ANDREA MALAGUTI, La Stampa 4/12/2010, pagina 7, 4 dicembre 2010
Assange: non ci fermeranno - L’uomo che non c’è organizza la sua nuova apparizione pubblica sul sito del «Guardian»
Assange: non ci fermeranno - L’uomo che non c’è organizza la sua nuova apparizione pubblica sul sito del «Guardian». Julian Assange, 39 anni, decide di parlare davanti alla platea infinita della rete giocando come sempre secondo le sue regole. Il fondatore di Wikileaks, accusato in Svezia di violenza carnale e inseguito da un mandato di cattura internazionale che presto potrebbe essere eseguito in Inghilterra, si mostra al mondo per un’ora. Lo fa attraverso una chat, alla quale ha partecipato con alcune domande anche «La Stampa», che coinvolge circa mille persone. Gli scrivono da ogni angolo della terra. Donne adoranti, seguaci appassionati, nemici insinuanti e ambasciatori nervosi, certi che la segretezza sia una parte decisiva del loro lavoro. Non tutti ottengono le risposte sperate. Assange, nemico numero uno del Dipartimento di Stato Americano, definito con sorprendente durezza «paranoico» da un commentatore di Sky, conferma il suo stile dirompente e misterioso, dando l’idea di un confronto aperto ma selezionando con cura i temi, dribblando platealmente alcune questioni importanti. Viene fuori più il profilo in chiaroscuro dell’uomo che quello dei suoi scopi. Un magnetico eroe della libertà o un rivoluzionario forse anche inconsapevolmente manovrato? Quello che segue è parte del dialogo. Julian Assange, ha paura per la sua vita? «Le minacce contro di noi sono di pubblico dominio. Stiamo prendendo le precauzioni del caso. Almeno per quanto è possibile farlo quando si ha davanti una superpotenza». Tom Flanagan, ex consigliere anziano del primo ministro canadese, ha dichiarato: penso che Assange dovrebbe essere assassinato. «Dovrebbe essere incriminato per istigazione all’omicidio». Anche lei è accusato di avere messo in pericolo molte vite. «Wikileaks ha una storia editoriale di quattro anni, durante i quali nessuno, neanche il Pentagono, ha prodotto una prova credibile che anche un solo essere umano sia stato danneggiato come conseguenza del nostro lavoro. Questo nonostante una forte controinformazione che tende a fare passare il messaggio opposto». Perché è stato necessario dare un volto a Wikileaks? «Originariamente l’organizzazione non avrebbe dovuto averlo, non volevo che questo lavoro servisse ad alimentare l’ego di qualcuno. Tuttavia la curiosità e l’interesse sono diventati così forti che è stato necessario prendersi una responsabilità davanti al grande pubblico, anche per garantire alle fonti che avremmo avuto il coraggio di sostenerle sempre e fino in fondo». Non crede che la personalizzazione finisca per diventare una debolezza? «Sono diventato un parafulmine. E’ vero che molte attenzioni si sono concentrate su di me ma è anche vero che sono stato oggetto di attacchi ingiustificati su ogni aspetto della mia vita». Chi vi ha passato le informazioni non meriterebbe un riconoscimento pubblico da parte vostra? «In questi quattro anni uno dei nostri obiettivi principali è stato quello di proteggere le nostre fonti, vale a dire le persone che si assumono i rischi reali della pubblicazione e senza i cui sforzi il lavoro giornalistico sarebbe inutile. Se poi fosse vero, come sostenuto dal Pentagono, che ci sia il giovane soldato Bradley Manning dietro una parte delle nostre informazioni allora sarebbe indubitabilmente un eroe senza pari». Aveva previsto l’impatto mondiale delle vostre rivelazioni? «Ho sempre pensato che Wikileaks, come idea, avrebbe dovuto svolgere un ruolo globale. In qualche misura ne ho avuto la prova quando siamo riusciti a cambiare il corso delle elezioni generali in Kenya nel 2007. Ma pensavo che ci sarebbero serviti due anni invece dei quattro impiegati. Siamo ancora un po’ in ritardo». Crede che la lasceranno più tornare in Australia? «Il primo ministro Julia Gillard ha messo in chiaro che il ritorno sarà impossibile. E anzi sta lavorando con il governo degli Stati Uniti nei suoi attacchi contro di me e contro la mia gente». Che cosa succederebbe a Wikileaks se lei fosse tolto di mezzo. Non solo fisicamente, ma ad esempio arrestato? «Il nostro archivio è stato distribuito in diversi Paesi a più di centomila persone in forma crittografata. Se succederà qualcosa a noi le parti fondamentali diventeranno automaticamente di dominio pubblico. Alla fine sarà la storia a vincere. Riusciremo a sopravvivere? Questo dipende da voi».