Maurizio Stefanini, Libero 3/12/2010, 3 dicembre 2010
GESTIONE ALLEGRA E SUICIDI. I DUBBI SUL NOBEL DEI POVERI
Nel 2006 Muhammad Yunus, il “banchiere dei poveri” inventore del microcredito, ricevette il Premio Nobel per la Pace. Nel 2007 per poco non diventava primo ministro del natio Bangladesh. Nel 2008 un referendum on line organizzato in tutto il mondo dalla rivista Foreign Policy lo classificò come il secondo intellettuale più influente del mondo. Nel 2009 ha lanciato il nuovo slogan del “business sociale”: una proposta di capitalismo rinnovato per affrontare la crisi. E nel 2010, forse questa è la massima consacrazione dei nostri tempi, Yunus è stato perfino ammesso come personaggio a cartoni animati nel mondo dei Simpson. Dulcis in fundo, proprio martedì era stato dato l’annuncio sull’apertura a Bologna del primo Grameen ma proprio su questo momento di trionfo su Yunus si abbatte la tegola di una durissima accusa di sottrazione indebita di 47 milioni di euro. Un’accusa, va detto, solo giornalistica. Ma proveniente da una fonte autorevole come la tv norvegese.
Proprio “le isole dell’estremo nord norvegese”,assieme agli“slums delle metropoli Usa”, erano indicati tra gli esempi di realtà marginali del mondo sviluppato in cui il sistema Grameen aveva trovato un ruolo, pur essendo stato concepito originariamente per Paesi sottosviluppati come il Bangaladesh. Ma “Intrappolato nel microcredito”, del regista danese Tom Heinemann, documentario trasmesso dalla tv norvegese, racconta di come l’economista tra il ’96 e il ’98 abbia girato segretamente a una società operante nei servizi per la salute l’equivalente di 74,5 milioni di euro che il governo di Oslo gli aveva passato per finanziare prestiti a piccoli imprenditori attraverso la Banca Grameen.
Possibile? Yunus col suo sistema di microcredito “bonificato” si è con abilità collocato su una posizione a cavallo tra solidarismo e capitalismo che lo fa stare simpatico a tutti: a sinistra, perché è uno che si dà da fare per il Terzo Mondo; ma anche a destra, perché accetta il capitalismo e le leggi del mercato. Che poi sia un filantropo che però non chiede di regalare soldi ai poveri ma insiste che i poveri per il loro stesso bene devono trasformarsi in piccoli imprenditori e abituarsi a restituire i debiti anche solo con una monetina al giorno, è di gradimento anche a quella importante componente di uomini della strada che in Occidente non ne può più di sentirsi sollecitare contributi al Terzo Mondo. E in effetti la risposta di Yunus, che aveva trasferito i soldi per motivi fiscali, sarà forse segno di disinvoltura e tale da esporre a una causa in tribunale; ma è coerente con quella sua insofferenza per le burocrazie che è in fondo garanzia di efficienza.
Il fatto però è che da un po’ di tempo in India si succedono polemiche su contadini che si troverebbero costretti al suicidio per l’incapacità di saldare le rate della Grameen, e il documentario ha appunto intervistato un bel po’ di poveri bangladeshi, che dal microcredito dicono di non aver tratto benefici, ma solo altri debiti. In effetti Yunus ha sempre ricordato che la sua non è beneficenza, ma solo un sistema per portare il credito a coloro che nelle banche normali non possono accedere. Permette così loro di creare imprese per conto proprio, ma un’impresa non è tale senza rischio e quindi un’aliquota fisiologica di fallimenti resta. Il fatto però è che Yunus ha finora rifiutato di concedere interviste a Heinemann. Dunque, più di un dubbio rimane.