Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il film di Michele Placido su Vallanzasca sta provocando polemiche a non finire, con toni anche sbagliati, perché i familiari di coloro che Vallanzasca ha ucciso o ferito pensano che la pellicola ne faccia un eroe e dicono che questo non è giusto. Anzi che è un’infamia.
• Chi ha adoperato toni sbagliati?
Placido, quando si mette a dire che in Parlamento c’è gente che ha fatto peggio di Vallanzasca. Intanto, non è vero. E poi non c’entra niente. La discussione deve stare stretta intorno al tema posto dai familiari: un film così va fatto o no? Senonché in Italia non c’è nessuno che possa impedire a qualcun altro di scrivere o filmare una storia. In Italia esiste la libertà d’espressione, e se Placido vuole raccontare la storia di un assassino deve poterlo fare. La libertà d’espressione porta con sé sofferenza e problemi, in questo e in mille altri casi. Ma il controllo sulla libertà d’espressione, per stabilire ad esempio la moralità di un’opera, ha come risultato finale la morte della cultura. Quindi si tratta di scegliere tra una società libera, che non nasconde il male del mondo e i demoni che lo abitano. E una società dove di queste cose non si parla oppure «si parla in un certo modo». L’orrore del “politicamente corretto”, l’anticamera della dittatura. È evidente che a chi gira un film o scrive un libro o dirige un giornale si chiede l’onestà di fondo di credere in quello che fa e di lavorare per la realizzazione di opere perfette dal punto di vista espressivo (possono esserlo anche i giornali). Su questo il regista Michele Placido, come chiunque, deve essere giudicato implacabilmente. Ha vellicato gli istinti peggiori dello spettatore? Ha indugiato inutilmente su dettagli insignificanti ma di sicuro effetto? La sequenza degli avvenimenti sta in piedi? Gli attori sono giusti? La Milano che vediamo è quella degli anni Settanta? Usciamo dal cinema carichi di pensieri, di dubbi e però anche di quella speciale sensazione d’appagamento – magari appagamento doloroso – che ci riservano i capolavori? Se sì, bene. Se no, Placido è colpevole. Perché di un solo crimine egli può essere imputato: aver fatto un brutto film.
• Ma, per esempio: non è un male, non è già un ammiccamento, un vellicamento aver scelto per la parte del protagonista una bellezza come Kim Rossi Stuart?
Beh, Vallanzasca oggi è un detenuto malinconico che ogni mattina, per far contenta la moglie, va a lavorare in un laboratorio di pelletteria. Ma è stato un uomo bellissimo, un grande seduttore. Aveva già ammazzato un sacco di gente, e stava in galera, e qui le donne gli mandavano centinaia di foto realizzate con l’autoscatto… Lei mi capisce. Una volta lui scrisse a una di queste: «Ma perché certe cose non le fai con tuo marito?». E quella: «Io certe cose le voglio fare solo con te». Suppongo che bisognasse prendere per quella parte un bell’uomo. Lei mi dirà che un artista dovrebbe rifuggire da certe scelte facili, come quella per esempio di prendere Rossi Stuart per la parte di un seduttore. Questa potrebbe in effetti essere una caduta, una faciloneria. Ma non voglio render torto a Kim, che magari è bravo.
• Resta che il film è stato realizzato per far soldi, e si capisce che chi ha avuto il padre o il fratello ammazzato da questo qui si indigna perché qualcuno ci guadagna sopra.
Lo capisco. Ma vale la risposta alla prima domanda. A quanto mi risulta, la pellicola non ha avuto contributi pubblici ed è stata prodotta da un privato (la Fox). L’unico azzardo è il patrocinio fornito dalla città di Milano. Questo forse sarebbe stato meglio evitarlo.
• E che mi dice del fatto che spettatori immaturi o inesperti o scemi potranno credere davvero all’eroismo di questo bandito e magari essere indotti a imitarlo?
Anche qui vale la risposta alla prima domanda: sono rischi che si corrono quando si accetta di vivere in un paese culturalmente libero. Del resto, Gomorra, che non ha sollevato problemi di questo genere, è invece un cult della malavita. I boss, i picciotti e gli scugnizzi della camorra ne recitano le scene a memoria, vogliono riprodurle nella vita e se qualcuno si presenta con l’idea di fare un film, subito pretendono che sia «come Gomorra».
• Questo significa che mafiosi, ‘ndranghetisti e quant’altro tengono alla loro immagine? Inorgogliscono se si raccontano – magari criticandole – le loro gesta?
Come no. Esiste un formidabile indotto della canzone mafiosa o camorrista. Tutto uno scriver testi e creare melodie che esaltano le imprese di guappi e affini. Interpreti e autori che in quel certo ambiente sono delle star: Gregorio Bellocco (che adesso è in carcere), Angelo Macrì (All’amici carcerati spopola a Duisburg), Gino Ferrante, Gianni Celeste, Lisa Castaldi. Eccetera eccetera. Però Vallanzasca, alla fine, non ha più niente a che vedere con tutto questo. Chiese la grazia per far piacere alla madre e quando gli chiesero se lui, al posto del Capo dello Stato, se la sarebbe concessa, rispose: «Nemmeno lontanamente». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 7/9/2010]
(leggi)