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 2010  dicembre 04 Sabato calendario

ROMA - Silvio Berlusconi è deciso ad andare avanti. Mostra fiducia, convinto che il 14 dicembre avrà la maggioranza

ROMA - Silvio Berlusconi è deciso ad andare avanti. Mostra fiducia, convinto che il 14 dicembre avrà la maggioranza. Intervenendo in collegamento telefonico ad un convegno del Pid - Popolari per l’Italia di domani - a Napoli, il premier dice: "È irresponsabile aprire una crisi di governo. Siamo convinti di avere con noi la maggioranza degli italiani, quegli italiani che vogliono restare liberi". E attacca il Terzo Polo, la cui volontà è oggi "quella di provare a fare un governo con la sinistra per accontentare le ambizioni personali dei leader delle tre piccole formazioni politiche che lo compongono". Interviene, a distanza, il presidente della Camera Gianfranco Fini, che sulla sfiducia presentata da Fli-Udc-Api-Mpa e appoggiata dai Lib-dem dice: "Non è un complotto comunista. Chi ha firmato la mozione sono tutti uomini e donne che hanno collaborato con Berlusconi per gli ultimi dieci o quindici anni. Dov’è il complotto dei comunisti?". E aggiunge: "Berlusconi dovrebbe chiedersi perché perde i pezzi. Forse - si autorisponde Fini - perché più lo si conosce più si capisce che per lui governare vuole dire comandare". Il premier: "Si rischia l’instabilità da Prima repubblica". Il premier denuncia il rischio di tornare all’instabilità della Prima repubblica, in un momento particolarmente delicato della crisi economica, in cui il rating dell’Italia dipende dalla stabilità. L’ambizione del Terzo Polo aggiunge, è chiara: "Cercare di cambiare la legge elettorale per innalzare al 45 per cento il tetto di consensi che si deve avere per far scattare il premio di maggioranza", prendendo così, continua Berlusconi, il "privilegio di essere arbitro di decidere se allearsi con centrodestra e centrosinistra". Fini: "Non importa chi sarà premier, ma cosa farà". All’Italia serve un governo "capace di fare delle scelte e di indicare la strada. Non mi interessa chi lo presiede, ma cosa vuol fare questo governo, qual è il programma". Gianfranco Fini parla del futuro da una convention del Fli di Lanciano, in Abruzzo. "Mi auguro - ha detto Fini - che chi ha responsabilità politiche capisca finalmente che l’Italia ha bisogno di un governo che governi, che sciolga nodi e che indichi la strada. Se anche per due raffreddori, un mal di pancia o un deputato che cade dalle scale e non viene a votare la sfiducia non dovesse passare per il rotto della cuffia, il giorno dopo che succederebbe? Si può governare il paese senza una maggioranza sicura?". "Spero - conclude Fini - che chi ha responsabilità politica lo capisca". Ma Fini non si è fermato qui. Ha parlato anche di pressione fiscale e del terremoto in Abruzzo, sottolineando che chi governa ha il dovere di non prendere in giro la gente con promesse impossibili da mantenere. "Se qualcuno pensa che da qui alla fine della legislatura si riesca a ridurre le tasse per le famiglie e per le imprese, quel qualcuno evidentemente crede a Babbo Natale - ha detto il leader di Fli -. È impossibile fare un taglio del genere. Serietà vorrebbe che su questo si dicesse la verità, perché governare significa assumere delle priorità. Non si prende in giro la gente dicendo che sta facendo tutto e poi registrare che abbiamo uno dei carichi fiscali più alti in Europa". E sulla ricostruzione dell’Aquila: "La voglia di strafare, il gusto di dire che lui è il più bravo del mondo, ha determinato la giusta reazione . Non bisognava promettere la ricostruzione immediata della città. Serviva - è il ragionamento di Fini- un approccio umile, bastava dire la verità: per rifare l’Aquila ci vorranno 10-15 anni. Insomma, bisognava non esagerare con lo zelo, invece il governo lo ha fatto eccome, promettendo che tutto sarebbe stato fatto. Eppure la gente avrebbe capito se si fosse detto che servivano più di sei mesi. Alla fine, creare aspettative esagerate ha determinato il boomerang. Invece serviva un approccio più realistico". Pdl: rispetto per Napolitano, ma o si va avanti con Berlusconi o si vota. Mentre continuano le polemiche dopo l’attacco di Verdini a Napolitano 1, il Pdl corregge i toni, ma non cambia posizione: massimo rispetto per le prerogative del capo dello Stato, ma in caso il 14 Berlusconi dovesse essere sfiduciato, le alternative restano solo due: o si va avanti con Berlusconi o si va al voto. Non ci sono altre vie. A chiarire la linea il giorno dopo l’uscita del coordinatore nazionale del Pdl - che in riferimento alla nota ufficiosa del Quirinale in cui si ammoniva che nessuno può pensare di oscurare le prerogative del capo dello Stato ha risposto: ’’ce ne freghiamo’’ - è il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto. In una lunga nota, Cicchitto smorza i toni ribadendo il rispetto per il Colle: ’’Da parte nostra - afferma - non viene e non verrà mai meno il rispetto che dobbiamo al presidente della Repubblica e alle sue prerogative". Il punto di discussione, però, ricorda, è un altro: se alla Camera passasse la sfiducia, "non ci potrebbe essere governo tecnico ’in re ipsa’ perchè il Pdl e la Lega in quel caso non sarebbero disponibili e chiederebbero elezioni anticipate". Si avrebbe allora "un governo del tutto politico fondato su un autentico ribaltone costituito dall’alleanza fra il Terzo polo, il Pd ed eventualmente l’Italia del valori". Tale governo, però, continua Cicchitto, "non avrebbe nessuna base nè politica nè programmatica per affrontare alcun problema". Le alternative, sono quindi solo solo due, ribadisce: "O la tenuta del governo Berlusconi - con tutti gli arricchimenti programmatici anche derivanti dalle proposte delle forze sociali e con qualche disponibilità a prendere in considerazione le modifiche possibili e accettabili della seconda parte della costituzione e della stessa legge elettorale - oppure le elezioni anticipate". L’opposizione: Italia stanca, vadano a casa. Dall’opposizione, il Pd denuncia che l’Italia è stanca degli insulti del Pdl. "Berlusconi e i suoi sodali come Verdini non hanno ancora capito che l’Italia è stufa dei loro comizi, dei loro insulti, delle loro menzogne, della loro protervia", attacca Marina Sereni. "Agli italiani, e ai giovani in particolare, dobbiamo offrire una speranza nuova e chiedere di impegnarsi per costruire una società migliore. Il Pd e le forze democratiche e di progresso possono e debbono mettere da parte divisioni e discussioni interne e cimentarsi con questa sfida straordinaria". Da Verdini sono giunte parole squallide e volgari, secondo il capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera, Massimo Donadi. "E’ ora che questa maggioranza e la sua cricca vadano a casa", dice, chiedendo che si vada al voto. "In queste condizioni la soluzione migliore sono le elezioni, come le opposizioni dovrebbero chiedere a una sola voce, salvo che non si riesca prima a cambiare la legge elettorale". (04 dicembre 2010) *** Corriere MILANO - Il destino del governo e il possibile cambiamento di maggioranza arroventano la polemica politica. «Noi sappiamo che» il capo dello Stato ha le sue prerogative «ma ce ne freghiamo, cioè politicamente riteniamo che non possa accadere questo. Anche i partiti hanno le loro prerogative». Lo ha detto il coordinatore del Pdl Denis Verdini riferendosi all’ipotesi che, in caso di caduta del governo, «il capo dello Stato, nelle sue prerogative, possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni, Berlusconi e Bossi, e si mandi al governo chi le ha perse, Casini e Bersani». LA TESI - «Noi sappiamo che in caso di caduta del governo il capo dello Stato ha le sue prerogative. Lo sappiamo benissimo che funziona così - ha spiegato Verdini - Ciò che non sappiamo e non vogliamo capire, e che non ci piace per niente, è che il capo dello Stato, nelle sue prerogative, possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni, Berlusconi e Bossi, e si mandi al governo chi le ha perse, Casini e Bersani. E su questo si innesca una polemica perchè noi andiamo a toccare le prerogative del capo dello Stato. Noi sappiamo che le ha ma ce ne freghiamo, cioè politicamente riteniamo che non possa accadere questo. Anche i partiti hanno le loro prerogative». «Ricordate che dal 1994 - ha concluso Verdini - da quando c’è questo sistema, nessun capo dello Stato si è mai sognato di affidare il governo a qualcuno diverso da chi aveva vinto le elezioni, fosse questi Prodi o Berlusconi. L’incarico lo ha dato a chi le elezioni le ha vinte. Voglio vedere: come fa se cade il governo a dare l’incarico a chi le elezioni le ha perse?». LA PRECISAZIONE - Accortosi del clamore suscitato dalle sue parole Verdini interveniva nuovamente con una nota di precisazione: «Non ho mai né pensato, né a maggior ragione detto che noi ce ne freghiamo delle prerogative del capo dello Stato. Poiché assistiamo al solito gioco di strumentalizzare e sintetizzare fino all’estremo parole pronunciate all’interno di un lungo e articolato discorso, estrapolandone solo alcune fino al punto da distorcerne il senso, intendo chiarire quanto segue a beneficio dei giornalisti e di chi, come il solerte onorevole Bocchino, ha già cominciato a stracciarsi le vesti: non ho mai né pensato, né a maggior ragione detto che noi ce ne freghiamo delle prerogative del capo dello Stato. Ho spiegato - ha proseguito - che ce ne "freghiamo politicamente", nel senso che se la Costituzione riconosce al Presidente della Repubblica il diritto di seguire il percorso che ritiene più giusto, altrettanto la Carta suprema riconosce ai partiti, che nello specifico hanno il diritto di chiedere, anche a gran voce, di non escludere da un eventuale governo chi ha stravinto le elezioni. Ciò ho detto e ribadisco, senza mai aver avuto l’intenzione di mancare di rispetto al capo dello Stato né di disconoscerne le sue prerogative», conclude la nota. LA PRESA DI POSIZIONE DEL COLLE - Sui poteri del capo dello Stato era intervenuto lo stesso Quirinale, con una nota in cui si ricordava che nessuna presa di posizione politica di qualsiasi parte può oscurare il fatto che ci sono prerogative di esclusiva competenza del presidente della Repubblica. La nota del Quirinale è stata dettata dalla necessità di mettere al riparo le prerogative di esclusiva competenza del capo dello Stato dalla polemica politica di questi giorni che, in vista del voto del 14 dicembre, si esercita anche nel delineare scenari che sconfinano, appunto, nelle prerogative del capo dello Stato, come ad esempio lo scioglimento, o meno delle Camere e l’eventuale ricorso alle urne. Tra gli altri, oggi il presidente della Camera Gianfranco Fini, ha chiamato in causa proprio il presidente della Repubblica quasi «interpretandolo» come ha accusato il ministro Altero Matteoli: Se il governo il 14 dicembre non otterrà la fiducia «l’Italia non andrà a votare», ha detto Fini aggiungendo che «il capo dello Stato sa cosa fare». «Non si andrà a votare ma non si potrà continuare con la situazione che c’è oggi. Non dico di più», ha concluso il presidente della Camera. Quindi Matteoli ha criticato non solo la presa di posizione di Fini, ma anche il fatto che il Quirinale non abbia diffuso «note di protesta» per questa invasione di campo. Poi in serata la puntualizzazione dagli ambienti del Colle. LE REAZIONI - Immediate le reazioni del mondo politico alle parole di Verdini. «Le sue parole non sono eversive o pericolose, sono squallide. Sono il segno dell’arroganza di una classe politica indegna che ha fatto il suo tempo», afferma il capogruppo Idv Massimo Donadi. «Stupisce che in quest’Italia una persona cosi ricopra incarichi politici importanti, in democrazie più mature sarebbe in ben altri luoghi. Al posto di minacciare Napolitano con un linguaggio fascista, racconti ai magistrati tutto quello che sa sulle cricche che hanno predato il Paese in questi anni. Si vergogni e faccia ammenda, si scusi con il Quirinale e con il Parlamento». «La dichiarazione di Verdini conferma l’assoluto disprezzo del Pdl per ogni regola, ed è ancor più grave perché è relativa alle prerogative che la Costituzione attribuisce al capo dello Stato» dichiara Italo Bocchino, capogruppo Fli alla Camera. «Il Pdl smentisca senza se e senza ma le parole di Verdini, che costituiscono una grave rottura dell’equilibrio istituzionale in un momento così delicato, e tenga presente che la situazione è ancora nei binari istituzionali solo grazie all’azione del presidente Napolitano», dice invece Enrico Letta, vice segretario del Pd. Per il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, «ha sbagliato Fini a prevedere che non si andrà a elezioni, travalicando le prerogative del presidente della Repubblica, e ha sbagliato Verdini a dire che le prerogative dei partiti possono travalicare quelle del presidente». In una nota il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, afferma che «da parte nostra non viene e non verrá mai meno il rispetto che dobbiamo al presidente della Repubblica e alle sue prerogative». [Esplora il significato del termine: MILANO - Il destino del governo e il possibile cambiamento di maggioranza arroventano la polemica politica. «Noi sappiamo che» il capo dello Stato ha le sue prerogative «ma ce ne freghiamo, cioè politicamente riteniamo che non possa accadere questo. Anche i partiti hanno le loro prerogative». Lo ha detto il coordinatore del Pdl Denis Verdini riferendosi all’ipotesi che, in caso di caduta del governo, «il capo dello Stato, nelle sue prerogative, possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni, Berlusconi e Bossi, e si mandi al governo chi le ha perse, Casini e Bersani». LA TESI - «Noi sappiamo che in caso di caduta del governo il capo dello Stato ha le sue prerogative. Lo sappiamo benissimo che funziona così - ha spiegato Verdini - Ciò che non sappiamo e non vogliamo capire, e che non ci piace per niente, è che il capo dello Stato, nelle sue prerogative, possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni, Berlusconi e Bossi, e si mandi al governo chi le ha perse, Casini e Bersani. E su questo si innesca una polemica perchè noi andiamo a toccare le prerogative del capo dello Stato. Noi sappiamo che le ha ma ce ne freghiamo, cioè politicamente riteniamo che non possa accadere questo. Anche i partiti hanno le loro prerogative». «Ricordate che dal 1994 - ha concluso Verdini - da quando c’è questo sistema, nessun capo dello Stato si è mai sognato di affidare il governo a qualcuno diverso da chi aveva vinto le elezioni, fosse questi Prodi o Berlusconi. L’incarico lo ha dato a chi le elezioni le ha vinte. Voglio vedere: come fa se cade il governo a dare l’incarico a chi le elezioni le ha perse?». LA PRECISAZIONE - Accortosi del clamore suscitato dalle sue parole Verdini interveniva nuovamente con una nota di precisazione: «Non ho mai né pensato, né a maggior ragione detto che noi ce ne freghiamo delle prerogative del capo dello Stato. Poiché assistiamo al solito gioco di strumentalizzare e sintetizzare fino all’estremo parole pronunciate all’interno di un lungo e articolato discorso, estrapolandone solo alcune fino al punto da distorcerne il senso, intendo chiarire quanto segue a beneficio dei giornalisti e di chi, come il solerte onorevole Bocchino, ha già cominciato a stracciarsi le vesti: non ho mai né pensato, né a maggior ragione detto che noi ce ne freghiamo delle prerogative del capo dello Stato. Ho spiegato - ha proseguito - che ce ne ]