Federico Fubini, Corriere della Sera 03/12/2010, 3 dicembre 2010
TUTTI IN FILA PER I SOLDI DELLA FED UNICREDIT PER VENTIQUATTTRO VOLTE
Ventiquattro volte allo sportello, per un ammontare di prestiti cumulati da 62,2 miliardi di dollari. Sarà anche vero che il sistema bancario italiano ha resistito alla crisi meglio di quello americano, tedesco, britannico, francese o spagnolo. Ma a tutto c’è un limite. Il limite di Unicredit per esempio, nell’anno hor
ribilis fra la fine del 2008 e la fine del 2009, è la soglia (elettronica) dello sportello della Federal Reserve di New York. Quella alla quale le grandi banche di tutto il mondo si sono attaccate per non restare senza ossigeno nei momenti dell’ictus finanziario globale.
Unicredit è solo una delle centinaia di banche, in maggioranza americane ma anche europee, giapponesi e coreane, che all’apice della crisi hanno usato le finestre d’emergenza della Fed. Ma fra gli italiani l’istituto di Piazza Cordusio è decisamente quello che lo ha fatto di più. Intesa Sanpaolo si è affacciata una sola volta alla Term Auction Facility (Taf) della Fed. Era il 27 dicembre del 2007, Bear Stearns e Lehman Brothers erano ancora due (apparentemente) poderosi centri di potere a Wall Street. Ma la crisi dei subprime aveva iniziato a mordere dall’estate, nel sistema finanziario era dilagato il contagio della sfiducia, i prestiti fra banche erano ormai carissimi o inesistenti. Il credit crun
ch stava raggiungendo l’apice. È a quel punto - fine 2007 - che la Fed crea lo strumento d’emergenza chiamato Taf per permettere agli istituti di approvvigionarsi di liquidità. Con la «facility» la banca centrale americana offre prestiti dapprima a 28 giorni, poi da agosto 2008 fino a 84 giorni, a tassi agevolati e nella massima discrezione possibile. «Molte banche erano riluttanti a prendere prestiti alla normale finestra di sconto per timore che ciò diventasse pubblico e fosse erroneamente preso come un segno di debolezza finanziaria», spiega la Fed.
Erroneamente o no, con quello e altri strumenti speciali l’istituto di Washington avrebbe iniettato 3.300 miliardi di dollari nei due anni seguenti. L’intero sistema finanziario globale aveva cessato di fare transazioni con se stesso, la Fed aveva sostituito il mercato. La britannica Barclays per esempio è andata alla finestra della Taf 53 volte e ha «tirato» solo da lì 232 miliardi di dollari. Bank of America in un’occasione ne ha presi 60 in un giorno. Morgan Stanley si è rivolta 212 volte alla Pdcf, un’altra finestra d’emergenza riservata alla banche d’affari, Goldman Sachs invece 84.
Tutto emerge solo adesso, dopo che la riforma finanziaria che va sotto il nome Dodd-Franck Act ha obbligato la Fed a fare trasparenza sui dati di quella stagione di panico. L’istituto guidato da Ben Bernanke aveva sempre cercato di evitarlo, dato che fare nomi in queste circostanze è delicatissimo. Ma il velo che si alza mostra ora anche una vicenda italiana in un più ampio dramma finanziario globale. Questa parte appunto da Intesa Sanpaolo: una settimana dopo il lancio della Taf, attraverso la sua filiale di New York, Intesa si presenta all’asta, chiede e riceve 5,9 milioni di euro. Quel giorno lo fa anche il Banco Santander spagnolo, per 191 milioni. Ma sono spiccioli, test per vedere come funziona il programma Fed. Le due banche non avranno bisogno di chiedere altri soldi.
Diversa invece l’attività di Unicredit, a tratti quasi frenetica. Fra il 4 dicembre 2008 e il 17 dicembre 2009 è alla finestra Taf due volte al mese, per prestiti che arrivano fino a 5,7 miliardi di dollari per volta a tassi sempre sotto lo 0,5%. Alla fine un po’ di normalità tornerà sui mercati e Unicredit non avrà più bisogno dell’ossigeno di Bernanke. Simile peraltro la vicenda di Bnp Paribas, altra banca importante per l’Italia grazie al controllo di Bnl: i francesi hanno bussato alla Taf ben ventisette volte fra fine 2007 e il 2009.
Federico Fubini