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 2010  dicembre 03 Venerdì calendario

E nel 2022 la Coppa negli stadi climatizzati - Un tetto sopra i Mondiali e un refrigeratore sotto il campo e l’aria condizionata ovunque, l’edizione del 2022 non sarà ecologica

E nel 2022 la Coppa negli stadi climatizzati - Un tetto sopra i Mondiali e un refrigeratore sotto il campo e l’aria condizionata ovunque, l’edizione del 2022 non sarà ecologica. Saranno Mondiali chiusi, Mondiali televisivi, l’ennesima mazzata al pubblico pagante. Gli italiani possono consolarsi, non siamo gli unici a trattare lo spettatore come un superstite che si ostina a comprare il biglietto: è tutto il calcio Mondiale che abbandona il tifoso, ultimo anello della catena alimentare. Non è colpa dell’emiro Hamad bin Khalifa che seccato dal disprezzo ha alzato la voce: «Siamo stati educati e tranquilli per l’intera candidatura ma ora vorremmo chiarire che è arrivata l’ora di dare una possibilità al Medio Oriente, i Mondiali sono stati consegnati a Paesi dove il clima era insopportabile. Noi saremo anche piccoli ma la Fifa ha deciso di darci fiducia. Abbiamo sconfitto i pregiudizi». Loro vogliono un posto nella mappa, vogliono essere riconosciuti e considerati e hanno deciso di prendersi la visibilità che serve con lo sport. Hanno ospitato i Mondiali under 20 nel 1995, i Giochi asiatici dieci anni dopo, hanno un torneo Atp di tennis dal ‘90 e da poco hanno organizzato il Masters femminile, sono nel calendario del Motomondiale, l’anno prossimo faranno esperienza con la Coppa d’Asia e nel 2021 le prove generali con la Confederation’s Cup. Costruiranno, hanno capitale infinito e progetti da sogno solo che non è il calcio a cui siamo abituati. È un prototipo. Solo impianti indoor e vita al coperto visto che fuori ci sono 50 gradi e tra gli altri inediti, zero alcol (primo torneo senza birra) e stadi smontabili da «lasciare in eredità ai paesi più poveri». Spostamenti calcolati, una diffusa linea metropolitana in cantiere per muoversi sotto terra a temperatura regolabile, anche se non bisognerà muoversi troppo. Quasi tutte le città prescelte (solo 7, quanto c’era a disposizione) stanno in 60 km, sei stadi saranno concentrati a Doha. Il Paese è grande quanto la metà del Galles, mai un Mondiale era stato in scala così ridotta, fino a qui il titolo mignon spettava all’Uruguay, ma stavolta la concentrazione si fa temeraria. Ad accogliere il pallone, 1,7 milioni di persone e anche qui il capo missione si innervosisce: «Per il 2022 saremo anche di più, non siamo un posto a natalità zero e siamo giovani». A oggi non ci sarebbero stanze sufficienti per ospitare il carrozzone, «saremo in regola». La parola d’ordine è spendere. Lo hanno fatto per sedurre giocatori a fine carriera (Batistuta, Guardiola, oggi tra i testimonial con Zidane, Desailly) o per adottare mezzofondisti africani e incassare medaglie nelle grandi manifestazioni. Non ci sono limiti, né scelte impossibili: volevano lo sport e se lo sono preso a costi altissimi e non solo per loro che ripetono all’infinito: «Se dovessimo tenere in considerazione le caratteristiche di chi ha ospitato i Mondiali fino a oggi, allora il mondo non si allargherebbe mai». Non ci stanno a essere considerati l’ultima frontiera, la prova che l’unico canone di questo audace voto è il denaro, ma quando è uscita la busta con la scritta Qatar si è sentito un solo urlo nel silenzio generale. Era quello della sceicca Moza bint Nasser, capo della fondazione dell’educazione, la seconda delle tre mogli dell’emiro, la donna più elegante di Zurigo e la quota rosa pretesa dalla Fifa perché nessuno potesse rinfacciare al Qatar di essere maschilista. Alla domanda diretta, il capo missione risponde: «Stiamo per inaugurare un campionato femminile» e pazienza se non si parlava di parità calcistica, «siamo qui per rispondere sulla candidatura e saremo felici di ospitare qualsiasi nazionale, Israele compresa. Saremo pronti». Loro saranno pronti, il calcio un po’ meno.