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 2010  dicembre 03 Venerdì calendario

LA PASSIONE DI SPOSETTI PER I SOLDI AI PARTITI

Per parlare con Ugo Sposetti non basta neanche chiedere formalmente udienza. L’ex tesoriere dei Ds - riassurto improvvisamente ai dubbi onori della cronaca, dopo aver indotto una parte del suo partito a votare contro l’emendamento alla riforma dell’università che toglieva 20 sui 100 milioni di rimborsi elettorali ai partiti per finanziare i contratti di ricercatori a tempo indeterminato e così a spaccarsi in Aula - si rifiuta categoricamente di parlare. “No, no”, si limita ad articolare mercoledì, dopo aver sentito nome, cognome e testata di riferimento dell’interlocutrice. Per poi dichiarare: “Andatevi a rileggere il mio intervento in Aula”. Eseguito e diligentemente riportato sul “Fatto”, ci si riprova il giorno dopo. “Sono in riunione, non ho tempo”, la risposta alla prima telefonata. E alla seconda: “Leggete l’intervento in Aula”, ribadisce lui. Non serve a niente citare il suddetto intervento (“Signor presidente, la pregherei di rivolgere un appello al collega Tabacci. Non so quanti veli lui abbia e quale uso ne faccia, ma non può permettersi di stendere veli sulle persone che si sono interessate della vita dei partiti. Questo non è consentito né all’onorevole Tabacci né ad altri”) e provare a dire che non chiarisce praticamente nulla sulla posizione di Sposetti. “Non ho nessuna intenzione di parlare. Non ho parlato con nessuno. Non vedo perché dovrei parlare con voi, che fate una battaglia demagogica”. E su questo si chiude la comunicazione. In realtà, quella di Sposetti per il finanziamento pubblico ai partiti è una battaglia lunga una vita. In un’intervista al “Giornale” (a firma Luca Telese) del 19 agosto 2007, Sposetti lo diceva senza mezzi termini: “È giunto il momento di impegnarsi in una battaglia democratica per reintrodurre il finanziamento pubblico ai partiti”. Motivandolo così: “È scritto nella Costituzione, santa pazienza, articolo 49! In origine i padri costituenti lo avevano spiegato, ancora meglio, impegnando alla trasparenza i partiti. Poi, siccome era il tempo della guerra fredda, si affermò solo il principio sacrosanto, che la politica deve essere sostenuta dallo Stato”. Per poi spingersi a dire, incurante anche del risultato schiacciante del referendum del ‘93 per abolire tali finanziamenti pubblici: “I costi della politica sono cresciuti all’inverosimile. Non credo alle belle animelle che storcono il naso. O parlano per opportunismo, o sono in malafede”. Usciti dalla finestra, comunque, tali finanziamenti sono rientrati sotto forma di rimborsi elettorali (grazie a una legge del 2002 di cui lo stesso Sposetti si vantava di essere stato estensore). E adesso l’onorevole piddino li difende con le unghie e con i denti. Nello stesso modo in cui difese, all’atto di nascita del Pd, il patrimonio dei Ds. “Da me il Pd non avrà un euro”, tuonò all’epoca. E così è stato, come ribadisce Mauro Agostini, che è stato il primo tesoriere dei Democratici. Tale patrimonio fu blindato in immobili per un valore di circa mezzo miliardo di euro custoditi in apposite fondazioni. E a nulla servì la battaglia politica che voleva che alla nuova creatura arrivassero in dote i tesori di Ds e Dl. Sanguigno e di certo convinto delle sue ragioni, Sposetti ha portato avanti in Aula una battaglia che in qualche modo non lo riguarda più direttamente. Ma anche Agostini, che non pochi contrasti ha avuto con l’ex tesoriere, questa volta si è schierato con lui: “Si trattava di un emendamento demagogico, che voleva dire fare un regalo a Berlusconi e a coloro che dispongono di risorse illimitate”. Sulla stessa linea anche l’attuale tesoriere Pd, Misiani, che dichiara senza mezzi termini di aver votato contro l’emendamento: “I rimborsi elettorali sono stati già ridotti del 10% l’anno scorso. E sono una garanzia per la trasparenza della politica e per la democrazia”. A questo punto, però, l’obiezione sorge spontanea: visto che di soldi si trattava perché il gruppo del Pd aveva dato indicazioni di votare per e non contro l’emendamento e il tesoriere non è riuscito a far valere la sua opinione, evidentemente? “Siamo un Partito democratico” e “non c’è stata una discussione interna”, le pur deboli risposte.