La Stampa 3/12/2010, pagina 42, 3 dicembre 2010
La riforma fa discutere: e allora discutiamone - Ho letto con grande disappunto il suo (di Irene Tinagli, ndr ) editoriale sul DDL Gelmini
La riforma fa discutere: e allora discutiamone - Ho letto con grande disappunto il suo (di Irene Tinagli, ndr ) editoriale sul DDL Gelmini. E’ triste che dopo settimane di dibattito si leggano ancora affermazioni fuorvianti come quelle che vi compaiono. Provo a fare qualche esempio. 1) Lei afferma: «Non distruggerà l’Università il fatto di aver reso a tempo determinato i contratti per ricercatori, così come avviene in tutti gli altri Paesi». Purtroppo, di contratti a tempo determinato nella nostra Università ce ne sono già una grande varietà, e fanno sì che in nessun paese il periodo di precariato precedente l’assunzione in ruolo sia lungo come in Italia [...] Il periodo di precariato previsto dal DDL Gelmini non sostituisce queste forme preesistenti, ma si sovrappone ad esse! [...] 2) Lei afferma: «Non distruggerà l’Università aver inserito degli scatti salariali legati alla performance o aver aumentato l’assegnazione dei fondi alle università sulla base di valutazione». Purtroppo, non si tratta di aumenti dei futuri stipendi per i meritevoli, ma di riduzione dei futuri stipendi per tutti, salvo la possibilità che per alcuni lo stipendio resti lo stesso per particolari «meriti». Questo è il significato del passaggio dagli scatti biennali a quelli triennali. Le faccio anche notare che non esistono fondi di nessun tipo allocati dal DDL per finanziare «il merito» (la legge infatti è rigorosamente «a costo zero» [...] 3) Il DDL Gelmini non riduce il potere dei «baroni». In realtà rende a loro egemonia ancora più assoluta. Solo i professori ordinari infatti faranno parte delle commissioni di concorso (un’anomalia particolarmente grave nel sistema italiano, dove l’età media molto elevata degli ordinari fa sì che inevitabilmente molti di loro siano lontani dalle tematiche di ricerca più attuali). La creazione di idoneità nazionali a `numero aperto’, accoppiata alla selezione effettiva per mezzo di concorsi locali non monitorabili attribuisce proprio ai «baroni» il potere assoluto di selezione del personale. 4) Il DDL Gelmini cristallizza i più drastici tagli di bilancio della storia dell’Università italiana. Gli stanziamenti promessi (ma non ancora effettivi) nella Legge di Stabilità non compensano questi tagli, e sono previsti nella misura attuale solo per il 2011. Invece, l’Università italiana è documentabilmente sottofinanziata rispetto a tutti i nostri competitori europei e rispetto alla media OCSE. [...] Le faccio anche notare che «gli altri paesi», come Francia, Germania, gli Usa [...] anche nel bel mezzo della crisi hanno trovato il buon senso e le risorse per aumentare ulteriormente il loro impegno, consapevoli che il futuro di un paese si gioca soprattutto in questo settore. La mancanza di fondi, questa sì, distruggerà l’Università. [...] Nessuno che abbia a cuore la sorte dell’Università vuole lo status quo, c’è davvero bisogno di una riforma di ampio respiro, accompagnata da finanziamenti adeguati. Il DDL Gelmini, semplicemente, non è questa riforma. LORENZO MAGNEA PROFESSORE ASSOCIATO, DIPARTIMENTO DI FISICA TEORICA, UNIVERSITA’ DI TORINO La lettera del professor Magnea è molto lunga e non consente la pubblicazione integrale, poiché però il tema è fra quelli che più hanno stimolato il dibattito fra i nostri lettori ho pensato di lasciare questo spazio alla risposta di Irene Tinagli. Ecco la sua risposta: «Nell’impossibilità, in questa sede, di ribattere punto per punto alle sue affermazioni mi soffermo su quelle meno tecniche e che possano risultare più comprensibili ai lettori. 1 Lei scrive: «… in nessun paese il periodo di precariato precedente l’assunzione in ruolo sia lungo come in Italia». Non è così. Negli Stati Uniti, per esempio, spesso sono a tempo determinato anche i contratti per i professori associati e raramente si ottiene un contratto a tempo indeterminato prima dei 40 anni. Molto spesso chi non viene confermato professore associato in una università deve spostarsi in un’altra dove riparte da zero, cioè dal primo gradino di «assistant professor». Questa mobilità non viene considerata precariato, ma il normale, duro processo di selezione per una posizione di grande responsabilità nella società. E sono moltissimi quelli che devono cambiare mestiere. Anche dopo molti anni. 2 Lei scrive: «…non esistono fondi di nessun tipo allocati dal DDL per finanziare il “merito”». Infatti La premiazione del merito a cui facevo riferimento non attinge a fondi separati ma alla quota di fondo di finanziamento ordinaria che sarà legata alle valutazioni sulla ricerca didattica e sulle performance dell’ateneo. 3 Lei scrive: «Il DDL Gelmini non riduce il potere dei “baroni”… Solo i professori ordinari infatti faranno parte delle commissioni di concorso». Mi permetto di ribattere in primo luogo che non è corretto parlare di «commissione di concorso» perché il decreto abolisce i concorsi, dunque non c’è concorso ma chiamata; in secondo luogo l’ultima versione del decreto uscita dalla Camera include nel processo di chiamata degli associati anche i professori associati. 4 Lei scrive: «La mancanza di fondi, questa sì, distruggerà l’Università». Su questo mi trova completamente d’accordo, come ho già evidenziato nell’articolo». MARIO CALABRESI