MAURIZIO RICCI, la Repubblica 7/9/2010, 7 settembre 2010
CINA E GERMANIA, LOCOMOTIVE COL FIATO CORTO - ROMA
La Cina ha già rallentato in questo trimestre. La Germania lo farà nella seconda parte del 2010. Né i tedeschi, né i cinesi sono destinati a fermarsi: la Germania si limiterà a tornare a ritmi di sviluppo, storicamente, più normali e la Cina ripartirà, probabilmente, entro la fine dell´anno.
Tuttavia, nessuna delle due attuali locomotive dell´economia globale sembra in grado di svolgere, in modo duraturo, quella funzione di traino verso la prosperità mondiale che i consumatori americani hanno assicurato negli ultimi venti anni. La spiegazione più semplice di questa fragilità è che sia la crescita cinese che quella tedesca sono basate sulle esportazioni e che, dunque, alla lunga - esaurito il rimbalzo dalla stagnazione del 2009 - dipendono dalla buona salute dei paesi importatori. Nel caso di Pechino, tuttavia, gli osservatori cominciano a chiedersi per quanto tempo ancora il modello di sviluppo cinese - export e investimenti - sia sostenibile.
Economisti autorevoli, come il cinese Wu Jinglian e l´americano John Makin vedono il motore cinese gripparsi, come già accaduto al Giappone. John Lee, dell´australiano Center for Independent Studies sostiene che «come il Giappone, negli anni ‘70 e ‘80, la Cina si sta avvicinando all´esaurimento del modello di sviluppo, basato su export e investimenti fissi». Tuttavia, nonostante gli impegni a puntare di più sui consumi interni, la sua dipendenza da questo modello sta aumentando, anziché diminuire. La percentuale dei consumi interni sul prodotto interno lordo, dal 50% degli anni ‘80, è scesa al 40% nel 2000, al 36% nel 2007 ed è oggi al 30%. Lee sottolinea che, nonostante il torrido sviluppo, spesso vicino al 10%, del Pil, i redditi delle famiglie cinesi crescono del 2-3% l´anno. Circa 400 milioni di cinesi hanno visto, negli ultimi anni, i loro redditi ristagnare o diminuire. Secondo uno studio della World Bank, nella prima parte del decennio, il reddito del 10% di cinesi più poveri è sceso, in media, del 2,4% ogni anno. E la popolazione sta invecchiando rapidamente, senza una rete di protezione sociale, paragonabile a quella giapponese.
Contemporaneamente, gli investimenti si sono sempre più concentrati su un numero relativamente ristretto di imprese statali: queste producono fra un quarto e un terzo del Pil cinese, ma ricevono il 75 per cento degli investimenti. Nel boom del credito del 2009, le imprese statali hanno assorbito il 90 per cento dei fondi. Quelle private solo il 5 per cento. Il risultato di questi processi, che premiano una ristretta classe di burocrati, è che, secondo la World Bank, la Cina, nel giro di una sola generazione, è diventata il paese d´Asia con il più alto tasso di ineguaglianza. Come mostra l´aumento di proteste e manifestazioni, la Cina rischia di trasformarsi in una polveriera: già oggi, Pechino spende di più per la sicurezza interna, che per le forze armate.
La Germania è lontanissima da questi problemi, tranne per il fatto che l´attuale modello di sviluppo cinese - e in generale quello dell´Asia emergente - è il più adatto alla struttura delle esportazioni tedesche, rappresentate, per metà, da macchinari e mezzi di trasporto. Dagli anni ´90, la quota di export tedesco verso l´Asia è raddoppiata al 10%, metà diretta in Cina. Come partner commerciale, oggi, per i tedeschi l´Asia è più importante degli Stati Uniti. Il grosso dell´export tedesco continua, tuttavia, a dirigersi verso gli altri paesi europei ed è qui che si annidano le incertezze sul futuro, per un paese che deve due terzi della crescita del Pil alle esportazioni.
Wolfgang Munchau ha sottolineato che la forte crescita tedesca nella prima parte del 2010 va vista in relazione al drammatico crollo (meno 5%) del 2009. Per il 2011, la Deutsche Bank prevede un tasso di sviluppo inferiore al 2%. Di fatto, l´economia tedesca riuscirà a tornare ai livelli del 2007 solo alla fine dell´anno prossimo. Secondo la Deutsche Bank, il boom delle esportazioni tedesche nella prima parte di quest´anno è dovuto al recupero di investimenti congelati, durante la crisi del 2009, e al ciclo di ricostituzione delle scorte nei magazzini delle imprese importatrici: due fattori che dovrebbero svanire nei prossimi mesi.
Il problema tedesco, però, è, soprattutto, negli aggiustamenti di bilancio che gli altri paesi europei stanno compiendo in questi mesi e che rallentano le loro economie. Sollecitata, in prima fila, da Berlino, questa austerità europea rischia di ritorcerglisi contro. In realtà, i paesi costretti ai più pesanti tagli di finanza pubblica - i Pigs - rappresentano una quota modesta dell´export tedesco: Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna assorbono poco più del 5 per cento del totale delle esportazioni. Il resto - oltre il 30 per cento del totale- va in Francia, Gran Bretagna, Italia (6,5 per cento), Olanda, Belgio, Austria e Svizzera. Se l´economia non riparte a Parigi, Londra e Roma, anche per Berlino ci sarà poco da festeggiare.