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 2010  settembre 07 Martedì calendario

L’ORIGINE DELLA MELA? IL DNA CI SVELA CHE E’ «NATA» IN ASIA

Doveva avere un sapore veramente divino la mela che Eva offrì ad Adamo, complice l’ infido serpente. Ma anche le mele di oggi possono essere splendide e succose. La mela è in effetti uno dei frutti più diffusi nel mondo insieme alle banane, all’ uva e alle arance. Questo frutto prelibato non nasce dall’ ovario come nella maggior parte delle piante, bensì dall’ ingrossamento carnoso della zona del ricettacolo, la base del fiore, e possiede caratteristiche uniche per quanto riguarda il gusto e il valore nutritivo. Se ne coltivano diverse varietà una delle quali è la preziosa Golden Delicious. Proprio di questa varietà è stato ora determinato l’ intero genoma per merito di un nutrito gruppo di ricercatori italiani afferenti a vari Istituti di San Michele all’ Adige, Lodi, Padova, Bologna e Milano nel quadro di una collaborazione internazionale. Il risultato è stato ritenuto così importante che è stato pubblicato su Nature Genetics. Il genoma del melo è piuttosto piccolo, circa un quarto del nostro, ma rispetto a noi contiene il doppio dei geni (57000), tra i quali spiccano un notevole numero di geni regolatori (più di 4000) e un migliaio di sequenze correlabili alla resistenza a vari patogeni e a patologie d’ interesse botanico. Negli anni il genoma del melo è andato incontro a diverse traversie. Una cinquantina di milioni di anni fa il numero dei suoi cromosomi è improvvisamente raddoppiato, arrivando agli attuali 17, e questo evento ha messo a disposizione della pianta una grande quantità di geni e di sequenze di controllo, porgendole il destro per la sua grande versatilità e adattabilità. Questa circostanza ne fa un soggetto di studio molto interessante per la fisiologia vegetale e può spiegare il suo grosso successo, cioè la sua grande diffusione come pianta da frutto. Oltre le sue versioni commestibili sono sopravvissuti tutt’ oggi almeno due ceppi di melo primitivo, il Malus sylvestris europeo e il M. sieversii dell’ Asia Centrale. Il lavoro appena completato rivela che è proprio da quest’ ultimo ceppo che discende il melo domestico che a vario titolo tutti coltiviamo. Ma la duplicazione del numero dei cromosomi (pseudoduplicazione in verità, perché quelli sono passati da 9 a 18 e poi due di questi si sono fusi tra di loro per dare il valore finale di 17) non è stato l’ unico drammatico evento evolutivo della storia del melo e dei suoi predecessori. Nella storia delle piante portanti fiori c’ è un’ ancestrale moltiplicazione per sei del numero originale dei cromosomi, le cui tracce sono chiaramente rilevabili nel genoma del melo, e della vite. Il presente affonda le sue radici nel passato e ciò non è mai tanto palpabile come nello studio degli eventi che caratterizzano l’ evoluzione biologica di piante e animali: di tutto è successo nel passato e tutto è stato messo diciamo così a frutto per ottenere quello che vive oggi, e di cui eventualmente noi ci serviamo. Nella notte dei tempi, nel folto delle foreste, tra le giuncaglie delle marcite o nei cespugli delle savane si sono avvicendati eventi epocali che hanno avuto per protagonisti minuscole molecole genetiche ma che hanno cambiato anno dopo anno gli scenari del nostro pianeta, in una dimensione veramente biblica. Talvolta anche l’ uomo ha dato una mano, soprattutto in tempi recenti. Come per esempio quando qualcuno ha cominciato, verosimilmente nei boschi dei dolci rilievi dell’ Asia al confine tra Kazakistan e Cina, a innestare rametti di M. sieversii in tronchi di varie piante di melo più selvatiche e dai frutti meno succosi. E’ stata un’ esplosione quasi istantanea, e la terra si è improvvisamente riempita di meli che danno le attuali ottime mele commestibili. Naturalmente il presente studio è stato intrapreso primariamente a fini pratici, e i suoi artefici non sono rimasti delusi. Il genoma del melo è letteralmente punteggiato di piccolissimi segnali, detti marcatori molecolari, quasi cinque volte più frequenti che nel nostro genoma, che potranno servire egregiamente per analisi di autenticità, ma soprattutto per seguire da vicino gli effetti degli incroci e progettare strategie ottimali per il miglioramento agronomico. Insomma il genoma del melo non si nasconde, ma ci offre splendide opportunità di studio e quindi di perfezionamento.
Edoardo Boncinelli