Paul Krugman, Il Sole 24 Ore 4/12/2010, 4 dicembre 2010
CASO IRLANDA E L’EUROPA: DEBITI I MALATI DA CURARE
Il piano di salvataggio dell’Irlanda non è palesemente riuscito nell’intento di rassicurare i mercati: gli investitori sono ancora preoccupati e per Dublino diventa sempre più oneroso ottenere soldi in prestito. Viene da sospettare che i funzionari di Bruxelles coinvolti nel piano di soccorso non siano all’altezza del loro compito. Quando si tratta di risolvere i problemi di liquidità sono bravissimi, ma sembra che non riescano proprio a capire che le difficoltà finanziarie dell’Irlanda non sono qualcosa che si possa risolvere semplicemente guadagnando tempo a suon di miliardi di euro.
È come se tra i funzionari di Bruxelles e le autorità irlandesi si svolgesse un dialogo di questo tenore:
- Guardate che l’Irlanda non può permettersi di pagare questi debiti.
- Ecco una linea di credito!
- No, sul serio, non possiamo proprio permetterci di pagare.
- Ecco una linea di credito!
È come guardare un incidente d’auto. A mio parere, le autorità del Vecchio continente vedono ancora (ancora!) questa crisi come un problema di fiducia, mentre è un problema più profondo, che nasce dalla struttura di base dell’economia irlandese. Il salvataggio dell’Irlanda, che costerà circa 84 miliardi di euro, non è un vero e proprio salvataggio, è semplicemente un accordo per prestare soldi a Dublino più o meno ai tassi di mercato dei titoli sicuri.
Non è un regalo di poco conto considerando che senza questi fondi l’Irlanda si troverebbe davvero nei guai e sarebbe costretta a pagare interessi altissimi per poter ottenere prestiti sul mercato privato. Ma se si pensa alle ragioni di tutto questo si capisce anche perché il salvataggio è probabilmente destinato a fallire.
Di fronte ai costi del salvataggio delle banche irlandesi e ai danni che le pesanti misure di austerity stanno infliggendo al l’economia del paese, gli investitori sono comprensibilmente scettici riguardo alla possibilità che il governo irlandese riesca effettivamente a onorare i suoi impegni e rifondere il debito. Ecco perché i tassi d’interesse sono alti: per compensare un possibile default. È un circolo vizioso: gli interessi più alti rendono ancora più difficile per l’Irlanda onorare i suoi impegni, e questo fa alzare gli interessi e così via. Il salvataggio in sostanza punta a spezzare questo circolo vizioso. Ma funziona solo se il circolo vizioso è il problema, non il sintomo. Vale a dire che funziona solo se l’Irlanda è un’economia solida nei suoi fondamentali, vittima di un panico che si autoalimenta. E questa è una tesi difficile da sostenere.
Chi voglia cercare un’alternativa alla strada scelta da Dublino (garantire tutto il debito, applicare misure di austerity radicali per pagare queste garanzie e rimanere nell’euro) può guardare all’approccio eterodosso dell’Islanda: ristrutturare una gran parte del debito, usare i controlli di capitale e incoraggiare la svalutazione. Ma se non è un problema di fiducia e di liquidità, di cosa ha bisogno l’Irlanda (e la Grecia, e il Portogallo)? Un effettivo alleggerimento del debito. Tema non è all’ordine del giorno.
L’Irlanda, come la Grecia, ora non è più costretta a rivolgersi al mercato per ottenere fondi, ma deve comunque fare i conti con un debito colossale (il debito lordo secondo le previsioni rimarrà al di sopra del 120% del Pil fino alla fine del 2011), forse ulteriormente aggravato da deflazione e stagnazione. La soluzione ai guai irlandesi semplicemente non è ancora stata trovata.
(Traduzione di Fabio Galimberti)