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 2010  dicembre 04 Sabato calendario

ASSANGE PARLA ONLINE «MINACCE DI MORTE MA NON CI FERMERANNO» —

Ci sarà pure chi vorrebbe vederlo sparire dalla faccia della terra ma Julian Assange avverte che, comunque vada a finire per lui, il ciclone cable gate è partito e che nessuno lo fermerà. Ci sono almeno 100 mila persone che hanno copia crittografata dei 251.287 mila documenti e nel caso in cui al fondatore di Wikileaks le cose dovessero andare male scatterebbe automaticamente una chiave elettronica capace di rendere leggibili i file. E, avverte Julian Assange parlando al sito Internet del Guardian, questi «apostoli» e custodi di un archivio pieno di fatti e misfatti, pettegolezzi, verità e riferimenti persino «sugli avvistamenti di ufo», hanno «il mandato di divulgare» l’immenso tesoro informatico.
Visionario, paranoico, provocatore o spia che sia o, al contrario, coraggioso difensore della libertà di stampa, il trentanovenne organizzatore di scoop internazionali sa che Scotland Yard lo tiene d’occhio nei suoi nascondigli in Inghilterra e che da un momento all’altro i poliziotti potrebbero bussare alla porta. È solo una questione di impicci burocratici da superare. Il mandato di arresto iniziale, emesso dalla Svezia per «crimini sessuali» (due donne accusano Assange di avere trasformato un rapporto consenziente in violenza, lui nega) era viziato nella forma. Ieri è stato aggiustato e la procedura è ripartita. La prigione sarebbe, forse, il minore dei mali perché Assange teme che gli Stati Uniti complottino per ucciderlo. «Le minacce di morte sono sotto gli occhi di tutti». Dunque sta adottando «le precauzioni appropriate». Ma non è facile in quanto c’è di mezzo «una superpotenza».
I pensieri peggiori non gli tolgono la forza di togliersi qualche altro sassolino dalle scarpe. Ad esempio per smentire chi lo accusa di avere messo in pericolo la vita dei collaboratori dei servizi segreti americani: «Nei nostri 4 anni di attività nessuno ha mai potuto correlare le aggressioni agli informatori con le informazioni da noi rilasciate». E per dare qualche spiegazione. Una è su Bradley Manning, il ventitreenne analista dell’intelligence Usa sospettato di essere la fonte di Wikileaks e già in prigione: «Se, come dice il Pentagono, è dietro alle recenti rivelazioni, è un eroe senza pari». Un’altra riguarda gli omissis nei documenti: «I cablogrammi sono affidati a giornalisti esperti della materia, noi verifichiamo che il processo funzioni alla perfezione». Infine, c’è la ragione che ha spinto Wikileaks a togliersi la maschera: «Originariamente l’intenzione era quella di restare un gruppo anonimo per non consentire agli ego di avere una parte nelle nostre attività». Ma è stato necessario che qualcuno si assumesse la responsabilità di fronte all’opinione pubblica: «Solo una dirigenza che sia disposta a dare prova di coraggio garantisce che le fonti si prendano dei rischi per il bene comune» . Dunque, «sono diventato il parafulmine».
In fila, per catturarlo, ci sono la Svezia, l’Australia e, naturalmente, gli Stati Uniti. Il suo avvocato, Mark Stephens, ha un patto con Scotland Yard: «Quando volete arrestare Julian Assange venite da ma e combiniamo l’incontro». A sentire il legale, non c’è bisogno di scatenare chissà quale spettacolare caccia all’uomo. L’intelligence sa dov’è il most wanted. Prenderlo è la cosa più facile al mondo. Resta da capire dove il viaggio di Julian Assange si concluderà. In Svezia o negli Usa?
Fabio Cavalera