «appello alle responsabilità di tutti gli attori del negoziato affinché intelligenza ed esperienza conducano a far prevalere il bene comune». Per il ministro, di fronte all’importanza dell’investimento previsto a Mirafiori, occorre abbandonare ogni pregiudizio ed ogni rigido formalismo «per ricercare ciò che unisce nel nome del lavoro e dell’impresa».

Ma da ogni parte giungono inviti a ritornare al tavolo delle trattative. Lo chiede l’Ugl, con il segretario Giovanni Centrella; invita ad uno sforzo congiunto il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, contrario ad un contratto fotocopia di Pomigliano ma favorevole ad uno stabilimento competitivo. Mentre il presidente del governo regionale piemontese, Roberto Cota, propone per Mirafiori una contrattazione territoriale. E il leader del Pd piemontese, Gianfranco Morgando, chiede l’intervento del governo.