Alessandra Cardinale, il Fatto Quotidiano 4/12/2010, 4 dicembre 2010
TELEVISIONI, RADIO, GIORNALI ECCO L’IMPERO DEL MURDOCH AFGHANO
Alcuni mesi fa Jon Boone, corrispondente del Guardian in Afghanistan, chiese al magnate afghano Saad Mohseni, proprietario della Moby Media Group (che comprende due televisioni, una radio e una casa discografica), cosa pensasse di Hamid Karzai e se secondo lui il presidente volesse davvero negoziare con i talebani. “Certo che lo è”, rispose secco il Murdoch afghano. Un appellativo stravagante ma che dà l’idea della sua influenza e delle sue ambizioni. A un certo punto dell’intervista Mohseni si trovò in difficoltà nel rispondere a un paio di domande del giornalista inglese. Decise di telefonare al portavoce del Parlamento afghano che però non era disponibile; allora contattò il vicepresidente ma era impegnato. Andò avanti così per ore: sfogliava la rubrica del suo Blackberry alla ricerca di qualcuno che gli potesse dare un suggerimento.
ALLA FINE della giornata Mohseni, 44 anni, sposato due volte, con quattro figli, dall’ufficio di Tolo Tv – una delle sue creature televisive – aveva parlato al telefono con i grand commis afghani e tra una telefonata e l’altra aveva trovato il tempo di intrattenere gli ospiti importanti – quasi tutti membri del Parlamento – che facevano capolino nel suo ufficio. “Oltre a quelli che lavorano nel suo stesso business – spiega Tom Freston, cofondatore di Mtv e membro del consiglio di amministrazione del gruppo Moby – Mohseni conosce tutti i corrispondenti esteri che si trovano in territorio afghano e gran parte dei politici. È abilissimo nella gestione delle relazioni e ha una personalità contagiosa”.
Mohseni è nato a Londra, dove il padre diplomatico stava lavorando. Quando Saad aveva tre anni, la famiglia fece ritorno in Afghanistan. Nel 1979 durante l’invasione sovietica il padre decide di emigrare un’altra volta. Destinazione: Australia. Lì Saad assieme ai due fratelli e la sorella, con cui in seguito fonderà la Moby, rimarrà fino al 2002. Il padre era “un uomo severo, avaro di complimenti, generoso nelle critiche perché non crescessimo come dei giovani viziati” ha raccontato in un’intervista. Una volta tornati in Afghanistan – l’anno dopo la caduta dei talebani – Saad e i fratelli decisero di mettere in piedi una società che si sarebbe occupata di media ma avevano a disposizione solo 300 mila dollari. Ne servivano altri 200 mila per aprire una stazione radio. Ad aiutarli ci pensò Usaid, l’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale che coordina i programmi di assistenza umanitaria, che versò nei conti dei fratelli Mohseni i soldi necessari per dare avvio al business. Già durante la Guerra fredda, gli Stati Uniti attraverso la Cia avevano finanziato alcune stazioni radio che facevano contropropaganda al regime russo e la prassi è continuata anche nell’Afghanistan post talebano. L’impero di Mohseni si è poi ingrandito con il passare degli anni: Arman è la radio più ascoltata nel paese, Tolo Tv è seguita dal 54% della popolazione vale a dire 17 milioni di persone appassionate di Afghan Star (un X-Factor afghano), di soap opera come The secret of this house dove recitano attori e attrici locali, e di news. In seguito, sono entrati nell’orbita della Moby Group, una casa discografica, Afghan Scene, un mensile di attualità su cui scrive Ahmed Rashid amico di Mohseni e massimo esperto di talebani, un’agenzia di pubblicità, due case di produzione – una cinematografica e una televisiva – e due internet café.
UNA PECULIARITÀ delle redazioni del magnate afghano riguarda le donne: non c’è una “quota rosa”, ma nelle testate almeno il 40% è composto da donne. Mohseni, in poco meno di dieci anni, ha creato un impero che paragonato con quelli dei suoi colleghi all’estero è una piccola provincia (il costo di uno spazio pubblicitario di 30 secondi su Tolo Tv è di circa 500 dollari, quello su un canale statunitense durante il Super Bowl è di tre milioni) che sta però offrendo agli afgani un osservatorio sul mondo, dove la musica è permessa, ballare non è considerato un’istigazione alla violenza sessuale, mangiare insieme (uomini e donne) – come si vede nella serie 24 tradotta dall’americano in Dari – non è un reato bensì un piacere. Per questi successi professionali, che i fondamentalisti considerano un oltraggio ai costumi islamici, Mohseni riceve costantemente minacce di morte ed è considerato il nemico pubblico numero uno dell’Islam.
Il Murdoch afgano spende il 10% dei suoi guadagni nella sicurezza personale: gira per Kabul scortato da 3 Suv blindati e all’aeroporto, quando è di ritorno, da qualche viaggio trova un gruppo di uomini armati con Kalashinkov AK-47 ad accoglierlo. Schietto e diretto, senza troppi giri di parole, in un inglese dal forte accento australiano Mohseni viene spesso invitato in Occidente per raccontare cosa succede nel suo paese. E spesso fa trapelare l’impressione che l’Afghanistan si senta abbandonato a se stesso. E che i radicali sentano sempre di più aria di vittoria. Nonostante tutte le difficoltà e i rischi, Saad Mohseni non ha però nessuna intenzione di cedere ai fondamenta-listi. “È il mio lavoro e mi piace” ripete quando gli chiedono se abbia mai pensato di spegnere i riflettori di Tolo Tv. Anzi, il magnate afghano contrattacca: a luglio è stato lanciato il primo canale di notizie 24 ore su 24 e a settembre Tolo Tv ha subito un restyling dell’immagine con uno slogan nuovo di zecca: “Nafas e Taza” . Ovvero: “Aria fresca”.