ANDREA MALAGUTI, La Stampa 7/9/2010, pagina 28, 7 settembre 2010
L’Inghilterra senza tè Twinings se ne va - Dopo trecento anni il tè se ne va dall’Inghilterra
L’Inghilterra senza tè Twinings se ne va - Dopo trecento anni il tè se ne va dall’Inghilterra. Non tutto, quello prodotto dalla Twinings, fornitore ufficiale della Casa Reale dal 1837, 200 miscele in catalogo, 115 Paesi serviti nel mondo e un mitico negozio aperto nel 1706 nel cuore di Londra, al 216 dello Strand, dove un piccolo leone in bronzo pitturato in oro sovrasta un mandarino cinese seduto ai suoi piedi. Gerarchia da ribaltare, la Associated British Food ha deciso infatti di spostare la produzione dalle iperefficienti fabbriche di Tyneside e di Andover in Cina e in Polonia entro il settembre del 2011, licenziando 263 lavoratori nel North Shields e ad altri 129 nell’Hampshire. Margini di trattativa zero. «Ci spiace molto, ma è una banale questione di economie di scala». Marcus Cotter Stone, direttore di Twinings International spiega che i due terzi del mercato dell’azienda sono oltre oceano e «dunque non ha senso mantenere la produzione distante dalla distribuzione» e Peter Willetts, responsabile del reparto manifattura, aggiunge che «per reggere la concorrenza internazionale è necessario adeguarsi, trovare posti dove la manodopera costa di meno. Così consolideremo il nostro mercato». E i dipendenti che perderanno il posto? «Gli daremo una mano a trovare una nuova sistemazione». Intanto saranno loro a dare un ulteriore aiuto alla Twinings. Gli operai in uscita dalla fabbrica di Tyneside, aperta nel 1990 e capace di produrre 15 milioni di bustine di tè all’anno, sono stati infatti invitiati a fare da nave scuola ai colleghi polacchi, che arriveranno in due ondate successive in Inghilterra per tre settimane di avviamento al lavoro a partire da lunedì prossimo. Costano meno, ma non sanno come si fa. «Per essere in grado di offrire un buon prodotto hanno bisogno di direttive precise». Giusto. E chi può dargliele se non i colleghi uscenti? Mike Parsonage, segretario dell’Usdaw, il sindacato dei lavoratori del North Shields, grida allo scandalo. «Non solo li cacciano, ma gli danno persino un calcio in bocca. E questa è la ricompensa per essere stati leali, fedeli e devoti all’azienda. E’ uno schifo». Confessando tutto il suo disagio al Daily Telegraph, uno dei lavoratori ha chiarito anonimamente che «i polacchi non troveranno di certo una buona accoglienza da queste parti. Ma come si fa a immaginare che dobbiamo essere proprio noi a spiegargli come toglierci il pane di bocca? Non è neanche una questione di buon gusto, è una questione di mancanza assoluta di rispetto e di sensibilità. E poi sul sito ufficiale la Associated British Food parla di responsabilità sociale. Fanno ridere». In effetti la responsabilità cui fa riferimento la Abf riguarda il prodotto, non chi lo produce fisicamente. «Dal 1997 Twinings è membro della Ethical tè Partnership per dimostrare ai consumatori la grande qualità che contraddistingue l’azienda (..). La Etp migliora la vita dei lavoratori del tè». Fa lo stesso effetto di un unghia strisciata sulla lavagna. Parsonage diventa viola. «Vi pare un’affermazione compatibile con quello che sta succedendo? Forse solo se sei nato in Cina o in Polonia, perché è da lì che arriverà il tè che berremo a Londra o a Parigi. Noi ammainiamo la bandiera». Così mentre su Facebook quattromila persone chiedono al governo di salvare l’impianto di Tyneside, la Twinings continua a insistere che la scelta non solo è inevitabile, ma persino condivisa da molti lavoratori, ai quali è stato offerta anche la possibilità di un impiego a Swardz, in Polonia. Offerta che ai sindacati è sembrata una provocazione. «Pagano anche trasferimento, studi e mantenimento delle famiglie?». Ci saranno ancora un paio di scioperi, alcune petizioni e un paio di manifestazioni, ma tra dodici mesi le bustine avranno una nuova casa. Importato in Inghilterra nel 1662 da Caterina di Braganza, moglie di Carlo III, e diventato in fretta una mania nazionale anche il tè si adegua alle regole di una globalizzazione in cui niente è più di nessuno, tanto meno le tradizioni.