Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Berlusconi è oggi a Soci, in Russia, dove incontra il presidente Medvedev e quasi sicuramento il primo ministro Vladimir Putin. Un tempismo straordinario: da due giorni, grazie ai documenti pubblicati da Wikileaks, non si discute che della forte amicizia del nostro presidente del Consiglio con Putin e delle preoccupazioni che questo rapporto così stretto suscita tra gli americani. Wikileaks da un lato ha, ancora una volta, plasticamente rappresentato, con i suoi files, quello che si sapeva da molto tempo, cioè il feeling Arcore-Mosca. Aggiungendo però due particolari davvero nuovi: il senso di frustrazione della nostra sede diplomatica e, supponiamo, del nostro ministro degli Esteri, completamente tagliati fuori quando si tratta di discutere con i russi (se ne occupa Berlusconi in prima persona e senza mettere a parte nessuno di quello che fa); l’ipotesi che in questa amicizia si nasconda un interesse privato. Un documento di Wikileaks cita un rapporto dell’ambasciatore Spogli il quale rende conto di una voce secondo la quale Putin pagherebbe a Berlusconi una tangente per ogni oleodotto che l’Eni costruisce insieme a Gazprom.
• Possibile?
La storia non può essere creduta fino a che non sia provata. Per il momento ha due punti di debolezza. Il primo: Spogli riferisce un’informazione (o un pettegolezzo, o una calunnia) che gli è stata passata dai georgiani e i georgiani sono una cattiva fonte perché nemici di Berlusconi: all’epoca dell’attacco russo alla Georgia, Berlusconi diede infatti pubblicamente ragione a Mosca (e non era il solo). Secondo punto di debolezza: a suo tempo l’Eni aveva comprato da Yukos il 20% di Gazpromneft e la russa Gazprom voleva ricomprarlo, ma a un prezzo scontato. Berlusconi intervenne e impose il prezzo di mercato (come riconosciuto da tutti i documenti, compresi quelli americani e quelli di Wikileaks). Ora, in una logica di tangenti lo sconto si concede facilmente e si lucra poi – in tangenti, appunto – sull’entità del risparmio realizzato dal compratore. Di Pietro ieri ha chiesto una commissione parlamentare d’inchiesta su questo affare, ma, come al solito, è l’accusatore che deve produrre le prove di quello che dice. Non basta ad accreditare l’insinuazione neanche il documento di Wikileaks in cui si sostiene che Putin stesso opera sul mercato dell’energia con fini personali, lucrando profitti che finiscono nella società svizzera Gunvor.
• Perché, però, Berlusconi sarebbe tanto amico dei russi?
Non è così illogico. Dobbiamo comprare ogni anno all’estero 75 miliardi di metri cubi di gas, dato che per il 60 per cento la nostra energia elettrica viene dal gas. 24,5 miliardi vengono dall’Algeria, altri 24,5 miliardi li prendiamo dalla Russia. Gli altri fornitori sono, in ordine d’importanza: Libia, Olanda, Norvegia, Germania, Regno Unito. Abbiamo però in Italia l’Eni, società controllata al 30% dal Tesoro e per il resto in Borsa. L’Eni è la quinta società petrolifera al mondo, nel senso che è leader nella raffinazione e nelle tecnologie, un settore in cui i russi sono invece deboli e, visti i debiti di Gazprom, impossibilitati a fare grandi investimenti (estraggono meno gas di quel che potrebbero). Accordi tra i due paesi in questo settore sono perciò addirittura ovvi. Infatti esiste un’intesa tra Eni e Gazprom per la costruzione del gasdotto South Stream, che dovrebbe portare il gas russo nell’Europa meridionale (dunque anche a noi) bypassando l’Ucraina, che Putin giudica inaffidabile. Il cda dell’Eni resiste a questo accordo, di cui ha approvato solo il piano di fattibilità, con l’argomento che South Stream avrebbe un obiettivo solo politico e che il vantaggio economico non sarebbe così chiaro. Noto di passata che questo cda dovrà essere rinnovato la prossima primavera.
• Quale sarebbe l’obiettivo politico?
I russi vogliono che l’Europa, per l’approvvigionamento energetico, dipenda da loro: un oleodotto North Stream porterà il gas russo in Germania, un altro oleodotto South Stream lo farà arrivare a noi. I paesi nemici (Ucraina e gli ex satelliti sovietici) saranno tagliati fuori. È un progetto che gli americani temono molto: per contrastarlo hanno progettato un gasdotto alternativo, che si chiama Nabucco, e che dovrebbe pigliare gas nell’Asia centrale, soprattutto dall’Iraq. Ma, a quanto se ne sa, è un’idea che procede con difficoltà. Adesso gli Stati Uniti, che non hanno quasi più bisogno di importare gas, puntano a un invasione dei mercati con metano non convenzionale (shale) tirato fuori dagli scisti argillosi, dai letti di carbone, dalle sabbie compatte. L’obiettivo è invadere i mercati deprimendo i prezzi e mettendo quindi in seria difficoltà Gazprom, che fionanziariamente ha problemi e sta in piedi solo se il petrolio (il prezzo del gas è costruito ora su quello del petrolio) sta almeno a 70 dollari. Si parla di tariffe tagliate del 30 per cento.
• Bene per noi, però, no?
Sì, l’Italia potrebbe avere, tra qualche anno, addirittura un eccesso di approvvigionamento. Senza contare che, almeno sulla carta, ci sono otto centrali nucleari da costruire.
• Forse a questo punto potrebbero non essere necessarie.
È il dilemma di questo momento storico. Converrà di più investire sul nucleare o sul gas? Guardi dove ci hanno portato le rivelazioni di Wikileaks… [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 3/12/2010]
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