GIANFRANCO MARRONE, Tuttolibri La Stampa 4/12/2010, pagina IX, 4 dicembre 2010
E’ il cervello o la caricatura di un fumetto? - Di solito, quando si parla di immagini, ci si riferisce alle raffigurazioni della storia dell’arte (dipinti, sculture, incisioni) o alle visioni dei mass media (pubblicità, stampa, televisione), talvolta includendo le figure prodotte sinteticamente dal computer
E’ il cervello o la caricatura di un fumetto? - Di solito, quando si parla di immagini, ci si riferisce alle raffigurazioni della storia dell’arte (dipinti, sculture, incisioni) o alle visioni dei mass media (pubblicità, stampa, televisione), talvolta includendo le figure prodotte sinteticamente dal computer. Vengono fuori argomenti ormai secolari riguardanti l’evidenza dell’immagine rispetto a ciò che rappresenta, la sua intuitività, la sua immediatezza. Tutti capiscono ciò che è raffigurato, non c’è nulla da decifrare, nulla da dire, nulla da intendere. Scopo dell’immagine sarebbe quello di assomigliare il più possibile a ciò che rappresenta, di modo che il cammino dell’arte sarebbe la storia della conquista del realismo assoluto (l’impressionismo, la fotografia) e della sua programmatica, successiva cancellazione (le avanguardie, l’astrattismo). Il senso comune dimentica tuttavia che c’è un altro dominio del sapere e dell’esperienza in cui la presenza delle immagini è fondamentale: quello delle scienze. Le dottrine fisiche e le discipline della natura, si dice, maneggiano concetti e categorie, numeri e statistiche, dati e fenomeni, propongono o confutano leggi. Eppure, basta pensarci un attimo in più per accorgersi che non si dà testo scientifico che non includa accanto alle parole o ai calcoli anche e soprattutto un considerevole numero di immagini. Tabelle, fotografie, schemi, diagrammi, profili, ricostruzioni e risoluzioni elettroniche di vario genere impazzano in relazioni, report , resoconti di esperimenti in laboratorio, manuali, progetti di ricerca e simili. Per quale ragione? Non certo, come si potrebbe supporre, per rendere visibile ciò di cui si parla, per rappresentare le cose del mondo che si stanno studiando. Molto diversamente, come spiega un recente libro di Olaf Breidbach e Federico Vercellone, per pensare queste stesse cose, per costruire la possibilità della loro conoscenza rigorosa: ossia, appunto, scientifica. Prendiamo l’immagine oggi assai di moda del cervello, quella specie di sostanza grigiastra e molliccia virata in rosso in alcune sue parti variabili. Bene, quelle forme che sembrano la caricatura di un fumetto non assomigliano affatto alla nostra materia cerebrale reale, ma provano a renderne l’idea di plasticità, l’adattabilità dei neuroni alle situazioni esterne; analogamente quel colore vermiglio non è la tinta effettiva di alcune zone encefaliche ma prova a mostrare il fatto che esse si attivino in determinate condizioni, rispondendo a determinati stimoli da laboratorio. Del resto, per poter vedere quelle figure, per percepirne forme e significati, occorre possedere un occhio professionale, esattamente come quello del radiologo che riconosce in una lastra per noi muta una serie di parti e fenomeni del nostro corpo interno. Ne viene fuori che le immagini scientifiche (e forse, sostengono gli autori, le immagini in generale) non solo non hanno nulla di evidente, poiché richiedono appunto una precisa competenza visiva per comprenderle, ma soprattutto non rappresentano nulla di già esistente. Esse, semmai, costruiscono la realtà che devono conoscere, ipotizzano come essa probabilmente è fatta, ne delineano fattezze e regolarità. Cade così la separazione tradizionale tra scienza e arte, conoscenza e bellezza. Non a caso uno dei nomi più ricorrenti nel libro è quello di Goethe, che con la sua teoria morfologica aveva provato a unificare in nome dell’esperienza visiva la sperimentazione e la creazione, l’intelletto e l’intuizione.