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 2010  dicembre 04 Sabato calendario

L’AMICO (?) AMERICANO

Il problema all’ordine del giorno della politica italiana può essere riassunto oggi in due domande. Sino a che punto le rivelazioni di Wikileaks incidono sui rapporti internazionali dell’Italia e in particolare su quelli con gli Stati Uniti? Possiamo essere rappresentati nel mondo da un leader politico che la diplomazia americana ha descritto nei termini ormai noti a tutta la società internazionale? Non è facile distinguere la politica interna dalla politica estera, separare i nostri conflitti domestici, con le loro inevitabili esagerazioni polemiche, dal problema delle nostre relazioni esterne. Ma dobbiamo cercare di farlo.
I nostri rapporti con gli Stati Uniti prescindono, entro certi limiti, dalla personalità e dallo stile dell’uomo che governa l’Italia. Dipendono anzitutto dagli interessi dei due Paesi e, per quanto riguarda l’America, dal modo in cui vengono concretamente affrontati e risolti i problemi che maggiormente la preoccupano. Nelle sue due incarnazioni dell’ultimo decennio, Berlusconi è stato per alcuni aspetti — Afghanistan, Iran, questione palestinese, basi militari americane in Italia, le relazioni della Turchia con l’Unione Europea — più «americano» del governo di Romano Prodi. Le sue scorribande in Russia e in Libia non sono piaciute a Washington, ma il fatto che l’Italia rivendicasse il diritto di avere con questi Paesi un rapporto non sempre conforme ai desideri degli Stati Uniti, ha reso paradossalmente più alto il prezzo dell’Italia alla Casa Bianca e tanto più apprezzabile, di conseguenza, la lealtà di Berlusconi in altri settori strategici. Gli Stati Uniti sanno realisticamente di non potere chiedere ai loro alleati una fedeltà totale e non dimenticano che l’Italia ha sempre fatto con Mosca e con Tripoli una politica diversa da quella che Washington giudicava preferibile. Ciò che maggiormente contava per gli Stati Uniti, ripeto, era la certezza di potere fare affidamento sull’Italia ogniqualvolta erano in discussione i loro interessi fondamentali. L’omaggio di Hillary Clinton a Berlusconi in Kazakistan è quindi perfettamente comprensibile. Il segretario di Stato non ha detto ciò che l’America pensa in realtà di Berlusconi. Ha detto più semplicemente che il leader politico italiano, sino a quando sarà presidente del Consiglio, continuerà a essere il partner di Washington.
Ma esiste anche un altro aspetto della questione. La politica estera di una nazione non si esaurisce nella somma dei suoi concreti rapporti internazionali in un particolare momento. La sua credibilità nel mondo dipende dal suo stile, dalla sua serietà, dalla coerenza e dalla legittimità con cui persegue i suoi scopi. Non basta. Dipende anche e soprattutto dalla immagine del suo leader, dalla sua capacità di tenere distinti interessi pubblici e interessi privati, dall’impossibilità di fargli le domande che Massimo Mucchetti ha formulato ieri su queste colonne a proposito dei rapporti dell’Eni con la Russia. Berlusconi ha coltivato i suoi rapporti personali con i maggiori leader mondiali e ci ha spesso spiegato che la qualità di questi rapporti avrebbe giovato allo status internazionale del Paese. Temo l’effetto boomerang, vale a dire la possibilità che questa scelta si ritorca contro di lui e, in ultima analisi, contro tutti noi.
Sergio Romano