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 2010  dicembre 03 Venerdì calendario

TOLSTOJ IN CAMERA DA LETTO

Nel novembre del 1910, quando la sua vita volge al termine, Tolstoj chiede alla figlia Alexandra di annotare questi ultimi pensieri: “Dio è il Tutto illimitato, l’uomo non è che una manifestazione limitata di Dio... Dio è amore e più c’è amore, più l’uomo manifesta la presenza di Dio e più vive nel vero senso della parola...”. Sarebbe facile vedere in queste ultime riflessioni il semplice riflesso appannato dalla vecchiaia, di tutte le illuminazioni e redenzioni che gli eroi dello scrittore vivevano all’apice delle loro passioni o, come lo stesso Tolstoj, nel momento della morte. A tutto questo non era estranea la morte precoce dei suoi genitori. Né la disperazione dei fratelli Dimitri e Nicolas. Né la carneficina di Sebastopoli dove il passaggio verso il nulla non aveva alcunché di teorico... Seguendo il canovaccio del vissuto personale, la morte e la rivolta dello spirito contro la morte diventano il tessuto stesso della creazione tolstojana. “Ho ucciso degli uomini in guerra, ne ho sfidati altri a duello per ucciderli; giocando a carte e mangiando come un crapulone ho dilapidato i frutti del lavoro dei miei contadini; li ho mortificati duramente, mi sono abbandonato allo stupro, all’inganno. Menzogne, furti, dissolutezze di ogni genere, violenza, omicidio... non c’è crimine che non abbia commesso”.
PER ABITUDINE si sottolineano l’esuberante vitalismo di Tolstoj, la voracità dei suoi appetiti carnali, la sua statura di divinita’ pagana, di patriarca biblico, padre di tredici figli, che troneggiava nel mezzo di domini infiniti, di innumerevoli greggi. Guerriero senza macchia e senza paura, cacciatore audace che un giorno si troverà con la testa tra le fauci di un orso... Ma cosa sarebbe questa debordante e squillante vitalità senza i rintocchi gravi della morte presenti nei momenti più radiosi della sua esistenza? Questo “pensiero incessante” non è forse l’opera stessa di Tolstoj, l’estrema veridicità dei personaggi che popolano i suoi romanzi, la vivacità del sangue trasfuso in loro dallo scrittore, il loro respiro al cui ritmo, con turbamento, adeguiamo il nostro? La morte del principe Andrej, il suicidio di Anna Karenina, i trapassi così diversi in “Tre morti”, il lungo addio, funebre e luminoso, di Ivan Illich... E ogni volta l’ostinata volontà di attraversare la linea d’ombra, di intravedere l’aldilà , di sintetizzare l’assaggio dell’eternità, di plasmare in parole, in immagini, il momento in cui scivoliamo verso “ciò che non si può comprendere”. Un uomo spinto nel buio di un sacco o piuttosto un punto di chiarezza che si dilata dinanzi allo sguardo di un moribondo. Bisogna avere il coraggio di rovesciare la prospettiva. I momenti nei quali Tolstoj “filosofeggia” hanno lo stesso senso della sua opera puramente artistica. Tutto Tolstoj è il tentativo sovrumano di “comprendere ciò che non possiamo comprendere”, di dire nella nostra lingua di poveri mortali l’allucinante prossimità al nulla che si cela dietro ciascuna delle nostre azioni, l’intima sensazione di eternità, il pensiero del “dopo”, idea ridicolizzata, resa obsoleta, superata dal rapido decadimento del corpo ed è per tutta questa carne votata alla decomposizione che Tolstoj evoca un realismo sorprendente, l’idea pur sempre necessaria che, contrariamente a Napoleone ad Austerlitz, vediamo non solo le carcasse putrefatte dei soldati che giacciono ai nostri piedi.
Nella sua autobiografia Sofia Tolstoj racconta la vita quotidiana di una coppia fuori del normale. “È lei, la vedo, è di lei che avevo bisogno”. In queste parole di Tolstoj sulla moglie Sofia si ravvisano la rassegnazione e una punta di disprezzo. Lo scrive Sofia qualche tempo dopo aver promesso al marito di cancellare dal suo diario tutte le parole crudeli dette da Tolstoj su di lei. Peso tremendo quant’altri mai. Sofia avrebbe quasi preferito le percosse perché queste, al contrario dell’inchiostro, non lasciano tracce nella storia... È in parte per riabilitare il ritratto di donna debole, viziosa e spregevole fatto dal marito, che Sofia Tolstoj ha scritto le migliaia di pagine di un diario e di una autobiografia restata a lungo inedita: “La mia vita”. Nei suoi scritti troviamo le giustificazioni di una sposa prostrata, ma anche una sensibilità d’artista, senso dell’umorismo, gelosia, tristezza per aver tradito i suoi sogni di fanciulla dedicando la sua vita al servizio di un genio. Cosa sarebbe diventata se non avesse sposato Lev Nikolaevic Tolstoj che, all’epoca, aveva quasi il doppio dei suoi anni? Una scrittrice? Suo padre e i suoi professori glielo avevano predetto perché Sofia ha sempre scritto. Va fiera per aver scritto da adolescente un breve racconto sull’amore ideale. Tolstoj ne fu impressionato e, senza dubbio alcuno, al racconto si ispiro’ per costruire il personaggio di Natasha in Guerra e Pace. La settimana del fidanzamento Sofia diede alle fiamme tutti i suoi scritti, il suo racconto, il suo diario da giovinetta. Un gesto che inaugura una lunga negazione di se’ stessa: soffoca in lei la luce creatrice per non fare ombra al grande sole di Tolstoj. “Tutti i miei sogni di un avvenire brillante si sono infranti contro gli affanni della vita familiare”, scrive. Questa vita familiare tagliata fuori dal mondo, Sofia, sfogandosi, la descrive nel suo diario – “sogno di suicidarmi, di fuggire no so dove, di innamorarmi non importa di chi” – e, con più calma e distacco, nella sua autobiografia. La sua vita: tredici figli messi al mondo, non si sa quanti aborti spontanei, l’allattamento, le malattie infantili che così tanto disturbano Tolstoj. La famiglia è tutta sulle spalle di Sofia. Tolstoj? “Ha fatto pochissimo per i figli maggiori e niente per gli altri”, accusa Sofia. Più passa il tempo, più Tolstoj si ritira dalla vita reale che disprezza per chiudersi a doppia mandata in quella della mente. La sola ricompensa di Sofia è l’accesso privilegiato al mestiere di scrittore del marito. Tutti i giorni trascrive i suoi manoscritti.
Un compito che la affascina anche se deve riempire un cestino sfondato: ogni mattino Tolstoj e’ stravolto per aver lavorato tutta la notte.
Non si esagera nell’affermare che Guerra e Pace e Anna Karenina sono anche figli di Sofia. “Inviando il tuo manoscritto a Mosca ho avuto come la sensazione di lasciar partire un figlio e temo che possa farsi del male”. A otto anni Sofia legge “Infanzia” e si innamora dei romanzi di Tolstoj. Di un amore lucido, critico. Sofia e Tolstoj sono prigionieri l’una dell’altro. “Dove sei tu, l’aria è contaminata”, ripete Tolstoj. Questa vita pesante, lacerata dai conflitti coniugali, e’ talvolta attraversata da momenti di frivolezza. È difficile immaginare Tolstoj mascherato da capra o che porta i doni nascosti nelle maniche come Babbo Natale. Ma è quanto ci racconta la sua musa, assistente, prigioniera, carceriera, anima-sorella: Sofia.
(c) Andrei Makine/Le Figaro/Volpe Traduzione di Carlo Antonio Biscotto