Massimo Fini, il Fatto Quotidiano 7/9/2010, 7 settembre 2010
L’ECCESSO OCCIDENTALE
La mobilitazione internazionale a favore di Sakineh, la donna iraniana condannata a morte per adulterio e complicità nell’omicidio del marito (i due fatti, se le accuse sono veritiere, sono, con tutta evidenza, collegati), sarebbe totalmente condivisibile se fosse stata centrata esclusivamente sulla modalità dell’esecuzione: la lapidazione. La lapidazione infatti va oltre la pena di morte, è una tortura. Una tortura, se si può dir così, a fuoco lento (le pietre non devono essere né troppo grosse, così da uccidere all’istante la condannata, né troppo piccole da non farle male). Ora, un uomo, in determinati e precisi casi, può essere lecitamente ucciso ma mai torturato o umiliato, tant’è che la tortura, almeno formalmente, non è legittimata in nessuno Stato del mondo nemmeno in tempo di guerra (anche se gli americani l’hanno usata a piene mani a Guantanamo – con l’ipocrito escamotage che era fuori del territorio degli Stati Uniti – e nel modo più sadico, ignobile e schifoso a Abu Ghraib dove è venuto a galla tutto il marciume morale della cosiddetta “cultura superiore” ). Ma la mobilitazione internazionale, per meglio dire: occidentale, non contesta solo la lapidazione, ma anche la pena capitale inflitta alla donna e anzi la vuole “subito libera”. Davanti a una immagine di Sakineh che, per iniziativa del governo italiano, campeggia da tre giorni all’ingresso di Palazzo Chigi il ministro degli Esteri Franco Frattini e quello delle Pari opportunità Mara Carfagna hanno dichiarato “Finché Sakineh non sarà salva o libera il suo volto ci guarderà dal palazzo del governo italiano”.
ORA, LA PENA DI MORTE è in vigore anche in Paesi considerati campioni della civiltà, come gli Stati Uniti, e nessuno Stato lascerebbe a piede libero un assassino. Quanto all’adulterio è considerato un reato meritevole della pena capitale non solo in Iran ma in molti altri Paesi islamici che hanno una cultura e una morale diversissime dalle nostre soprattutto per quel che riguarda la famiglia. La domanda è questa: le sentenze di un Tribunale iraniano su fatti che quel Paese considera reati gravi sono ancora sentenze di uno Stato sovrano o devono essere sottoposte ai Tribunali popolari dell’Occidente ? E può Sarkozy dichiarare che Sakineh “è sotto la protezione della Francia”? Allora sia coerente e dichiari formalmente guerra all’Iran in nome dei principi in cui dice di credere, invece di continuare a farci cospicui affari (la Francia è il secondo partner commerciale europeo dell’Iran, dopo l’Italia).
Questo il quadro di principio. Ma dietro i principi ci sono le persone in carne e ossa. In questo caso una giovane donna di 42 anni che rischia da un momento all’altro di essere giustiziata. È l’eterno conflitto fra pietas umana e la legge (dura lex sed lex dicevano i Romani), fra Antigone che, contro la legge, seppellisce il fratello Polinice in terra consacrata e il re Creonte che quella legge deve far rispettare e la condanna a morte. È l’eterno dilemma fra Libertà e Autorità così profondamente scandagliato da Dostoevskij nell’apologo de Il Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov.
L’IRAN NON HA ALCUN obbligo giuridico di fornire all’Occidente le prove che la sentenza del suo Tribunale è giusta, anche perché qui non ci troviamo di fronte a un oppositore politico ma a una persona accusata di reati comuni e non si vede quale interesse avrebbe mai la giustizia iraniana ad accanirsi arbitrariamente su di essa. Ma l’Iran è però un grande, colto e civile Paese, molto più civile di quanto lo facciano gli occidentali, e dovrebbe avere la sensibilità, anche politica, di capire che su un caso che è comunque sotto gli occhi di tutto il mondo ha l’obbligo morale di dare sulla reale colpevolezza di Sakineh informazioni maggiori e più trasparenti di quante ne abbia date finora, senza per questo sentirsi diminuito nella propria sovranità, anche se sappiamo benissimo che questa vicenda viene strumentalizzata in funzione della tambureggiante campagna contro Teheran di Stati Uniti e Israele. Perché, a questo punto, un’esecuzione al buio sarebbe altrettanto inaccettabile di quella liberazione al buio che vorrebbero il ministro Frattini e Bernard-Henri Lévy.