Diego Gabutti, ItaliaOggi 3/12/2010, 3 dicembre 2010
E ALLA FINE ASSANGE PAGHERÀ I DEBITI DEGLI ALTRI
Sono tempi bui per le diplomazie se persino Franco Frattini (e con lui praticamente tutti i ministri degli esteri occidentali) si è trasformato in una specie di Tonino Di Pietro globale: «Catturate Julian Assange. Interrogatelo, fatelo parlare». Colpevole d’aver fatto del normale giornalismo, sia pure su scala kolossal, pubblicando le comunicazioni riservate della diplomazia americana, il fondatore di Wikileaks deve scordarsi il Premio Pulitzer; i ministri degli esteri gli augurano in coro il terzo grado e la galera.
Sono parole dure, assai poco diplomatiche, specie da parte dei nostri specialisti di politica estera, che sono sempre lì ad esaltare la libertà di stampa e che, in genere, hanno pietà anche dei peggiori boia: salvate Saddam Hussein, non torcete un capello a Tareq Aziz (soltanto ai cinesi, per via dei «rapporti commerciali», e ai cubani, ultimi e apprezzati testimonial del socialismo d’antan, è consentito mettere a morte tutti gl’innocenti che vogliono). Ma al povero Assange non si perdona nulla. Fondatore d’un sito famigerato, fonte d’ogni scandalo, l’australiano è oggi in fuga, inseguito da un putiferio di mandati di cattura internazionali (per diffusione di notizie riservate, scasso informatico, abuso della libertà garantita dal web a tutti gli abitanti della terra e persino stupro, per chi ci crede) come Pietro Gambadilegno nei fumetti. Anche se in realtà non ha fatto niente di male, a differenza dei tiranni sanguinari con i quali s’intrattiene amichevolmente, per fare soltanto un nome, il nostro presidente del consiglio, con lui non si va per il sottile.
Niente di male? Assange ha diffuso delle e-mail riservate, tuonano i diplomatici di tutto il mondo (che campano di riservatezza, ma sono evidentemente incapaci di capire che c’è chi, per esempio i giornalisti, che invece campa diffondendo notizie). Catturatelo, interrogatelo, fatelo cantare. Per chi lavora questo stupratore australiano, questo strumento della guerra asimmettrica? Per la Cia? Per i musi gialli? In galera, in galera! Eppure è molto peggio, diciamo la verità, finire nelle e-mail riservate della diplomazia americana con un berretto d’asino in testa, com’è capitato (talvolta senza merito, talvolta con ragione) ai leader di mezzo mondo, che diffondere queste e-mail via Internet, affinché tutti sappiano. Assange è ricercatissimo, ma sarebbe molto più sensato dare la caccia, giornalisticamente parlando, a Gheddafi per le sue biondone uzbeke, alla presidentessa argentina Cristina Elisabet Fernández de Kirchner perché sospettata d’essere una malata di mente, a Silvio Berlusconi per le solite cose e per altre un po’ più insolite, a Nicolas Sarkozy perché si crede Napoleone (e sa il cielo quanto poco lo sia) o a Vladimir Putin, l’ex colonnello del Kgb, per la sua politica fondata sull’intimidazione e sui favori energetici. No, invece. Tutti addosso a Julian Assange, anche i giornalisti, non si sa se per convinzione o per invidia. Tutti contro di lui, persino il nostro ministro degli esteri, come dicevamo all’inizio. Persona di solito così moderata, con quella sua aria ammodino da primo della classe, un bravo ragazzo che disdegna ogni chiassata, persino Frattini ha perso la pazienza con Assange. Parlando in tono minaccioso, con un angolo della bocca, come i loffi dei film di spionaggio, Frattini vuole farlo cantare a tutti i costi: «Prendetelo, interrogatelo».
Assange, alla fine, dovrà pagare per i peccati altrui (stupro a parte, sempre che abbia davvero stuprato le due ragazze che lo accusano e che non si tratti soltanto, come molti sospettano, di un’imputazione di comodo). Assange pagherà al posto dei pettegoli, che si sono scambiati tra loro tutti quei messaggini scandalistici sul conto dei potenti della terra, ma soprattutto pagherà al posto degli spettegolati, che il peso delle maldicenze, dopotutto, se lo guadagnano (onore al merito) con le loro imprese.